FEDERICO DEGLI ALBERIGHI

FEDERICO DEGLI ALBERIGHI

FEDERICO DEGLI ALBERIGHI


Il Decameron è universalmente considerato l’epopea della civiltà mercantile italiana al suo culmine, esaltazione ottimistica alla vita sociale e intellettuale del nuovo ceto borghese. Tuttavia nello straordinario affresco narrativo di Boccaccio questo modello ideologico non è rappresentato come perfetto e inattaccabile. Talvolta un altro piano di valori si fa largo: è quello del mondo feudale e cavalleresco, delle virtù magnanime e disinteressate. Questo mondo della cortesia perduta ha il suo malinconico paladino in Federigo degli Alberighi. Cavaliere in rovina per colpa di una gioventù trascorsa a dissipare tutto il patrimonio nel vano corteggiamento di una dama altera, Federigo sacrifica l’ultimo suo bene, un falcone, per onorare con un banchetto l’imprevista visita della donna un tempo amata e causa della sua sventura: ma il destino beffardo fa sì che proprio quel falcone la donna fosse venuta a chiedere in dono, per salvare la vita al figlio suo, che, malato gravemente, aveva espresso il desiderio di possedere quell’animale. Disperato, Federigo rivela l’accaduto. Muore il figlio della donna e Federigo rimane senza il suo ultimo segno di distinzione aristocratica: ma il lieto fine viene assicurato dal riconoscimento, da parte della dama, della purezza dei sentimenti cavallereschi di Federigo. Un critico, Attilio Momigliano, ha detto di questa novella: “La trama si stende fra cose e luoghi comuni; ma una fiamma interiore trasfigura e innalza la materia umile. Idealmente quella rinunzia di Federigo non vale meno del duello di un antico cavaliere per la sua dama: anzi è più semplice e sembra più grande. (…) La cavalleria non è spenta: tutto quello che essa aveva conferito all’animo umano di eroico e di augusto, è rimasto nelle pagine del Boccaccio”.


Testo:
Federigo degli Alberighi ama e non è amato e in cortesia spendendo si consuma e rimangli un sol falcone, il quale, non avendo altro dà a mangiare alla sua donna venutagli a casa; la quale, ciò sappiendo, mutata d’animo, il prende per marito e fallo ricco.

Era già di parlar ristata Filomena, quando la reina, avendo veduto che più niuno a dover dire, se non Dioneo per lo suo privilegio, v’era rimaso, con lieto viso disse:

– A me omai appartiene di ragionare; e io, carissime donne, d’una novella simile in parte alla precedente il farò volentieri, non acciò solamente che conosciate quanto la vostra vaghezza possa ne’ cuor gentili, ma perché apprendiate d’esser voi medesime, dove si conviene, donatrici de’ vostri guiderdoni, senza lasciarne sempre esser la Fortuna guidatrice. La quale non discretamente, ma, come s’aviene, moderatamente il più delle volte dona.

Dovete adunque sapere che Coppo di Borghese Domenichi, il quale fu nella nostra città, e forse ancora è, uomo di grande e di reverenda autorità ne’ dì nostri, e per costumi e per vertù molto più che per nobiltà di sangue chiarissimo e degno d’eterna fama, essendo già d’anni pieno, spesse volte delle cose passate co’ suoi vicini e con altri si dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato parlare che altro uomo seppe fare. Era usato di dire, tra l’altre sue belle cose, che in Firenze fu già un giovane chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, in opera d’arme e in cortesia pregiato sopra ogni altro donzel di Toscana. Il quale, sì come il più de’ gentili uomini avviene, d’una gentil donna chiamata monna Giovanna s’innamorò, ne’ suoi tempi tenuta delle più belle donne e delle più leggiadre che in Firenze fossero; e acciò che egli l’amor di lei acquistar potesse, giostrava, armeggiava, faceva feste e donava, e il suo senza alcun ritegno spendeva; ma ella, non meno onesta che bella, niente di queste cose per lei fatte né di colui si curava che le faceva.

