L’Italia della Sinistra

L’Italia della Sinistra

Anni ’70 – ’80.

L’economia italiana rimase arretrata nei confronti di quella europea e mondiale perché fondata sull’esportazione dei prodotti agricoli e sull’importazione delle materie prime, inoltre la differenza tra nord e sud continuava a crescere.

In questi anni sorsero le prime fabbriche in Lombardia, Piemonte e Veneto.

Questo sviluppo si intrecciò con la crisi che fu avvertita maggiormente nelle campagne e nel sud e che innescò il processo dell’immigrazione.

Le elezioni del 1876 segnarono la nascita di un ministero di sinistra pura.

Il trasformismo.

Della neonata sinistra prevalse la parte conservatrice. Sin dai primi anni di governo si verificò il fenomeno del trasformismo ovvero la coagulazione dei partiti in una maggioranza democratica. Tra gli esponenti troviamo Minghetti e Crispi

Il programma della sinistra.

Il programma di governo fu presentato da Depretis. Prevedeva l’estensione del suffragio, l’istruzione elementare obbligatoria e laica, un’inchiesta agraria, l’abolizione della tassa sul macinato e una maggiore autonomia ai comuni con l’elezione dei sindaci.

La legge Coppino proclamò nel 1877 l’obbligatorietà dell’istruzione elementare ma per fattori economici (costruzione di scuole, assunzione di docenti) e sociali, in quanto le famiglie povere non volevano rinunciare alle entrate del figlio lavoratore, la legge rimase per lo più inoperante.

Nel 1882 fu promossa la riforma che allargò il suffragio a circa un quarto della popolazione (esclusi nullatenenti e analfabeti). Nello stesso anno Depretis avviò una politica estera di forza e prestigio.

L’inchiesta agraria fu terminata nel 1884 e si tratto di un indagine rigorosa che non portò però a nessuna riforma.

Neppure la contemporanea abolizione della tassa sul macinato provocò gli effetti sperati. L’aggravarsi del deficit portò infatti un aumento delle imposte di consumo.

Nel 1888 i sindaci divennero elettivi.

La svolta protezionista.

Le elezioni del1882 formarono una grande maggioranza che appoggiava il governo e esigue minoranze isolate.

Depretis continuò nel suo programma conciliandosi con la chiesa, abolendo il corso forzoso, rinnovando le convenzioni ferroviarie e intervenendo in favore delle industrie.

Sorsero nuove industrie (1881-85) come le prime acciaierie, si formò la Navigazione Generale Italiana in favore delle banche e i cantieri furono favoriti con appalti e commesse.

Con la crisi però alle richieste di intervento degli industriali si aggiunsero i proprietari terrieri che reclamavano misure economiche. Si giunse quindi, nel 1887, alla Tariffa Generale che, tassando le materie prime in ingresso, avrebbe sfavorito la concorrenza estera. Nasceva il blocco agrario – industriale. Le conseguenza furono gravi, la guerra doganale con la Francia finì per affossare le colture e l’estrazione di zolfo.

Le prime organizzazioni socialiste.

Le campagne non si chiusero di fronte all’avanzata del socialismo; le associazioni di contadini furono anzi appoggiate dagli operai delle fabbriche.

Nel 1882 il partito operaio si alleò ai socialisti rivoluzionari e affrontò le elezioni. Costa ebbe il seggio a Ravenna e fu così il primo socialista ad entrare in parlamento.

I cattolici e lo stato.

Tra i cattolici vi erano due tendenze. La prima manifestava l’obbedienza al pontefice ma sperava che avvenisse la conciliazione tra chiesa e stato. Voleva inoltre erigere una barriera contro i socialisti. Quando fu ormai chiaro che la conciliazione non era possibile prese il sopravvento la seconda tendenza , i cui membri erano detti intransigenti, che era ostile allo stato. Gli intransigenti erano estremamente astensionisti ma, per mantenere una forte presenza, partecipavano alle elezioni amministrative. Contro lo stato levavano i valori intermedi (famiglia, scuola…) e volevano promuovere l’insegnamento affidato al clero e limitare il monopolio statale della scuola. Dopo il 1887 cercarono di fondare delle basi nella società creando società di mutuo soccorso e cooperative.

Politica estera e Triplice Alleanza.

In Francia si era instaurato una repubblica borghese conservatrice all’interno e imperialista all’esterno mentre in Germania si era creato il reich. Al Congresso di Berlino Bismarck radunò i rappresentanti di stato europei  e l’Italia adottò una politica di disimpegno. Questo creò scalpore tra l’opinione nazionalista. Si diceva che il governo non aveva rivendicato le zone italiane sotto l’influenza austriaca e i colonialisti denunciavano la rinuncia delle aspirazioni italiane in Africa dopo che la Francia aveva ottenuto i diritti sulla Tunisia.

