DINASTIA FLAVIA (69-96)

DINASTIA FLAVIA (69-96)

  1. Tito Flavio Vespasiano

Tito Flavio Vespasiano – noto semplicemente come Vespasiano – da imperatore, Cesare Vespasiano Augusto (Titus Flavius Vespasianus; Vicus Phalacrinae, 17 novembre 9 – Roma, 23 giugno 79) è stato un imperatore romano che governò fra il 69 ed il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto (Caesar Vespasianus Augustus). Fondatore della Dinastia Flavia, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l’anno dei quattro imperatori) ponendo fine a un periodo d’instabilità seguito alla morte di Nerone.

Origini e carriera militare  Nacque in Sabina presso l’antico Vicus Phalacrinae, corrispondente all’odierna cittadina di Cittareale da Flavio Sabino, che era esattore di imposte e piccolo operatore finanziario; la madre Vespasia Polla era sorella di un senatore. Dopo aver servito nell’esercito in Tracia ed essere stato questore nella provincia di Creta e Cirene, Vespasiano divenne edile e pretore, avendo nel frattempo sposato Flavia Domitilla, figlia di un cavaliere, da cui ebbe due figli: Tito e Domiziano, in seguito imperatori, ed una figlia, Domitilla. La moglie e la figlia morirono entrambe prima che lasciasse la magistratura. Dopo aver servito nell’esercito in Germania, partecipò all’invasione romana della Britannia sotto l’Imperatore Claudio, dove si distinse nel comando della Legione II Augusta sotto il comando di Aulo Plauzio. Egli sottomise l’Isola di Wight e penetrò fino ai confini del Somerset in Inghilterra. Nel 51 fu console; nel 63 andò come governatore in Africa dove, secondo Tacito (II.97), il suo comportamento fu infame e odioso; secondo Svetonio (Vesp. 4), corretto e altamente onorevole. Fu in Grecia al seguito di Nerone e, nel 66 fu incaricato della conduzione della guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l’oriente. Secondo Svetonio, una profezia conosciuta in tutte le province orientali proclamava che dalla Giudea sarebbero venuti i futuri governanti del mondo. Vespasiano probabilmente credeva che questa profezia si applicasse a lui, e trovò un gran numero di presagi, oracoli e portenti per rafforzare questa credenza.

Anno dei quattro imperatori

L’anno dei quattro imperatori sta a cavallo del 68/69 quando alla morte di Nerone vennero eletti quattro diversi imperatori da quattro diverse zone dell’impero: Galba in Spagna, Vitellio dalle legioni germaniche, Otone dalla guardia del petrorio e Vespasiano dalle legioni siriache.

Trovò anche incoraggiamento da parte di Licinio Muciano, governatore della Siria; e malgrado la stretta alla disciplina e la repressione di abusi, Vespasiano ebbe anche la devozione dei soldati. In oriente tutti guardavano a lui; Muciano e le legioni della Siria erano ansiosi di appoggiarlo; e mentre era a Cesarea, fu proclamato imperatore (1 luglio 69) prima dall’esercito in Egitto, e poi dalle sue truppe in Giudea (11 luglio). Racconta Tacito che durante il suo soggiorno in Egitto si rese protagonista di due “miracoli”, ovvero toccando gli occhi di un cieco e la mano ad uno storpio, entrambi supplicanti il “tocco divino” le abbia curate, in realtà i suoi medici gli avevano già suggerito che le piaghe potevano essere guarite, quindi il suo gesto, in caso di successo, gli avrebbe portato molta notorietà in quelle terre, e che in caso di insuccesso nulla sarebbe cambiato. Tuttavia Vitellio, che occupava il trono, aveva al fianco i veterani delle legioni della Gallia e del Reno, le migliori truppe di Roma. Ma il favore verso Vespasiano prese rapidamente a crescere e gli eserciti di Tracia, Pannonia e Illiria presto lo acclamarono e di fatto lo fecero padrone di metà del mondo romano. Le sue truppe entrarono in Italia dal Nord-Est sotto il comando di Antonio Primo, sconfissero l’esercito di Vitellio nella seconda battaglia di Bedriaco, saccheggiarono Cremona ed avanzarono su Roma, dove entrarono dopo furiosi combattimenti ed una tremenda confusione, durante la quale il Campidoglio venne distrutto dal fuoco.