Spendendo adunque Federigo oltre a ogni suo potere molto e niente acquistando, sì come di leggiere adiviene, le ricchezze mancarono e esso rimase povero, senza altra cosa che un suo poderetto piccolo essergli rimasa, delle rendite del quale strettissimamente vivea, e oltre a questo un suo falcone de’ miglior del mondo. Per che, amando più che mai né parendogli più potere essere cittadino come disiderava, a Campi, là dove il suo poderetto era, se n’andò a stare. Quivi, quando poteva uccellando e senza alcuna persona richiedere, pazientemente la sua povertà comportava.

Ora avvenne un dì che, essendo così Federigo divenuto allo stremo, che il marito di monna Giovanna infermò, e veggendosi alla morte venire fece testamento, e essendo ricchissimo, in quello lasciò suo erede un suo figliuolo già grandicello e appresso questo, avendo molto amata monna Giovanna, lei, se avvenisse che il figliuolo senza erede legittimo morisse, suo erede substituì, e morissi.

Rimasa adunque vedova monna Giovanna, come usanza è delle nostre donne, l’anno di state con questo suo figliuolo se n’andava in contado a una sua possessione assai vicina a quella di Federigo. Per che avvenne che questo garzoncello s’incominciò a dimesticare con Federigo e a dilettarsi d’uccelli e di cani; e avendo veduto molte volte il falcon di Federigo volare e stranamente piacendogli, forte disiderava d’averlo ma pure non s’attentava di domandarlo, veggendolo a lui esser cotanto caro.

E così stando la cosa, avvenne che il garzoncello infermò: di che la madre dolorosa molto, come colei che più non n’avea e lui amava quanto più si poteva, tutto il dì standogli dintorno non restava di confortarlo e spesse volte il domandava se alcuna cosa era la quale egli disiderasse, pregandolo gliele dicesse, che per certo, se possibile fosse a avere, procaccerebbe come l’avesse.

Il giovanetto, udite molte volte queste proferte, disse: – Madre mia, se voi fa che io abbia il falcone di Federigo, io mi credo prestamente guerire.

La donna, udendo questo, alquanto sopra sé stette e cominciò a pensar quello che far dovesse. Ella sapeva che Federigo lungamente l’aveva amata, né mai da lei una sola guatatura aveva avuta, per che ella diceva: – Come manderò io o andrò a domandargli questo falcone che è, per quel che io oda, il migliore che mai volasse e oltre a ciò il mantien nel mondo? E come sarò io sì sconoscente, che a un gentile uomo al quale niuno altro diletto è più rimaso, io questo gli voglia torre?

E in così fatto pensiero impacciata, come che ella fosse certissima d’averlo se ‘l domandasse, senza sapere che dover dire, non rispondeva al figliuolo ma si stava.

Ultimamente tanto la vinse l’amor del figliuolo, che ella seco dispose, per contentarlo che che esser ne dovesse, di non mandare ma d’andare ella medesima per esso e di recargliele e risposegli: – Figliuol mio, confortati e pensa di guerire di forza, ché io ti prometto che la prima cosa che io farò domattina, io andrò per esso e sì il ti recherò. Di che il fanciullo lieto il dì medesimo mostrò alcun miglioramento.

La donna la mattina seguente, presa un’altra donna in compagnia, per modo di diporto se n’andò alla piccola casetta di Federigo e fecelo adimandare. Egli, per ciò che non era tempo, né era stato a quei dì, d’uccellare, era in un suo orto e faceva certi suoi lavorietti acconciare; il quale, udendo che monna Giovanna il domandava alla porta, maravigliandosi forte, lieto là corse.

