LA MORTE DI AGRUPPINA

LA MORTE DI AGRUPPINA

[1] Sotto il consolato di Gaio Vipsiano e Gaio Fanteio, Nerone non rimandò oltre il delitto a lungo meditato, aumentata l’audacia dall’esperienza del comando e più ardente di giorno in giorno per l’amore di Poppea, che non sperando il matrimonio con lei e l’allontanamento di Ottavia finchè Agrippina era salva, con frequenti recriminazioni e di quando in quando con scherzi, accusava il principe e lo chiamava pupillo, lui che, sottoposto agli ordini altrui, non mancava soltanto del potere, ma anche della libertà.

[Poppea con discorso indiretto libero:] ‘Perchè infatti rimandava le loro nozze? Forse gli dispiacevano l’aspetto e gli avi degni di trionfo, o la fecondità di un animo sincero? Temeva che lei, una volta moglie, rivelasse le ingiurie dei senatori [contro Nerone] e l’ira del popolo contro la superbia e l’avidità della madre. Perchè se Agrippina non poteva sopportare una nuora se non odiosa la figlio, lei stessa fosse resa al matrimonio con Otone: [Poppea] se ne sarebbe andata in qualche luogo della terra, dove sentisse gli insulti contro l’imperatore piuttosto che essere testimone coinvolta nei pericoli [che lui correva].’ Nessuno impediva che queste e altre cose penetrassero [in Nerone] tramite le lacrime e l’abilità di finzione dell’adultera, poichè tutti desideravano infrangere il potere della madre e perchè nessuno pensava che l’odio del figlio sarebbe arrivato fino all’uccisione di lei.

[2] Cluvio narra che Agrippina, per il desiderio di mantenere il potere, nel mezzo del giorno, quando Nerone si scaldava per il vino e per il cibo, si spinse a offrirsi a lui ubriaco, seducente e pronta all’incesto; e già mentre i più vicini notavano i baci lascivi e le carezze che annunciavano l’incesto, Seneca aveva cercato aiuto contro le azioni illecite della donna da/in una donna e veniva introdotta la liberta Acta che ,allo stesso tempo preoccupata per il suo pericolo e per l’infamia di Nerone, impedì che venisse divulgato l’incesto mentre la madre già se ne gloriava, e i soldati non avrebbero tollerato il comando di un principe empio.

Fabio Rustico attribuisce questo desiderio non ad Agrippina ma a Nerone (ricorda il desiderio da parte di N e non di A) e il distoglimento [da tale brama] grazie all’intervento della liberta. Tuttavia anche altri autori hanno tramandato le stesse cose che ricorda Cluvio e anche la fama va in questa direzione, sia perchè Agrippina poteva concepire una tale enormità nell’animo, sia perchè la pianificazione di un nuovo piacere sembrava più credibile in lei che durante l’infanzia aveva accettato una relazione con Lepido per la speranza di potere, con lo stesso desiderio si era abbandonata alla libidine di Pallante [ricco e potente liberto di Claudio] e giunse a ogni scelleratezza con le nozze con lo zio [l’imperatore Caludio].

[3] Dunque Nerone evitava incontri segreti, lodava lei quando andava nei giardini di Tuscolo o nel podere di Anzio, perché si dedicava all’ozio. Poi pensando che, ovunque l’avesse avuta, sarebbe stata intollerabile, decise di ucciderla chiedendosi solo se (ucciderla) o col veleno, o col ferro o con un’altra violenza. Gli piacque il veleno. Ma se glielo avesse dato durante un banchetto del principe, non avrebbe potuto differirlo dal caso della morte di Britannico; e sembrava difficile tentare i servi per le abitudini al delitto di una donna intenta alle insidie contro; e già lei stessa presumendo, aveva munito il suo corpo di rimedi. Nessuno trovava in che modo si sarebbero nascosti la spada e il delitto; e temeva che qualcuno scelto a tanto delitto non obbedisse agli ordini.