Imperatore  Ricevendo notizia del suo rivale sconfitto ed ucciso ad Alessandria, il nuovo imperatore inviò a Roma forniture di grano urgentemente necessarie, e contemporaneamente emise un editto o dichiarazione di intenti, nel quale dava assicurazione di un completo rovesciamento delle leggi di Nerone, specialmente di quelle relative al tradimento. Si racconta che, mentre in Egitto visitava il tempio di Serapide, ebbe una visione, e più tardi fu testimoniato da due operai che egli possedeva poteri divini e poteva far miracoli. Lasciando la guerra in Giudea al figlio Tito, arrivò a Roma nel 70. Immediatamente consacrò le sue energie a riparare i danni causati dalla guerra civile. Restaurò la disciplina nell’esercito che sotto Vitellio era stata piuttosto trascurata, e con la cooperazione del senato, riportò il governo e le finanze su solide basi. Ripristinò vecchie tasse e ne introdusse di nuove, aumentò i tributi delle province, e tenne un occhio attento sulle finanze pubbliche. Attraverso l’esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani ed iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società. Uno dei provvedimenti maggiormente importanti di Vespasiano fu la promulgazione della Lex de imperio Vespasianii, in seguito alla quale egli e gli imperatori successivi governeranno in base alla legittimazione giuridica e non più in base a poteri divini come avevano fatto i Giulio-Claudii. Come censore riformò il Senato e l’ordine equestre, rimuovendone i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini abili ed onesti, tra i quali Gneo Giulio Agricola. Allo stesso tempo, rese questi organismi più dipendenti dall’imperatore, esercitando la sua influenza sulla loro composizione. Cambiò lo statuto della guardia pretoriana, formata da nove coorti in cui furono arruolati solo italici. Nel 70 fu soffocata una formidabile rivolta in Gallia comandata da Giulio Civile e le frontiere in Germania divennero sicure; la guerra in Giudea fu conclusa da Tito con la conquista di Gerusalemme nel 70, e negli anni seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito, memorabile come prima occasione in cui padre e figlio furono associati nel trionfo, il Tempio di Giano fu chiuso, ed il mondo romano fu in pace per i restanti nove anni del regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano divenne proverbiale. Nel 78 Agricola andò in Britannia ed estese e consolidò la presenza di Roma nella provincia, spingendosi in armi fino al Galles settentrionale. L’anno seguente Vespasiano morì, il 23 giugno.

Carattere ed eredità di Vespasiano L’avarizia con cui Tacito e Svetonio (si dice che quando gli fu chiesto se avesse desiderato o no una statua in suo onore, lui rispose, indicando un piattino d’argento: “Certo. Quello sarà il piedistallo”) stigmatizzano Vespasiano, sembra essere stata in realtà una illuminata economia, che, nello stato disordinato delle finanze di Roma, era una necessità assoluta.

Vespasiano fu generoso verso senatori e cavalieri impoveriti, verso città e borghi devastati da calamità, e specialmente verso uomini di lettere e filosofi, molti dei quali ricevettero un vitalizio di più di mille pezzi d’oro all’anno. Si dice che Marco Fabio Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del favore imperiale.

