IL PONTE ANALISI DI GIOVANNI PASCOLI

IL PONTE ANALISI DI GIOVANNI PASCOLI

IL PONTE ANALISI DI GIOVANNI PASCOLI


La glauca luna lista l’orizzonte
e scopre i campi nella notte occulti
e  il fiume errante. In suono di singulti
l’onda si rompe al solitario ponte.

Dove il mar, che lo chiama? E dove il fonte,
ch’esita mormorando tra i virgulti?
Il fiume va con lucidi sussulti
al mare ignoto dall’ignoto monte.

Spunta la luna: a lei sorgono intenti
gli alti cipressi dalla spiaggia triste,
movendo insieme come un pio sussurro.

Sostano, biancheggiando, le fluenti
nubi, a lei volte, che salian non viste
le infinite scalée del tempio azzurro.


Giovanni Pascoli, con Gabriele d’Annunzio, è uno dei più importanti poeti del Decadentismo italiano: i temi da lui trattati nelle varie raccolte poetiche sono spesso allineati a quelli della letteratura europea contemporanea; ciò si può ben vedere in questo componimento, Il ponte, appartenente a Myricae, la raccolta più significativa di Pascoli. Questo sonetto potrebbe a prima vista sembrare una descrizione di un ambiente notturno, illuminato dalla luna, con lo scorrere tranquillo del fiume dalla sorgente al mare; tuttavia non è così, ha un significato più profondo:

  • La prima quartina inizia con la descrizione di un notturno lunare, il momento di “trapasso”: la luna, non ancora ben visibile, inizia a illuminare di una luce azzurro-grigia l’orizzonte e i campi, altrimenti nascosti dal buio della notte, e il fiume che scorre sotto al “solitario ponte”. Potrebbe a prima vista sembrare solo una descrizione, ma inizia a presentarsi un tono più tormentato: l’onda che si infrange sul ponte produce un singulto (v. 3); il ponte è totalmente solo, quasi “dimenticato” come l’aratro di Lavandare;
  • Nella seconda quartina si mostra apertamente il tema reale del componimento: il fiume che scorre è una metafora per la vita stessa, che inizia da un fonte (cioè la sorgente, la nascita) per poi arrivare al mare (cioè la fine del percorso, la morte). La seconda quartina si apre con una serie di domande: “Dove il mar?” “Dove il fonte?”. Molto importante è il v.8 che chiarisce il pensiero del poeta: “al mare ignoto, dall’ignoto monte”. Questo verso, contenente due figure retoriche, il chiasmo e l’anafora di ignoto, spiega i suoi dubbi più profondi riguardo la vita: la nascita e la morte sono fenomeni sconosciuti che fin dalla tenera età hanno tormentato il poeta, a causa dei vari lutti nel “nido” familiare. Come ne L’assiuolo, dove il poeta chiede “dov’era la luna?”, “le invisibili porte che forse non s’aprono più…”, ritornano incombenti i temi della morte, dell’ignoto, dell’irrazionale, tratti che accomunano la poetica di Pascoli al clima decadente;
  • Nella prima terzina compare la luna, e gli elementi naturali, come “il mandorlo e il melo” de L’assiuolo, cercano di osservarla meglio; tuttavia le presenze naturali sono qui desolate: i cipressi sono gli alberi che solitamente si trovano nei cimiteri, la spiaggia è definita “triste”. La natura produce quindi dei sussurri come in una preghiera: essi sono lo scorrere lento dell’acqua e il muoversi delle foglie;
  • Nell’ultima terzina torna invece a osservare il cielo, le nubi che si muovono verso la luna, come richiamate da una forza magica e ignota.

