PARAFRASI ENEIDE LIBRO 2 DAL VERSO 225 A 295

PARAFRASI ENEIDE LIBRO 2 DAL VERSO 225 A 295


-Ma i draghi gemelli di corsa fuggono ai sommi templi e cercano la rocca della crudele Tritonide, si nascondono sotto i piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo. 
Allora davvero nei cuori atterriti a tutti si insinua un nuovo terrore e dicono che Laocoonte meritandolo ha pagato il delitto, lui che violò con la punta il rovere sacro e scagliò la lancia sciagurata nel fianco. Gridano che si deve condurre nelle case la statua e pregare la maestà della dea. Dividiamo le mura ed i baluardi apriamo della città. Tutti s’accingono all’opera ed ai piedi mettono scorrimenti di ruote e tendono al collo corde di stoppa; la macchina fatale sale le mura piena di armi. Attorno ragazzi e vergini fanciulle cantano inni e gioiscono toccare la fune con mano; ella avanza e minacciando scorre in mezzo alla città. O patria, o Ilio, casa degli dei e mura dei Dardanidi famose in guerra. Quattro volte sulla soglia stessa della porta tentennò e quattro volte nel ventre le armi diedero un suono. Insistiamo tuttavia smemorati e ciechi di pazzia e sistemiamo il mostro funesto nella rocca consacrata. Allora anche Cassandra apre la bocca ai fati futuri mai creduta dai Teucri per ordine del dio. Noi miseri, per i quali sarebbe stato l’ultimo quel giorno, orniamo i templi di fronde festosa per la città. Intanto il cielo gira e dall’Oceano corre la notte avvolgendo con la grande ombra e terra e polo ed inganni dei Mirmidoni; sparsi per le mura i Teucri tacquero; il sopore abbraccia le stanche membra. E ormai la falange argiva, allestite le navi, andava da Tenedo nei complici silenzi della tacita luna cercando i noti lidi, quando la poppa regia aveva alzato fiamme, e difeso dagli iniqui fati degli dei Sinone apre furtivamente i Danai richiusi nel ventre le prigioni di pino. Il cavallo spalancato li restituisce all’aria e lieti si traggono dal cavo rovere i capi Tessandro e Stenelo ed il crudele Ulisse, scivolati dalla fune calata, Acamante e Toante ed il pelide Neottolemo e Macaone per primo e Menelao e lo stesso costruttore dell’inganno Epeo. Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino; sono sgozzate le guardie, e spalancandosi le porte accolgono tutti i compagni e uniscono le schiere alleate. Era il tempo in cui per gli stanchi mortali il primo sonno comincia e serpeggia graditissimo per dono degli dei. Nei sogni, ecco, davanti agli occhi mi sembrò presentarsi Ettore mestissimo e versare larghi pianti , come quando strappato dalle bighe e nero di cruenta polvere e trafitto nei piedi gonfi per le cinghie. Ahimè, qual era, quanto mutato da quell’Ettore che ritorna rivestito delle spoglie d’Achille o dopo aver gettato fuochi frigi sulle poppe dei Danai. portando una barba incolta e capelli inzuppati di sangue e quelle ferite, che numerosissime ricevette attorno alle mura patrie. Inoltre mi sembrava che io piangendo chiamassi l’eroe ed esprimessi angosciose frasi: “O luce dei Dardania, o sicurissima speranza dei Teucri, quali sì lunghi indugi ti trattennero? Da quali spiagge vieni, o aspettato Ettore? come ti vediamo dopo molte morti dei tuoi, dopo vari affanni di uomini e della città, noi stanchi. Quale indegna causa macchiò le fattezze serene? o perché scorgo queste ferite? Egli nulla, né aspetta me che chiedo cose vane, ma traendo dolorosamente dal profondo del cuore i gemiti: “Ah, fuggi, figlio di dea”, dice, “e togliti da queste fiamme. Il nemico tiene le mura; Troia crolla dall’alta cima. Abbastanza fu dato alla patria e a Priamo: se Pergamo (la rocca di Troia) si fosse potuta difendere con la destra, sarebbe stata difesa anche da questa. Tro.ia ti consegna le cose sacre ed i Penati; prendi questi come compagni dei fati, con questi cerca le grandi mura che infine costruirai, percorso il mare”.

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