La grande opera di Plinio il Vecchio, Naturalis historia, fu scritta durante il regno di Vespasiano e dedicata a suo figlio Tito. Alcuni filosofi, avendo parlato con rimpianto dei tempi d’oro della Repubblica, e quindi indirettamente incoraggiato cospirazioni, indussero Vespasiano a rimettere in vigore le leggi penali contro questa professione ormai obsoleta; solo uno di essi, Elvidio Prisco, fu messo a morte, perché aveva affrontato l’imperatore con insulti studiati. “Non ucciderò un cane che mi abbaia contro”, sono parole che esprimono il carattere di Vespasiano. Molto danaro fu speso in lavori pubblici ed in restauri e abbellimenti di Roma: un nuovo Foro, lo splendido Tempio della Pace, bagni pubblici (che presero nome di “Vespasiani”) e l’immenso Colosseo.

Infine, Vespasiano come soldato non fu eccellente, ma dimostrò forza di carattere e abilità, ebbe un continuo desiderio di stabilire ordine e sicurezza sociale per i suoi sudditi. Fu puntuale e regolare nelle sue abitudini, occupandosi dei suoi uffici la mattina di buon’ora e godendosi poi il riposo.

Egli praticamente non ebbe le caratteristiche attese in un imperatore. Fu libero nella conversazione e nella battuta, di cui era estimatore, ed aveva il gusto di atteggiarsi a buffone. Fu capace di scherzare anche nei suoi ultimi momenti. “Purtroppo temo che mi stia trasformando in un Dio”, si lamentava con chi gli era intorno. C’è qualcosa di molto caratteristico nell’esclamazione che si dice lanciasse nel suo ultimo momento, “Un imperatore deve morire in piedi”. Morì nella sua villa presso le terme di Cotilia (nella provincia di Rieti).

Un celebre aneddoto riferisce che egli mise una tassa sul prelievo di urina (usata dai tintori di panni) dai gabinetti pubblici (che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, rispose: Pecunia non olet (“il denaro non ha odore”, quale che ne sia la provenienza).

  1. Tito Tito Flavio Cesare figlio del divo Vespasiano Vespasiano Augusto (Titus Flavius Caesar divi Vespasiani filius Vespasianus Augustus; Roma, 30 dicembre 39 – Roma, 13 settembre 81) è stato un imperatore romano della dinastia dei Flavi.

Prima di diventare imperatore, Tito fu un abile e stimato generale che si distinse per la repressione della ribellione in Giudea del 70. Fu considerato un buon imperatore da Tacito e da altri storici contemporanei; è noto per il suo programma di opere pubbliche a Roma e per la sua generosità nel soccorrere la popolazione in seguito a due eventi disastrosi: l’eruzione del Vesuvio del 79 e l’incendio di Roma dell’80. Celebre è la definizione che gli dà lo storico Svetonio: “amor ac deliciae generis humani”, ovvero “amore e delizia del genere umano”, per enfatizzare i vari meriti del governo di Tito.

Giovinezza e successi militari  Tito, figlio maggiore di Vespasiano e Flavia Domitilla Maggiore, dal 61 al 63 fu tribuno militare in Britannia e in Germania. Nel 64 fece ritorno a Roma e sposò Arrecina Tertulla, figlia di un ex Prefetto della Guardia Pretoriana, la quale morì l’anno successivo. Tito prese quindi in moglie una donna proveniente da una famiglia più altolocata, Marcia Furnilla. Da Marcia ebbe una figlia, Giulia Flavia. La famiglia di Marcia era però legata agli oppositori di Nerone, e Tito – spaventato dalla fallita Congiura di Pisone del 65 – decise di tagliare i ponti con quelle fazioni divorziando dalla moglie. Non si risposò più. Tito seguì il padre Vespasiano in Medio Oriente nel 67, per aiutarlo a reprimere la ribellione in Giudea. Durante il conflitto servì come comandante della Legio XV Apollinaris. Quando l’imperatore Galba fu assassinato, Tito convinse Gaio Licino Muciano, governatore della Siria, a sposare la causa dei Flavi, e si impegnò a sostenere il padre nella sua candidatura al potere. Nel 69, l’anno dei quattro imperatori, Vespasiano rientrò a Roma per reclamare il trono, lasciando il figlio in Giudea a porre fine alla rivolta, cosa che Tito fece l’anno successivo: Gerusalemme fu saccheggiata, il Tempio distrutto, e gran parte della popolazione uccisa o costretta a fuggire dalla città. Durante il suo soggiorno a Gerusalemme, Tito ebbe una relazione con Berenice di Cilicia, figlia di Erode Agrippa I. Al suo ritorno a Roma nel 71 fu accolto in trionfo. Fu più volte console durante il regno del padre, e fu anche Prefetto della Guardia pretoriana, assicurandone la fedeltà all’Imperatore. Tutti i fatti legati alla rivolta e alla caduta di Gerusalemme sono raccontati dallo storico ebreo Giuseppe Flavio nella sua opera La Guerra Giudaica.