Quando nel 1881 la Francia invase la Tunisia l’alleanza con l’Italia cadde. Per non trovarsi isolata l’Italia fece un patto con Austria e Germania, la Triplice Alleanza, che garantiva la collaborazione in caso di attacchi francesi e l’indifferenza qualora uno stato firmatario avesse attaccato la Francia. Secondo Depretis fu un contrappeso conservatore in vista della riforma elettorale.

Molti lo videro come un avvio di una politica di prestigio.

Gli irredentisti però respinsero la Triplice in quanto miravano all’unità nazionale.

L’inizio del colonialismo.

Nel 1882 Depretis decise di iniziare un politica coloniale acquistando la baia di Assab. Questo era un passo verso il Mar Rosso.

D’accordo poi con l’Inghilterra, impegnata in Sudan contro i dervisci di Alì, l’Italia inviò l’esercito verso l’Etiopia partendo del porto di Massaia. Entrando però ne territorio del negus Giovanni VI controllato dal ras del Tigrè  gli italiani furono trucidati in Abissinia a Dogali. Diventò una questione nazionale e, anche se gli industriali chiedevano il ritiro delle truppe, Depretis diede i fondi per inviare rinforzi nel Mar Rosso.

La crisi di fine secolo.

Crispi.

Nel 1887 si ebbe il rinnovo della Triplice, la stipulazione della Tariffa e il disastro di Dogali. Oltre a tutto ciò Depretis morì e gli succedette Crispi. Egli era un mazziniano che fu braccio destro di Garibaldi e durante il trasformismo aveva diretto all’opposizione la Pentarchia. Crispi ottenne la presidenza del consiglio e da allora si accostò sempre di più alle aspirazioni della classe dirigente. Fu durissimo nella persecuzione delle forze che riteneva illegali ma tollerante e rispettoso dei diritti dei cittadini di prima classe.

Nei primi mesi del ministero strinse più stretti rapporti con la Germania e giunse alla sospensione degli scambi con la Francia lasciando dapprima cadere il trattato firmato nel 1886 e aumentando i dazi doganali, e arrivando poi alla guerra doganale. Questa riduzione delle esportazioni provocò la crisi dell’industria nel periodo in cui i latifondisti uscivano dalla crisi. L’espansione urbanistica aveva incoraggiato investimenti speculativi che avevano portato allo sventramento di alcune città. Ma la fine del boom provocò la crisi delle imprese che il governo fronteggiò con finanziamenti.

Crispi rilanciò la politica coloniale nella quale vedeva la possibilità di sfamare la fame di terra del popolo. Quindi l’espansione in Africa diventò parte del programma di Crispi il quale procedette all’occupazione di Asmara e alla proclamazione della colonia Eritrea. Nei riguardi dell’Abissinia incoraggiò la salita al potere del ras Menelik che riconobbe il possesso italiano dell’Eritrea e accettando il protettorato italiano.

Nella politica interna Crispi si propose di rafforzare il potere esecutivo emanando leggi in favore della polizia. Con la legge del 1888 volle ampliare la democrazia nelle amministrazioni periferiche. Accrebbe la possibilità dei cittadini di fare ricorso contro l’Amministrazione presso la IV Sezione del Consiglio di Stato e, nel 1889, fece redarre il Codice Zanardelli che aboliva la pena di morte e sanciva il diritto di sciopero.

Crispi non vedeva il re come la più alta carica ma come una persona carismatica che doveva guidare il popolo.

Nei confronti del vaticano  incoraggiò dapprima i colloqui ma quando li vide inutili tornò all’anticlericalismo.

Le origini del socialismo.

A Milano si era da poco costituito il partito operaio ed era stata creata la prima camera del lavoro. Ai moti sociali lombardi e romagnoli si aggiunsero i Fasci siciliani, movimento contadino sorto contro la guerra doganale con la Francia. Se si fosse riusciti a riunire queste forze diverse e divise si sarebbe potuto dare vita ad un movimento di opposizione su scala nazionale. A questo pensarono Turati e Labriola (criminali) che, al congresso di Genova nel 1892 formarono il partito socialista che prenderà il posto di quello anarchico.

Il primo ministero di Giolitti.

Crispi era stato battuto alla camera e nel 1892 il governo è affidato a Giolitti che adotta una linea liberal – costituzionale che soddisfala i borghesi che erano disinteressati agli appalti militari.