Le varie presenze della natura nascondono quindi profondi valori simbolici, si riferiscono in realtà allo scorrere della vita: il fiume è proprio la personificazione della vita dell’uomo, che parte dell’“ignoto monte”, dove si trova il fonte che rappresenta il misterioso inizio del tutto, un momento e un mondo sconosciuto, impalpabile, inconoscibile, su cui il poeta non può fare a meno di porsi domande; il mare, anch’esso sempre ignoto, rappresenta invece il concludersi del viaggio del fiume e quindi, fuor di metafora, la morte: anch’essa è sconosciuta ma il poeta, tormentato dai lutti della sua vita, si chiede che cos’è in realtà questa morte che prende ogni cosa. Più difficile è invece l’interpretazione del ponte, della luna, dei cipressi, delle nubi e del cielo: a mio parere il ponte potrebbe rappresentare gli ostacoli della vita (v.3:“singulti”, v.4:“si rompe”), oppure dei momenti fondamentali in cui si sorpassa un qualcosa, come il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, o dall’adolescenza all’età adulta. La luna, data la sua posizione dominante nella poesia, potrebbe rappresentare la figura fondamentale nella vita di una persona, come il padre o la madre; le altre presenze naturali che si protendono verso il cielo, che osservano la luna o lo scorrere del fiume, cioè le nubi e i cipressi, potrebbero rappresentare la famiglia, valore importantissimo per Pascoli. Il cielo potrebbe così diventare la rappresentazione stessa del “nido” familiare, che accoglie tutte le altre figure della poesia. Chiaramente queste sono solo ipotesi in quanto la poesia ha un tono molto “vago e indefinito”, trascendente, quasi mistico, senza nulla di preciso. Pascoli, come sempre, è molto attento al fonosimbolismo, al valore del suono nella poesia: già nel primo verso, quando non è stato ancora introdotto il protagonista, ovvero il fiume, con l’allitterazione della consonante “l” definita appunto liquida, il poeta ci vuole dare una sensazione di qualcosa di sospeso, fluttuante, che scorre. Come ho già detto in precedenza, la seconda quartina è fondamentale per la comprensione del testo poetico: il paesaggio notturno diventa più incerto e misterioso; nonostante la luce argentea della luna che illumina il paesaggio, alcune figure rimangono nascoste, il fonte e il mare. Questo viene appunto precisato dalle due domande presenti e dall’aggettivo “esitante”: la sorgente è nascosta, insicura, così come la nascita e la sorgente della vita stessa, che può scomparire da un momento all’altro (come il padre e la madre di Pascoli, che scompaiono nel giro di due anni, lasciando in lui un profondo senso di vuoto, di mancanza). Il senso di mistero, di incertezza viene sottolineato dall’aggettivo “ignoto”, ripetuto ben due volte in uno stesso verso (anafora) e dal chiasmo del v.8. Alcune metafore contribuiscono a dare al paesaggio e ai suoni un significato religioso e sacrale, sempre utilizzato per sottolineare il mistero insito nella natura; queste espressioni sono: i campi “occulti” del v.3, che alludono a un qualcosa di misterioso, di inconoscibile; il “pio sussurro” dei cipressi e della spiaggia. Il suono delle foglie che si muovono al vento e il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia sono paragonati a una preghiera. L’ultima metafora di questo genere è “le infinite scale del tempio azzurro”, v.14. Questa metafora non è molto semplice da esplicitare ma si potrebbe così riassumere: le nuvole salivano nel cielo sempre più in alto (il cielo è il tempio azzurro) fino ad arrivare alla luna, qui vista proprio come una divinità (non è quindi solo un’apparizione, ma proprio una teofania). Le sensazioni visive e uditive presenti nel sonetto sono numerosissime: la “glauca luna” che emana quindi una luce azzurro-grigia, il buio della notte che nasconde i campi, il suono delle onde del fiume (“singulti”, v.3), definito anche un mormorio al v.6, un insieme di sussulti (v.7) e sussurri (v.11), le nuvole bianche che si muovono verso il cielo azzurro (vv. 12-13-14). Quest’ultima espressione visiva è espressa mediante una figura retorica, quella dell’ossimoro: le