Imperatore  Tito succedette al padre Vespasiano nel 79, imponendo così, per breve tempo, il ritorno al regime dinastico nella trasmissione del potere imperiale. Svetonio scrisse come allora molti temettero che Tito si sarebbe comportato come un novello Nerone, a causa dei numerosi vizi che gli venivano attribuiti. Al contrario, egli fu un valido e stimato imperatore, amato dal popolo, che fu pronto a riconoscere le sue virtù. Pose fine ai processi per tradimento, punì i delatores, e organizzò sontuosi giochi gladiatòrii senza che il loro costo si ripercuotesse sulle tasche dei cittadini. Completò la costruzione del Colosseo e fece costruire delle Terme nel sito dove si trovava la Domus Aurea, restituendo l’area alla città. L’eruzione del Vesuvio del 79 – che causò la distruzione di Pompei ed Ercolano e gravissimi danni nelle città e comunità attorno al golfo di Napoli – ed un rovinoso incendio divampato a Roma l’anno successivo, diedero modo a Tito di mostrare la propria generosità: in entrambi i casi egli contribuì con le proprie ricchezze a riparare i danni e ad alleviare le sofferenze della popolazione. Questi episodi, ed il fatto che durante il suo principato non fu emessa nessuna sentenza di condanna a morte, gli valsero l’appellativo presso gli storici suoi contemporanei di “delizia del genere umano” (Tacito ridimensionerà poi questo appellativo sostenendo che il principato di Tito fu piuttosto “felice nella sua brevità”). Visitò Pompei subito dopo la disastrosa eruzione, e nuovamente l’anno successivo. Durante il suo regno dovette anche affrontare la ribellione di Terenzio Massimo, soprannominato il “Falso Nerone” per la sua somiglianza con l’imperatore: Terenzio fu costretto a fuggire oltre l’Eufrate, dove trovò rifugio presso i Parti. Dopo appena due anni di regno, Tito morì per una forte febbre. Secondo Svetonio, potrebbe essere stato colpito dalla malaria assistendo i malati, oppure avvelenato dal suo medico personale Valeno su ordine del fratello Domiziano. Alla sua morte fu santificato dal Senato, e un arco trionfale fu eretto nel Foro Romano dallo stesso Domiziano per celebrare le sue imprese militari. La sua reputazione rimase intatta negli anni, tanto da essere poi eletto a modello dai “Cinque buoni Imperatori” del II secolo (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio). Ancor oggi, si usa una frase a lui attribuita (“Ecco una giornata perduta!”) che avrebbe pronunciato al tramonto di una giornata in cui non aveva avuto occasione di fare del bene.

