LA PRIMA RACCOLTA MYRICAE

LA PRIMA RACCOLTA MYRICAE

LA PRIMA RACCOLTA MYRICAE


In quest’ opera il poeta lavora non linearmente, ma a spirale, tornando continuamente su ciò che scrive e sperimentando, nello stesso tempo, modalità poetiche differenti sotto diverse ispirazioni che agiscono contemporaneamente. Non a caso nel suo studio vi erano tre scrivanie: una per la poesia italiana, una per la poesia latina e una per l’ermeneutica dantesca. Nel titolo latino Myricae, ossia tamerici, confluiscono due importanti componenti della cultura pascoliana: la conoscenza della campagna, nella quale il poeta ha trascorso l’infanzia, e la sua approfondita formazione classica. Dal titolo ricaviamo dunque l’idea di una poesia agreste, che tratta temi modesti e quotidiani, legati ai ritmi delle stagioni e del lavoro dei campi, al succedersi di gesti immutabili e rituali. La produzione pascoliana è caratterizzata da una sostanziale staticità, basata su temi che costituiscono un nucleo immutato, mentre evolvono le forme e le strutture che lo esprimono. Nella poesia si pone in primo luogo un atteggiamento di lutto, di memorie e di dolore, ma anche una poesia della campagna, dei suoi suoni, delle sue voci segrete. L’universo poetico di Pascoli è povero di concrete figure umane per lasciar spazio all’Io del poeta o ad una sorta di umanitarismo senza uomini. Un altro tema importante è quello del nido, ovvero la famiglia, intesa come nucleo originario, caldo, protettivo, basato sui vincoli di sangue e sulla memoria. In contrapposizione interviene il rifiuto della realtà sociale moderna avvertita come minacciosa e inquietante. Le città appaiono al poeta tentacolari e mostruose, da cui fuggire rifugiandosi in campagna. Di qui l’insistenza sulle umili figure campestri: sugli oggetti, sulle stagioni, sulle ore del giorno, sugli eventi atmosferici. La poesia di Myricae si propone perciò in una veste modesta, circoscritta alla quotidianità, ricca di oggetti d’uso, di uccelli, fiori, campane, temporali, bimbi che ne hanno paura e madri che li consolano. A nessun lettore può sfuggire l’intreccio complesso di forme e motivi dissimulato dietro l’accessibilità e la semplicità: è richiesta da parte del lettore un’opera di decodificazione su più piani e un lavoro di scavo critico sul significato e sul significante. La descrizione della natura e della vita campestre non è fine a se stesse: essa è piuttosto lo scenario su cui il poeta proietta le proprie emozioni. L’elemento di divisione nella storia del nostro linguaggio lirico è da identificare in una nuova rappresentazione della realtà che ha perduto sia il valore dell’età romantica sia le certezze razionali del positivismo. La struttura della descrizione o della narrazione procede per accostamenti, in una sintassi in cui prevale la coordinazione sulla subordinazione. Prevale quindi il ritmo, la musicalità, la trama fonica, in un fitto intreccio di suoni affidati all’onomatopea. Il linguaggio si basa su due livelli espressivi. Quello grammaticale è proprio della lingua come istituto, la lingua fondata su un codice che utilizziamo per la comunicazione. Il livello agrammaticale è costituito da onomatopee, ed è chiamato fonosimbolico, perché riproduce suoni. Il linguaggio è formato da termini tecnici, attinti alle lingue speciali, ai gerghi, che fanno della poesia pascoliana un aspetto locale. Il poeta non si pone sulla strada di un radicale rifiuto della metrica, ma ne rispetta e ne utilizza tutti gli istituti. Attraverso cesure, enjambements, puntini di sospensione, parentesi, assonanze, allitterazioni, Pascoli svuota e frantuma il verso tradizionale. Frequente è anche il ricorso all’ipermetro, un verso sdrucciolo che, per la sua rima con un verso piano, trabocca oltre la fine del verso.

/ 5
Grazie per aver votato!

Privacy Policy

Cookie Policy

error: Content is protected !!