nubi “fluenti” (che quindi si muovono come un liquido) sostano nel cielo; si può trovare anche l’enjambement tra fluenti e nubi tra i vv.12-13. Il ritmo della poesia è lento e spezzato, quasi a voler riprendere il calmo scorrere del fiume che però è rotto dalle onde che si riversano sulla spiaggia. Le frasi sono infatti brevi e spezzate anche all’interno del verso, basti vedere le due domande una dopo l’altra, in soli due versi (vv.5-6). Nella sintassi è prevalente l’utilizzo di coordinate, unite tra loro dall’asindeto (sono presenti molte virgole) o dal polisindeto (e,e, come ai vv. 2-3). Questo componimento presenta molti dei temi ricorrenti nella poesia pascoliana, in linea con il Decadentismo europeo. Innanzitutto si può notare il carattere estremamente soggettivo, intimistico: anche se Pascoli non sta qui raccontando un’esperienza personale o un ricordo, senza dubbio traspare la sua inquietudine di fronte ai misteri della vita, la nascita, la morte, il suo interesse verso questi, il suo desiderio di comprendere l’essenza del reale (come si può chiaramente vedere dalle domande, che non sono rivolte a nessuno di preciso, ma risuonano senza risposta nella notte). Questo desiderio di comprendere il significato profondo della realtà, le corrispondenze tra le cose, è uno dei temi principali del periodo: si può vedere ad esempio Corrispondenze di Baudelaire, quasi un precursore o iniziatore del Decadentismo in Francia. Anche l’ambiente notturno, con i campi nascosti dal buio, gli oggetti imprecisi, il momento di trapasso dalla sera alla notte, con la luna non chiaramente visibile, è un altro dei temi più presenti in Pascoli e nel Decadentismo. Un’atmosfera simile si può infatti trovare in L’assiuolo, o ne La sera fiesolana di d’Annunzio, dove il momento descritto è proprio lo stesso, l’apparizione della luna. Si può notare poi la vicinanza di Pascoli al clima decadente per lo stile: egli utilizza molte figure retoriche concentrandosi soprattutto su quelle di suono (onomatopee, allitterazioni, assonanze) o anche su quelle di significato (come la sinestesia che permette l’accostamento di sensazioni visive, uditive, tattili…). Importante e ricorrente è anche il tema della morte, della fine di qualcosa, qui rappresentata dal mare; ciò si vede in Languore, in cui Verlaine parla de “l’impero alla fine della decadenza”. La notte è uno dei temi principali non solo per il decadentismo; esso è anche in continuità con il Romanticismo: in questo periodo molto importante è stato Leopardi. Anche questo poeta infatti descrive molte atmosfere vaghe e indefinite, notturne, imprecise. Si può in questo senso vedere La sera del dì di festa o Alla luna o Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. Ad esempio, per quanto riguarda La sera del dì di festa, la scena si apre con un notturno lunare, che rende così vaghe e imprecise le figure presenti, come il canto solitario dell’artigiano che torna a casa a “tarda notte”; il poeta si perde così tra i suoi pensieri e inizia a riflettere sulla realtà, sul tempo, sulla sua infelicità. Pascoli, come Leopardi, inizia a pensare al significato della vita proprio ispirato da un ambiente simile. Forse la poesia di Leopardi con un’atmosfera più simile a quella di Pascoli è Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: il paesaggio è astratto, indefinito, imprecisato; il pastore, riflettendo sul senso della vita, pone molte domande alla luna personificata che non risponde mai, non si sa nemmeno se ascolta le vane domande del pastore. Ne Il ponte di Pascoli succede la stessa cosa: l’io lirico pone domande molto profonde, senza precisare a chi; le presenze naturali, tra cui proprio la luna, lo ignorano, continuano indifferenti nel loro percorso. In conclusione, nonostante questo sonetto possa sembrare una semplice descrizione di un paesaggio notturno, in realtà cela nascosti molti significati profondi: questo è Pascoli, sia il poeta “fanciullino”, gioioso, sereno, dalla visione aurorale e alogica della realtà, sia quello tormentato, morboso e pieno di inquietudine.

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