 

  1. Tito Flavio Domiziano (Titus Flavius Domitianus; Roma, 24 ottobre 51 – Roma, 18 settembre 96) è stato un imperatore romano dal 14 settembre 81 alla sua morte, con il nome di Cesare Domiziano Augusto Germanico (Imperator Caesar Domitianus Augustus Germanicus), ultimo della dinastia Flavia. Domiziano nacque a Roma mentre il padre, il futuro imperatore Vespasiano, era ancora uomo politico e comandante militare. Ricevette l’educazione riservata ai giovani della classe senatoriale. Studiò retorica, letteratura (pubblicando anche qualche scritto), legge e amministrazione. Nella sua biografia Svetonio lo descrive come un adolescente istruito ed educato, dalla conversazione elegante. A differenza di suo fratello Tito, molto più anziano di lui, non accompagnò il padre nelle campagne nelle province africane ed in Giudea. Durante l’anno dei quattro imperatori (69), Domiziano mantenne una posizione discreta e defilata ma si trasferì nel palazzo imperiale appena il padre fu acclamato imperatore. Fu il rappresentante della famiglia Flavia in Senato prima che Vespasiano e Tito arrivassero a Roma. Con la salita al potere del padre, Domiziano crebbe d’importanza. Nel 70 fece in modo da provocare il divorzio di Domizia Longina allo scopo di sposarla. Lucio Elio Lamia, suo marito, non riuscì a contrastare i desideri del principe, e così Domizia divenne nuora dell’imperatore. A dispetto dell’avventatezza iniziale, questa alleanza fu vantaggiosa per entrambe le parti. Domizia Longina era la figlia unica del generale Gneo Domizio Corbulone, una della vittime del terrore Neroniano, ricordato come valoroso comandante e politico onorato. Essi ebbero un figlio nel 71 ed una figlia nel 74, ma entrambi morirono giovani. Il loro matrimonio non fu certamente tradizionale: Domiziano era notoriamente un donnaiolo e sua moglie non ne era gelosa. Alcune fonti riferiscono che essa lo accompagnava volentieri nelle avventure con le sue donne. Come secondogenito, Domiziano era libero da responsabilità. Resse alcuni consolati del tutto onorifici e alcune cariche sacerdotali ma non incarichi dell’impero. Durante il regno del fratello Tito, la sua situazione rimase sostanzialmente la stessa, sicché nessuno vide in lui il futuro imperatore. Ma Domiziano aveva certamente le sue ambizioni. Mentre Tito stava morendo, propiziò la sua scelta a successore assicurandosi il favore della Guardia pretoriana. Alla morte del fratello Tito, Domiziano fu quasi contento della scomparsa delle due figure di oppressori che lo avevano preceduto: il padre Vespasiano e Tito erano visti da lui in questo modo.Si sentiva maltrattato dal padre, che secondo lui privilegiava Tito. In un certo modo, egli volle vendicarsi dei bistrattamenti che aveva dovuto subire. Assunse un atteggiamento di poco rispetto verso il senato, considerandolo come un organo nemico all’imperatore, composto da elementi che miravano solamente al proprio interesse personale e che quindi combattevano tra loro. Maltrattò anche il consilium precedentemente organizzato da Tito, prendendo decisioni per conto proprio.

Amministrazione e finanza  Domiziano dimostrò immediatamente di essere un disastro come amministratore. L’economia si arrestò e poi andò in recessione, costringendolo a svalutare il denario d’argento. Per compensare ulteriormente la situazione economica, furono aumentate le tasse e subito salì il malcontento. A causa del suo amore per l’arte ed a quello della popolazione, Domiziano investì grandi somme nella ricostruzione e abbellimento della città che ancora mostrava gli effetti del grande incendio di Roma del 64 e della guerra civile del 69. Circa cinquanta nuovi edifici furono costruiti e restaurati, incluso il tempio di Giove sul Campidoglio ed il palazzo sul Palatino. Nell’85 Domiziano si autonominò censore a vita, questo ufficio comportava la supervisione, sotto l’aspetto della moralità, del comportamento dei Romani. Verifica che con difficoltà avrebbe potuto applicare a sé stesso. In quell’anno Domizia Longina fu sorpresa col suo amante, l’attore Paris. L’uomo fu messo a morte e l’imperatrice fu esiliata dopo un divorzio precipitoso. L’anno successivo, Domiziano sviluppò una passione per la nipote Giulia Flavia (figlia di Tito) e, come nel suo primo matrimonio, egli si impadronì della ragazza esautorandone il marito. Giulia Flavia morì nel 91 in seguito a un aborto, e fu divinizzata. Dopo questo episodio, Domizia Longina fu richiamata al palazzo come imperatrice, anche se di fatto Domiziano non la risposò.