La quale vedendol venire, con una donnesca piacevolezza levataglisi incontro, avendola già Federigo reverentemente salutata, disse: – Bene stea Federigo! – e seguitò: – Io sono venuta a ristorarti de’ danni li quali tu hai già avuti per me amandomi più che stato non ti sarebbe bisogno: e il ristoro è cotale che io intendo con questa mia compagna insieme destinar teco dimesticamente stamane.

Alla qual Federigo umilmente rispose: – Madonna, niun danno mi ricorda mai avere ricevuto per voi ma tanto di bene che, se io mai alcuna cosa valsi, per lo vostro valore e per l’amore che portato v’ho adivenne. E per certo questa vostra liberale venuta m’è troppo più cara che non sarebbe se da capo mi fosse dato da spendere quanto per adietro ho già speso, come che a povero oste siate venuta.

E così detto, vergognosamente dentro alla sua casa la ricevette e di quella nel suo giardino la condusse, e quivi non avendo a cui farle tenere compagnia a altrui, disse: – Madonna, poi che altri non c’è, questa buona donna moglie di questo lavoratore vi terrà compagnia tanto che io vada a far metter la tavola.

Egli, con tutto che la sua povertà fosse strema, non s’era ancor tanto avveduto quanto bisogno gli facea che egli avesse fuor d’ordine spese le sue ricchezze, ma questa mattina niuna cosa trovandosi di che potere onorar la donna, per amor della quale egli già infiniti uomini onorati avea, il fé ravedere. E oltre modo angoscioso, seco stesso maledicendo la sua fortuna, come uomo che fuor di sé fosse or qua e or là trascorrendo, né denari né pegno trovandosi, essendo l’ora tarda e il disiderio grande di pure onorar d’alcuna cosa la gentil donna e non volendo, non che altrui, ma il lavorator suo stesso richiedere, gli corse agli occhi il suo buon falcone, il quale nella sua saletta vide sopra la stanga, per che, non avendo a che altro ricorrere, presolo e trovatolo grasso, pensò lui esser degna vivanda di cotal donna. E però, senza più pensare, tiratogli il collo, a una sua fanticella il fé prestamente, pelato e acconcio, mettere in uno schedone e arrostir diligentemente; e messa la tavola con tovaglie bianchissime, delle quali alcuna ancora avea, con lieto viso ritornò alla donna nel suo giardino e il desinare, che per lui far si potea, disse essere apparecchiato.

Laonde la donna con la sua compagna levatasi andarono a tavola e, senza saper che si mangiassero, insieme con Federigo, il quale con somma fede le serviva, mangiarono il buon falcone. E levate da tavola e alquanto con piacevoli ragionamenti con lui dimorate, parendo alla donna tempo di dire quello per che andata era, così benignamente verso Federigo cominciò a parlare: – Federigo, ricordandoti tu della tua preterita vita e della mia onestà, la quale per avventura tu hai reputata durezza e crudeltà, io non dubito punto che tu non ti debbi maravigliare della mia presunzione sentendo quello per che principalmente qui venuta sono; ma se figliuoli avessi o avessi avuti, per li quali potessi conoscere di quanta forza sia l’amor che lor si porta, mi parrebbe esser certa che in parte m’avresti per iscusata. Ma come che tu non n’abbia, io che n’ho uno, non posso però le leggi comuni d’altre madri fuggire; le cui forze seguir convenendomi, mi conviene, oltre al piacer mio e oltre a ogni convenevolezza e dovere, chiederti un dono il quale io so che sommamente t’è caro: e è ragione, per ciò che niuno altro diletto, niuno altro diporto, niuna consolazione lasciata t’ha la sua strema fortuna, e questo dono è il falcon tuo, del quale il fanciul mio è sì forte invaghito, che, se io non gliene porto, io temo che egli non aggravi tanto nella infermità la quale ha, che poi ne segua cosa per la quale io il perda. E per ciò ti priego, non per l’amore che tu mi porti, al quale tu di niente se’ tenuto, ma per la tua nobiltà, la quale in usar cortesia s’è maggiore che in alcuno altro mostrata, che ti debba piacere di donarlomi, acciò che io per questo dono possa dire d’avere ritenuto in vita il mio figliuolo e per quello averloti sempre obligato.