Giolitti tentò di migliorare i rapporti con la Francia ponendo fine alla guerra doganale. Secondo Giolitti il governo non doveva schierarsi con la parte più privilegiata ma astenersi dalle “lotte di classe” e limitarsi a restringerle nel campo della legalità. Assunse inoltre un atteggiamento di tolleranza nei confronti del partito socialista e impose le tasse proporzionali al reddito. Questo gli fruttò l’antipatia agli occhi dei borghesi che approfittarono del crollo della Banca Romana per costringere Giolitti a dimettersi.

Il ritorno di Crispi.

Crispi torna al governo nel 1893 e si occupa subito dei tumulti in Sicilia ad opera dei Fasci inviando 50.000 soldati e conferendogli pieni poteri. La legge marziale fu applicata anche in Lunigiana. Il partito socialista aveva espresso solidarietà con gli agitatori siciliani e pertanto alcuni suoi membri vennero (giustamente) deferiti dall’autorità ed il partito fu (giustamente) messo al bando.

Crispi si occupò nuovamente della politica colonialista. Nel trattato di Uccialli erano emerse delle imprecisioni colte dal negus Menelik che denunciò il fatto. La denuncia fu interpretata come offesa. Crispi si proclamò tutore dell’Onore Nazionale ordinò al generale Baratieri di superare il confine del Mareb. In risposta Menelik inviò 100.000 uomini, armati ed equipaggiati dai compagni russi e francesi, che sterminarono ad Adua l’esercito italiano facendo 6.000 morti. Di fronte alla disfatta Crispi dovette dimettersi.

Rudinì e Bava – Beccaris.

Le forze fautori di Crispi volevano sbarrare la strada all’avanzata popolare. Di esse si fece interprete Sidney Sonnino il quale chiedeva che i governi tornassero a rispettare la figura del monarca riducendo il potere del Parlamento.

A Crispi successe Rudinì che con un’amnistia fece scarcerare molti condannati politici. In questi anni si hanno tumulti al grido di <<pane e lavoro!>> che potevano essere sedate eliminando la tassa sulla farina cosa che Rudinì non fece per non inimicarsi i ceti alti. Quando fu Milano ad essere scossa dalle manifestazioni Rudinì intravide una possibile rivoluzione e, conferendogli i pieni poteri, ordinò al generale Bava – Beccaris di sedare i tumulti, dai quali i socialisti si dissociarono. Seguirono arresti e soppressioni di giornali oppositori, socialisti e cattolici. Bava – Beccaris fu premiato.

Le leggi eccezionali.

Dopo i fatti di Milano Rudinì si dimesse ed al suo posto fu chiamato Pelloux. Questi propose alla Camera una serie di leggi, dette eccezionali, che proponevano di rendere permanenti i metodi di repressione adottati a Milano. Scoppiò una forte polemica al governo e l’opposizione ricorse all’ostruzionismo. Per tentare di ovviare all’ostacolo Pelloux ricorse ai decreti legge ma la corte di Cassazione dichiarò la manovra anticostituzionale; allora sciolse le camere. Si voto nel 1900 e l’opposizione vinse. Nello stesso anno Umberto I veniva ucciso da Gaetano Bresci e diveniva sovrano Vittorio Emanuele III. Egli intuì che l’unico modo per riportare l’Italia ad una situazione normale si doveva ricorrere alle riforme proposte dalla sinistra giolittiana. Nel 1901 il governo sarà affidato a Zanardelli che ebbe con se Giolitti. Zanardelli morirà dopo poco.

L’età giolittiana.

Decollo industriale e programma di Giolitti.

Nel primo ‘900 l’Italia possedeva industrie competitive a livello europeo. Infatti l’introduzione dell’energia idroelettrica favorì, oltre a potenziare le fabbriche, la nascita di nuove aziende nel settore automobilistico e meccanico. L’agricoltura però era ancora molto arretrata. Giolitti pensava che lo stato dovesse essere neutrale ma che dovesse fare delle leggi per aiutare la popolazione. Infatti credeva che gli scioperi non dovessero essere repressi ma lasciati “sfogare” ed esaurire. Dichiarò inoltre la neutralità dello stato nel conflitto tra capitale e lavoro. Attraverso le sue riforme infatti l’Italia arrivò ad un tale sviluppo e ad una tale ricchezza che la lira veniva valutata più dell’oro. Per garantire un periodo di pace all’Italia allentò gli impegni con la Triplice e si riavvicinò a Francia e Inghilterra. Giolitti aveva però anche molti oppositori e, per accontentare sia i suoi fautori che i suoi contrari cercò sempre di fare riforme sia per gli uni che per gli altri. Tra le più importanti riforme di sinistra ricordiamo la previdenza sociale, accorciò la giornata lavorativa, riconobbe i diritti delle donne, nazionalizzò le ferrovie, aprì il traforo del Sempione, costruì l’acquedotto pugliese e impose il giorno di riposo obbligatorio. A causa poi di una grave carestia, di terremoti e di tumulti agrari dovette dimettersi. Gli antigiolittiani si riunirono nell’associazione Nazionalista Italiana (ANI).