Politica urbanistica Le maggiori passioni di Domiziano furono le arti e gli spettacoli di giochi. Portò a termine la costruzione del Colosseo, iniziata dal padre, e istituì i Giochi Capitolini nell’86. Come i giochi olimpici, si tenevano ogni quattro anni ed includevano gare di atletica e corse di carri, ma anche competizioni di oratoria, musica e recitazione. L’imperatore stesso pagava il viaggio dei partecipanti da qualsiasi località dell’impero e attribuiva i premi. Egli era inoltre appassionato degli spettacoli di gladiatori ed apportò notevoli innovazioni come combattimenti di donne e nani. Un’altra mania di Domiziano erano le forme di governo orientali: egli, infatti, si rese odioso alle classi di Roma proprio perché si fece proclamare “dominus et deus”, proprio come un faraone.

Politica estera Come comandante militare, Domiziano non era molto dotato, a causa della sua formazione avvenuta a Roma, lontano dalle legioni. Egli si decretò alcuni trionfi, formalmente sui Catti (Chatti, gli attuali Assiani) e sulla Britannia, ma furono solo manovre propagandistiche, poiché queste guerre erano già state combattute. Tuttavia alcune campagne furono fatte durante il suo regno, specialmente sulla frontiera sul Danubio contro i Daci. Domiziano inoltre fondò la I legione Minervia nell’82.Un altro provvedimento nella politica estera fu quello di pagare una somma a Decebalo, re dei Daci, che potevano essere pericolosi poiché avrebbero potuto metter in discussione il confine, affinché non attaccassero Roma.

Ultimi anni del principato Alla fine del suo regno, che aveva cominciato con moderazione, Domiziano rivelò una personalità crudele. Secondo numerose fonti, malgrado qualche dubbio della comunità scientifica, ebrei e cristiani furono perseguitati durante il suo regno. Durante questa persecuzione fu ucciso un cugino, Flavio Clemente, ufficialmente accusato di difendere il cristianesimo; in verità Flavio Clemente stava cercando di allestire un golpe armato per soppiantare Domiziano alla guida dell’impero. Due generali che avevano dato il loro appoggio al ribelle furono destituiti e forse giustiziati. L’imperatore sviluppò addirittura una paranoia di persecuzione che lo indusse a far uccidere molti membri degli ordini senatoriale ed equestre. Egli non amava gli aristocratici e non temeva di dimostrarlo, rivedendo ogni decisione presa dal senato. Furono architettate ben tre congiure contro di lui, nell’83, nell’88 e nel 96, dove morì. Come risposta a queste congiure, organizzò violente persecuzioni, che decimarono la classe nobile ed estromisero tutti i loro beni, usati in seguito per sanare l’erario dello Stato.

La morte (96) Domiziano fu assassinato nel settembre del 96, in un complotto organizzato da senatori suoi nemici, Stefano (amministratore della defunta Giulia Flavia), membri della Guardia pretoriana e l’imperatrice Domizia Longina. Secondo gli storici romani, l’imperatore era convinto, a seguito di predizioni astrologiche, che sarebbe morto intorno al mezzogiorno. Perciò egli era solito riposare in quelle ore del giorno. Nel suo ultimo giorno Domiziano non si sentiva bene, e chiese molte volte ad un servo che ora fosse. Il ragazzo, partecipando alla congiura, mentì dicendo che era molto più tardi. Più a suo agio, l’imperatore si recò alla sua scrivania, per firmare documenti, ma lì fu accoltellato otto volte da Stefano.

A Domiziano succedette Nerva nominato dal senato.

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