L’età di Adriano e degli Antonini
Il principato di Adriano
Sotto Adriano (117-138) l’impero inizia ad assumere una fisionomia nuova. Assistiamo alla rinuncia all’espansionismo e a una concentrazione sui problemi interni. Adriano si dedica alla riorganizzazione statale, militare e amministrativa, e soprattutto a una riorganizzazione e valorizzazione delle singole province.
Il fatto d’armi più rilevante sotto Adriano è la rivolta dei Giudei capeggiati da Shimon Bar Kosebah (132-135), repressa nel sangue: Gerusalemme si vede mutare il nome in “Aelia Capitolina” e nel Tempio vengono installate statue di Dèi romani.
Troviamo l’imperatore costantemente in viaggio per tutte le regioni su cui si è esteso il dominio di Roma. E’ il suo modo di perseguire un sogno cosmopolita e universale, venato di un ideale filosofico-umanistico. Ogni provincia deve partecipare, e in maniera paritaria, di una rinvigorita unitarietà politica.
Nuovo valore unificatore è conferito alle attività dell’intelletto; e in virtù del particolare amore di Adriano per il mondo greco (il suo celebre “filellenismo”), è proprio la cultura greca a conoscere un momento di particolare vivacità e a ritornare a un ruolo preminente e di guida. Coronamento e sintesi di tutta l’attività dell’imperatore è il suo conseguimento, nel 132, del titolo di “Panellènios”.
La lingua greca torna ad assumere, accanto a quella latina, un’importanza di primo piano come lingua di cultura universale. Padroneggiano perfettamente ambedue le lingue sia imperatori come lo stesso Adriano e Marco Aurelio, sia intellettuali, come ad esempio Frontone, Aulo Gellio, Apuleio, Tertulliano. Le lettere greche conoscono un notevole incremento, che si esprime con la cosiddetta Seconda Sofistica.
Antichi e moderni usano questo termine per indicare un momento di grande voga della cultura retorica, che ha la sua acme attorno a metà del II secolo, e poi si radica nella cultura imperiale sia greca che latina fino almeno al VI secolo. Il nome raccorda questo “movimento” con la corrente filosofica dei Sofisti della Grecia di V-IV secolo a.C.: ma, se ne sviluppa il culto per l’abilità oratoria, questa Seconda Sofistica non ne eredita sostanzialmente gli interessi d’ambito filosofico.
Fioriscono ovunque scuole di retorica e sale di declamazione. Secondo una moda che in Roma aveva attecchito in età augustea l’arte della parola, intesa come esibizione oratoria, assume sempre più nettamente il carattere di una forma di spettacolo: non a torto si è parlato talora di “retori da concerto”.
Sull’antica polemica fra atticismo e asianesimo, la cultura greca ne aveva innestata un’altra: quella fra “apollodorei” (vicini all’atticismo) e “teodorei” (vicini all’asianesimo). Più precisamente, i primi seguivano gli insegnamenti dell’ “Arte Retorica” del retore Apollodoro di Pergamo (104-22 a.C.), attivo in Roma e maestro di Ottaviano: la retorica veniva intesa come una tecnica quasi scientifica, con suoi precisi precetti e senza alcuno spazio per le emozioni.
Il più giovane retore Teodoro di Gadara (maestro di Tiberio a Rodi nel 6 a.C.) aveva reagito spostando invece tutto l’accento sul pathos e sulla libertà concessa all’oratore dall’ispirazione contingente. Agli insegnamenti dei teodorei va ricondotto uno dei più fini trattati retorici dell’antichità, purtroppo anonimo: il trattato “Sul Sublime” (metà del I secolo d.C., circa) che, in polemica con l’apollodoreo Cecilio di Calacte, insiste sul pathos e sulla fantasia come fattori essenziali dello stile.
Nella Roma del I secolo l’asianesimo dei “modernisti” (pur convivendo, in una pluralità di atteggiamenti, con l’indirizzo opposto e con la reazione classicista) aveva preso il sopravvento. Il II secolo ci presenta invece un panorama in cui a prendere il sopravvento è l’indirizzo “atticista”, sia nell’ambito della Seconda Sofistica greca, sia nella prosa d’arte romana. Fra i neosofisti greci spiccano le personalità di atticisti come Erode Attico e Elio Aristide.
Erode Attico (circa 101-177), formatosi in Atene, migrò poi a Roma dove fu, come Frontone, maestro di Marco Aurelio e Lucio Vero su incarico di Antonino Pio, e console nel 143. Fu assai ricco ed esercitò il mecenatismo finanziando pubbliche costruzioni in Atene.