Nel 1911 tornò al governo e fece tre grandi leggi: rese obbligatoria e gratuita la scuola, statalizzò l’assistenza pubblica e garantì il suffragio universale maschile. Come “contrappeso” per la destra fece partire i soldati per la Libia.

Distinse molto il nord dal sud. Al sud infatti favorì la malavita mentre al nord la legge segnando così l’inizio del declino del partito liberale. Nel 1903 aveva offerto a Turati la possibilità di entrare nel governo ma questi rifiutò. Questo mostra come Giolitti tentasse di rendersi amica talvolta la sinistra, talvolta la destra.

La guerra di Libia.

Con la guerra di Libia, che era sotto l’impero ottomano reso debole dalla questione d’oriente, si pensò che l’Italia dovesse essere rispettata. Oltre alla destra una buona parte della popolazione e alcuni socialisti appoggiavano Giolitti in questa guerra. La sconfitta di Adua era anche una perdita diplomatica della libertà di muoversi in Africa. Giolitti strinse così accordi con Francia e Inghilterra che riconobbero questa libertà. Nel 1911, dopo un ultimatum, le truppe sbarcarono. Per concludere in fretta il conflitto la Turchia fu stretta a Rodi e fu costretta a firmare la pace di Losanna nel 1912.

Socialisti e cattolici.

Il socialismo era un partito di massa con molti iscritti e le sue anime erano Costa, Turati e Giolitti. I socialisti si dividevano tra socialisti di destra e di sinistra. I primi, detti riformisti, volevano gli operai in politica e rifiutavano la lotta di classe ed erano capeggiati da Bonomi e Bissolati. I secondi, detti massimalisti, erano la parte violente del partito e reclamavano scioperi e azioni violente; erano rappresentati da Labriola.

Nel congresso di Ravenna nel 1912 i massimalisti ebbero la meglio grazie a Mussolini, anch’egli per la linea dura. Egli diventerà capo del partito e vi darà connotati più efficaci.

Tra i cattolici vigeva ancora il non-expedit (non potevano né votare né essere votati) e Pio IX, allora papa, concesse il voto solo se a titolo personale per evitare le confederazioni di cattolici in parlamento.

Tra i più importanti personaggi ricordiamo Murri, il quale voleva creare un partito di massa e venne sospeso, e Sturzo che, dopo l’esempio di Murri, rimarrà in ombra.

Nel 1910 spiccarono anche i nazionalisti che, dopo il congresso di Firenze fondarono l’ANI. Essi promuovevano la guerra e vedevano nell’impresa in Libia il loro programma.

I problemi del sud.

Giolitti aveva operato una politica di rinnovo e industrializzazione solo al nord lasciando il sud nell’arretratezza e il popolo non rimase in silenzio. Importanti personalità ribadirono lo scompenso e accusarono Giolitti di due cose:

lo sviluppo industriale era stato sorretto dei contribuenti meridionali che avevano pagato i costi dell’industrializzazione. Inoltre la Tariffa e il protezionismo avevano limitato i commerci con l’estero e il sud era la zona di scarico delle merci del nord.

I favori elargiti alle autorità del sud avevano trasformato la rappresentanza meridionale in uno strumento del governo. Alle plebi del sud quindi rimase come unica via l’emigrazione.

Le elezioni del 1913 e la settimana rossa del ‘14.

Per paura che i liberali affossassero il suo partito alle elezioni, Giolitti firmerà in segreto il patto Gentiloni che garantirà i voti dei cattolici ai socialisti solo se non faranno leggi anticlericali e ostacoleranno i liberali.

Ma il conte Gentiloni in parlamento divulgherà l’esistenza del patto e Giolitti sarà costretto a dimettersi. Nel 1914 salì al governo Salandra. Allorché si riaccese la protesta guidata dai socialisti rivoluzionari tra i quali Mussolini. Essi tentarono di far sfociare uno sciopero in rivoluzione ma la sommossa fu stroncata da Salandra che non esitò a mobilitare l’esercito. La sommossa fu chiamata “settimana rossa”.

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