Federigo, udendo ciò che la donna adomandava e sentendo che servir non ne la potea per ciò che mangiar gliele avea dato, cominciò in presenza di lei a piagnere anzi che alcuna parola risponder potesse. Il quale pianto la donna prima credette che da dolore di dover da sé dipartire il buon falcone divenisse più che d’altro, e quasi fu per dire che nol volesse; ma pur sostenutasi, aspettò dopo il pianto la risposta di Federigo, il qual così disse: – Madonna poscia che a Dio piacque che io in voi ponessi il mio amore, in assai cose m’ho reputata la fortuna contraria e sonmi di lei doluto; ma tutte sono state leggieri a rispetto di quello che ella mi fa al presente, di che io mai pace con lei aver non debbo, pensando che voi qui alla mia povera casa venuta siete, dove, mentre che ricca fu, venir non degnaste, e da me un picciol don vogliate, e ella abbia sì fatto, che io donar nol vi possa: e perché questo esser non possa vi dirò brievemente. Come io udii che voi, la vostra mercé, meco desinar volavate, avendo riguardo alla vostra eccellenzia e al vostro valore, reputai degna e convenevole cosa che con più cara vivanda secondo la mia possibilità io vi dovessi onorare, che con quelle che generalmente per l’altre persone s’usano: per che, ricordandomi del falcon che mi domandate e della sua bontà, degno cibo da voi il reputai, e questa mattina arrostito l’avete avuto in sul tagliere, il quale io per ottimamente allogato avea; ma vedendo ora che in altra maniera il disideravate, m’è sì gran duolo che servire non ve ne posso, che mai pace non me ne credo dare.

E questo detto, le penne e i piedi e ‘l becco le fé in testimonianza di ciò gittare davanti. La qual cosa la donna vedendo e udendo, prima il biasimò d’aver per dar mangiare a una femina ucciso un tal falcone, e poi la grandezza dell’animo suo, la quale la povertà non avea potuto né potea rintuzzare, molto seco medesima commendò. Poi, rimasa fuori dalla speranza d’avere il falcone e per quello della salute del figliuolo entrata in forse, tutta malinconosa si dipartì e tornossi al figliuolo. Il quale, o per malinconia che il falcone aver non potea o per la ‘nfermità che pure a ciò il dovesse aver condotto, non trapassar molti giorni che egli con grandissimo dolor della madre di questa vita passò.

La quale, poi che piena di lagrime e d’amaritudine fu stata alquanto, essendo rimasa ricchissima e ancora giovane, più volte fu da’ fratelli costretta a rimaritarsi. La quale, come che voluto non avesse, pur veggendosi infestare, ricordatasi del valore di Federigo e della sua magnificenzia ultima, cioè d’avere ucciso un così fatto falcone per onorarla, disse a’ fratelli: – Io volentieri, quando vi piacesse, mi starei; ma se a voi pur piace che io marito prenda, per certo io non ne prenderò mai alcuno altro, se io non ho Federigo degli Alberighi.

Alla quale i fratelli, faccendosi beffe di lei, dissero: Sciocca, che è ciò che tu di’? come vuoi tu lui che non ha cosa al mondo?

A’ quali ella rispose: – Fratelli miei, io so bene che così è come voi dite, ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d’uomo.

Li fratelli, udendo l’animo di lei e conoscendo Federigo da molto, quantunque povero fosse, sì come ella volle, lei con tutte le sue ricchezze gli donarono. Il quale così fatta donna e cui egli cotanto amata avea per moglie vedendosi, e oltre a ciò ricchissima, in letizia con lei, miglior massaio fatto, terminò gli anni suoi.


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