Elio Aristìde, nato ad Adriani di Misia, attorno al 129, condusse anch’egli la vita del conferenziere itinerante. Ma la sua biografia è segnata da una grave malattia nervosa, di cui egli narra il decorso e la guarigione ad opera di Asclepio nei “Discorsi Sacri”. Particolarmente legato a Smirne, sollecitò l’intervento di Marco Aurelio e Commodo perchè la città venisse ricostruita dopo un disastroso terremoto nel 178, e ne ottenne in premio una statua. Fra le sue opere spicca un famoso “Encomio di Roma” che celebra la missione unificatrice dell’impero.
Non bisogna tuttavia cedere a eccessivi schematismi. La lotta fra i due partiti asiano e atticista conobbe inoltre reciproche influenze e posizioni intermedie e di compromesso. Anche gli arcaisti condividevano il gusto per la trovata a effetto tipico della parte avversa. E la stessa retorica asiana-modernista-teodorea continuò ad avere i suoi adepti appassionati. Sempre nell’ambito della Seconda Sofistica il più insigne rappresentante di questa schiera è Favorino. Nato ad Arles attorno all’85 viaggiò molto, ottenendo successi e riconoscimenti; sotto Adriano fu relegato a Chio, ma “riabilitato” da Antonino Pio, tenne scuola a Roma, dove fu in rapporto con Erode Attico e Aulo Gellio. Scrisse molto anche su temi filosofici, e morì dopo il 143.
Per i neosofist dell’indirizzo ora prevalente, atticizzare significava anche arcaizzare: bandire i neologismo e attenersi a una lingua tradizionale, libresca. E ciò fa sì che difficilmente si possa separare la nuova moda arcaista che si venne affermando a Roma, soprattutto con Frontone, dalla conemporanea voga dell’atticismo in greco. Frontone era caro amico di Erode Attico; e quando scrive in greco appare nettamente atticista.
E anche nella letteratura latina, influenzata dal nuovo paradigma intellettuale della Seconda Sofistica, inizia a intravedersi, sotto Adriano, una svolta che sarà poi più evidente nell’età degli Antonini. Vengono alla ribalta da un lato il gusto per l’erudizione; dall’altro l’inclinazione a un sofisticato preziosismo che rinuncia ai grandi temi per ricamare raffinatezze su motivi e episodi vicini alla vita comune.
Il primo scrittore a dover essere chiamato in causa è proprio Adriano stesso, nella sua veste di poeta. Mentre Roma risuona ancora della voce risentita ed espressionistica di Giovenale, forse soltanto un poco più mite negli ultimi componimenti, ad essa si sovrappone la nuova predilezione per un canto sommesso, su temi leggeri e disimpegnati: ciò che si usa definire oggi “gusto novello”. E proprio ai cosiddetti “poetae novelli”, la cui poetica sembra prevalere lungo l’età antonina, viene accostato quanto ci resta di questo imperatore esteta ed elegante.
Ma anche un altro scrittore, la cui produzione si muove fra gli anni di Traiano e quelli di Adriano e degli Antonini, anticipa un pò ai nostri occhi l’orizzonte del nuovo tipo di intellettuale. E’ l’erudito Svetonio, forse il più diretto precursore dell’approccio culturale dell’epoca successiva: l’età che ama il raro, il dotto, il ricercato, il particolare minuto anche a scapito di una visione d’insieme. Come se il particolare, nella sua significatività, fosse esso stesso già tutto l’insieme.
La dinastia degli Antonini
Il principato di Adriano inaugura una fase illuminata di relativo benessere e sensibilità alla vita spirituale che gli storici moderni definiscono “impero umanistico” e si protrae per il lungo e pacifico impero di Antonino Pio (138-161) e quello di Marco Aurelio (161-180).
Sotto Marco Aurelio, l’imperatore filosofo che ci ha lasciato testimonianza delle proprie riflessioni nel suggestivo “diario spirituale” “A se stesso”, le cose subirono un radicale mutamento. S’incrinò innanzitutto la pace. I Parti di re Vologese III (148-193) tentarono una riscossa in Oriente: Lucio Vero (che governò in diarchia con Marco Aurelio dal 161 al 169) li affrontò in una guerra vittoriosa, conclusa dal trionfo partico dei due imperatori (161-166). Ma si affacciava a nord il pericolo germanico con l’invasione di Quadi e Marcomanni (167), e Marco dovette nuovamente fronteggiarlo, a più riprese, fino al trionfo celebrato nel 176. Alla nuova fase di guerre si era intanto sovrapposta, nel 164, una grave epidemia di peste per tutto l’impero.
L’ultimo degli Antonini, Commodo, figlio di Marco Aurelio e in diarchia con lui dal 177, non fu all’altezza dei predecessori. Con lui cadeva il principio dell’adozione rimasto in vigore per quasi un secolo. Ma quel ch’è peggio, tornavano in vigore atteggiamenti esibizionistici e dispotici che ricordavano i tempi di Nerone e Domiziano: a porre termine alla sua vita e alla dinastia antonina fu pertanto una congiura.