Il liberto Aniceto, prefetto della flotta presso Miseno, educatore dell’infanzia di Nerone e malvisto da Agrippina, escogitò un piano. Informò che si poteva costruire una nave di cui una parte scissa per artificio, affondasse lei ignara in mare: niente è capace di azioni fortuite quanto il mare, e se fosse stata colta da un naufragio, chi sarebbe stato così malvagio da imputare ad un delitto ciò che avevano compiuto i venti e le onde? Il principe avrebbe aggiunto un tempio e altari e altre cosa alla morta che avrebbero mostrato amore filiale.

[4] Piacque lo zelo, anche l’occasione aiutava, dal momento che frequentava le feste di Quinquatrum a Baia. Là invitò la madre, andando in giro dicendo che occorreva sopportare l’ostilità dei genitori e placare l’animo, affinchè si diffondesse la voce della riconciliazione e si riavvicinasse ad Agrippina, per l’ingenua credulità delle donne alle buone notizie felici. Andò incontro sulla spiaggia a lei che veniva (infatti da Anzio arrivava), la prese per mano, la abbracciò e la condusse a Baulo. Questo è il nome della villa che giace tra il promontorio Miseno e il lago Baiano in un’insenatura. Tra le altre navi ce ne era una più ornata come se fosse stata data in onore della madre: infatti aveva l’abitudine di viaggiare su una triremi con equipaggio della flotta. Ma era stata invitata ad un banchetto affinchè la notte fosse utilizzata per nascondere il delitto. Era abbastanza certo che ci fosse stato un traditore, una volta che Agrippina aveva sentito le voci, incerta se credere o no, era giunta a Baia in carrozza. Lì le piacevolezze superarono la paura: fu accolta con affetto in una posizione superiore. In molti discorsi Nerone ora con giovanile confidenza e di nuovo tornato come se volesse coinvolgerla in cose serie (nelle questioni del principato), prolungato il banchetto, segue lei che si allontana, trattenendola [seguendola] più artificiosamente con gli occhi e stringendola al petto, sia per completare la simulazione, sia per trattenere l’ultima visione della madre che stava per morire, benché fosse di animo feroce.

[5] Gli dei offrirono una notte luminosa per le stelle e tranquilla per il mare calmo, quasi per rivelare il delitto. La nave non era ancora avanzata molto, accompagnavano Agrippina due persone del suo seguito, tra cui Crepeio Gallo stava non lontano dal timoniere, Acerronia china ai piedi di lei sdraiata ricordava per rallegrarla le scuse del figlio e il rapporto con la madre recuperato, quando ad un dato segnale cadde il tetto del luogo, pesante per il molto piombo, Crepeio fu schiacciato e morì subito: Agrippina e Acerronia furono protette dal pareti del letto sporgenti e per caso molto resistenti da resistere al peso. Non seguì la dissoluzione della nave sia perché tutti erano agitati e perché i moltissimi ignari [inconsapevoli] erano di impedimento ai consapevoli.

A questo punto sembrò opportuno ai rematori inclinare la nave su un lato e così farla affondare, ma il consenso da parte loro non fu pronto nell’azione immediata e altri tentando la cosa contraria, diedero meno forza al rovesciamento in mare. Tuttavia Acerronia per imprudenza, mentre urlava di essere Agrippina e che venisse soccorsa la madre del principe, con pali e remi e qualsiasi altra cosa avesse offerto il caso fu uccisa dai marinai con dardi scagliati. Agrippina silenziosa e per questo meno riconosciuta (tuttavia ricevette una sola ferita alla spalla) si allontanava nuotando, poi per il soccorso di barcaioli sul lago Lucrino, trasportata venne portata alla sua villa.

[6] Lì ritenendo di essere stata richiamata da lettere ingannevoli e trattata con ogni onore, vicina al lito, la nave non scossa dal vento, non incagliata sugli scogli era crollata nella sommità come in una macchina terrestre, considerando anche la morte di Acerronia, osservando contemporaneamente la sua ferita, percepì che l’unico riparo dalle insidie sarebbe stato non capire; inviò il liberto Agermo affinchè annunziasse al figlio che per la benevolenza degli dei e la sua fortuna aveva evitato un grave incidente; chiedeva che Nerone, benchè atterrito per il pericolo della madre, differisse la preoccupazione di visitarla; in quel momento le era necessaria tranquillità. E nel frattempo di quella sicurezza simulata si procurava medicinali per la ferita e rafforzamento per il corpo; ordinò che il testamento di Acerronia fosse trovato e che i beni fossero assegnati, questo soltanto non per simulazione.

[7] Tuttavia a Nerone che attendeva i messaggeri del delitto compiuto viene riportato che ha scampato il pericolo con una ferita da un lieve colpo e il pericolo corso era tale che non si dubitava dell’autore. Allora per timore dell’esanime e via via supplicando per una rapida vendetta o armando i servi o istigando l’esercito o coinvolgendo il senato e il popolo, rivelando il naufragio, la ferita e gli amici uccisi: lui cosa aveva da opporre come aiuto per sé, se non qualcosa dato da Burro e Seneca? Li fece venire subito, ma è incerto se anche prima fossero ignari. Poi ci fu un lungo silenzio dell’uno e dell’altro, affinchè non lo dissuadessero invano [per non cercare invano di dissuaderlo] oppure credevano che la cosa fosse arrivata al punto che se Agrippina non fosse stata preceduta [fermata], Nerone sarebbe morto.

Dopo Seneca, solo in questo [fu] più pronto, nel guardare Burro e domandare con insistenza se l’omicidio andasse comandato all’esercito. Quello rispose che i Pretoriani legati all’intera casata dei Cesari e memori di Germanico non avrebbero osato nulla di atroce contro sua figlia: che Aniceto mantenesse le cose promesse. Aniceto non esitando per nulla chiese la responsabilità del delitto. A queste parole Nerone dichiarò che in quel giorno gli veniva consegnato il potere e che il liberto era il responsabile di un tale dono: che andasse rapidamente e conducesse militari prontissimi ai comandi. Aniceto avendo sentito che era giunto il nunzio Agermo per ordine di Agrippina, prepara spontaneamente la scena del delitto e lancia un pugnale tra i piedi di quello mentre pronuncia ciò che era stato mandato a dire, poi come se lo avessero catturato, ordina che sia gettato in catene, per fingere che la madre avesse progettato la morte del principe e per la vergogna del delitto colto sul fatto spontaneamente si sarebbe data la morte.

[8] Intanto, divulgato il pericolo corso da Agrippina, come se fosse accaduto per caso, non appena ciascuno lo apprendeva, correva alla spiaggia. Questi avanzavano sul molo, quelli salivano sulle barche più vicine, altri quando l’altezza lo permettava procedevano in mare; alcuni protendevano le mani. Tutta la spiaggia era piena di preghiere, di domande, del vocio di coloro che chiedevano cose diverse o rispondevano cose incerte; un’ingente moltitudine affluiva con le luci e quando si seppe che era incolume, allora si dirigevano per congratularsi finchè furono allontanati dall’atteggiamento di un drappello di soldati armati e minacciosi.

Aniceto circondò la villa con un drappello e, sfondata la porta, abbatté i servi che gli venivano incontro, infine giunse alle porte della stanza, davanti alla quale pochi stavano, essendo gli altri spaventati dal terrore di quelli che irrompevano. Nel cubicolo c’era una luce soffusa e una sola delle ancelle, Agrippina era di momento in momento più ansiosa perchè nessuno giungeva dal figlio, neppure Agermo: sarebbe stato un altro l’aspetto di una notizia lieta; ora la solitudine e i rumori improvvisi e indizi di un male definitivo. Finché, andandosene l’ancella, dopo aver detto “Anche tu mi abbandoni?” dalla porta aperta vede Aniceto, accompagnato dal trierarca Erculeio e dal centurione della flotta Obarito: se era giunto per visitarla annunziasse che stava bene, se per commettere un delitto, non credeva niente a proposito del figlio; non poteva essere stato ordinato un matricidio. I sicari circondano il letto e per primo il triarca colpì con una mazza il suo capo. Già prossima alla morte, protendendo il ventre al centurione che impugnava la spada, esclamò “Ferisci il ventre” e fu uccisa dopo molte ferite.

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