L’orizzonte culturale tracciato dalla cultura d’età adrianea trova consolidamento sotto gli Antonini. In Grecia continuano a fervere lo studio e la sistemazione del sapere in opere dei più vari settori.
Claudio Tolomeo, ad Alessandria, scrisse fondamentali trattati di astronomia, astrologia, geografia, ottica, musica (100-178 circa). Sorano di Efeso (prima metà del secolo) e Galeno di Pergamo (129- 200 circa) diedero lustro alla medicina. Nella seconda metà del secolo, Artemidoro di Daldi (in realtà di Efeso) scrisse un manuale di “Interpretazione dei Sogni”; Pausania una “Descrizione della Grecia”, “manuale turistico” importante per le notizie su santuari e monumenti; Appiano di Alessandria ultimò intorno al 160 una “Storia Romana” da Enea a Traiano; Arriano di Nicomedia (già ricordato per aver raccolto gli insegnamenti di Epitteto e morto verso il 180) scrisse una “Anabasi di Alessandro” in sette libri; Dioscoride di Anazarbo (Cilicia) i cinque libri “Sui Medicinali”; Ateneo di Nàucrati terminò dopo la morte di Commodo i suoi “Deipnosofisti”, ovvero “I sofisti a banchetto”, un colossale dialogo di varia erudizione (trenta libri, poi ridotti agli attuali quindici); Diogene Laerzio (fine II-inizi III secolo) scrisse i dieci libri delle “Vite e Dottrine dei Filosofi Illustri”.
Nel mondo latino il nuovo clima di passione culturale significa il progressivo affermarsi di gusti antiquari ed eruditi affini a quelli di cui dà prova Svetonio. La letteratura esibisce una sempre più spiccata propensione per gli autori più antichi, che va sotto il nome di “arcaismo”. Lo stesso Adriano dovette contribuire all’incremento di questa tendenza, se è vera la notizia della “Historia Augusta” (Vita Hadriani) secondo cui egli avrebbe preferito Ennio a Virgilio, Catone a Cicerone e addirittura Celio Antipatro a quel Sallustio che pure era tanto ammirato dal nuovo gusto proprio per il suo stile duro e arcaizzante.
Il fascino principale della produzione letteraria arcaica consisteva nella sua natura di miniera di espressioni suggestive: quelle antiche parole erano quanto di meglio per generare nell’ambito di una composizione un colpo ad effetto. Diveniva di moda attingere una nuova fonte di originalità al repertorio lessicale e stilistico più antiquato. I due principali araldi di questa nuova moda latina sono anche le nostre principali fonti sul gusto dell’epoca: Frontone e Aulio Gellio.
Ma l’età dell’arcaismo è anche l’età della fioritura della letteratura giuridica con Gaio e del consolidarsi di quella cristiana.
E’ altresì un’età di rigoglioso sviluppo della letteratura d’intrattenimento, specie del romanzo erotico e fantastico. Fra i prodotti della Seconda Sofistica greca del II secolo ricordiamo per il romanzo erotico le “Avventure di Leucippe e Clitofonte” di Achille Tazio; la “Storia Pastorale di Dafni e Cloe” di Longo Sofista; le “Storie Babilonesi” del siriano Giamblico, scritte sotto Marco Aurelio; le “Storie Fenicie” di Lolliano.
Il capolavoro del romanzo fantastico greco di quest’epoca è invece un “romanzo” che è al contempo un brillante gioco d’ironia sullo stesso genere letterario in cui si iscrive, e su vari altri (l’epos, la storiografia): la “Storia Vera” di Luciano, racconto d’una avventura che spazia dai mondi stellari al ventre di una balena. Nato a Samosata, in Siria, verso il 120, Luciano morì ad Atene dopo il 180 circa. Fu uno dei sofisti più brillanti della sua epoca e uno spirito sarcastico e dissacratore; ci restano di lui un’ottantina di scritti, per lo più divertenti e originali, come i vari “Dialoghi” (“Marini”, “Degli Dèi”, “Dei Morti”, “Di Cortigiane”).
In latino, questo tipo di produzione è rappresentato dal capolavoro di Apuleio, “Le Metamorfosi” o “L’Asino d’Oro”, che fra l’altro appare legato in modo difficile da precisare al romanzo “Lucio o l’Asino”, attribuito appunto a Luciano. Quella di Apuleio è un’opera che non appare priva di uno sfondo religioso e morale, ma il cui dato saliente, oggi ai nostri occhi, è il dispiegarsi del puro piacere letterario di uno stile sofisticato e dello sbrigliarsi della fantasia.