La battaglia San Martino

La battaglia San Martino

La battaglia San Martino

San Martino è un’ampia altura nei pressi di Peschiera e del Lago di Garda, circondata da ovest e da nord da ripide scarpate, con parecchi casolari e fattorie adatti ad essere trasformati in centri di resistenza fortificata. I Piemontesi naturalmente ignoravano che durante la notte San Martino fosse stata occupata da consistenti forze nemiche: così alle 7 del mattino poco più di 1.000 uomini della 5° divisione Cucchiari, in avanscoperta agli ordini del Tenente Colonnello Cadorna, il futuro generale di Porta Pia, si apprestavano a risalire la china, quando furono attaccati da una divisione austriaca, che lì ricacciò sino alla non distante ferrovia.

Intervenuta in loro appoggio la brigata Cuneo, con 3.500 uomini e 4 cannoni, sembrò, ad un tratto, che questa riuscisse a conquistare il colle, ma fu, invece, a sua volta rigettata da 7.000 imperiali appoggiati da 29 pezzi, e dovette riunirsi, scompaginata, ai reparti di Cadorna. Alle 11 giunse a San Martino la brigata Casale, che, nonostante si fosse gettata risolutamente all’attacco, venne sopraffatta da forze fresche nemiche. Queste ultime, a loro volta, vennero ricacciate dal reggimento Acqui, appena sopraggiunto, che lentamente ma inesorabilmente procedva risalendo le pendici.

Il generale Benedeck, il quale sottovalutata la capacità di resistenza della fanteria sarda, fece intervenire allora due brigate, schierandole alle spalle dei Piemontesi impegnati sul crinale di San Martino per prenderli tra due fuochi. L’allarmante situazione venutasi a creare spinse il Capo di Stato Maggiore Enrico Morozzodella Rocca, d’accordo con il Re e Lamarmora, a richiamare la riserva costituita dalla brigata Aosta, alla quale si aggiungeva una certa porzione della divisione Fanti. La riserva si riunì alle forze della brigata Cuneo e di Cadorna. Sulla destra si schierò la cavalleria, sulla sinistra l’artiglieria, ed al centro si dispose la fanteria, forte di 15.000 uomini.

Nella calura afosa del primo pomeriggio intervenne lo stesso Vittorio Emanuele ad incoraggiare le truppe e impartì l’ordine, rimasto celebre, di liberarsi del peso degli zaini (circa 15 chilogrammi) prima di affrontare l’ardua salita disposizione che contravveniva al ferreo regolamento d’allora. Si racconta che anche il Resi rivolgesse in dialetto ai suoi soldati dicendo loro «O prendiamo San Martino o facciamo San Martino!», alludendo all’usanza piemontese di traslocare in occasione della festività di quel santo. Tali parole suonarono come monito estremo agli uomini che si preparavano all’ultimo attacco possibile, in alternativa alla ritirata generale e all’onta della disfatta.

L’assalto, effettuato con estremo coraggio, fu però carente nell’organizzazione, per ammissione dello Stato Maggiore stesso, e privo di compattezza. La brigata Pinerolo aveva appena conquistato la cascina Controcania, quando si scatenò un nubifragio estivo che compromise seriamente la manovrabilità dell’intero schieramento italiano. Alle 19, si raccolsero tutte le forze per l’ultimo disperato tentativo: quattro reggimenti e due brigate, 12.000 uomini complessivamente, ripresero ad avanzare sotto il fuoco di 18.000 Austriaci. Alla fine, 18 pezzi di artiglieria del tenente colonnello Ricotti riuscirono a scompaginare il fianco nemico, sul quale, allora, si avventarono i cavalleggeri del capitano Avogadro, insieme a due brigate appena sopraggiunte. Alle 20, il colle era in mano ai Piemontesi; il generale Benedeck, sconvolto dalla notizia della contemporanea sconfitta austriaca a Solferino da parte dei francesi, decise di abbandonare anche le posizioni alla Madonna della Scoperta, ritirandosi oltre il Mincio con il resto delle sue truppe.

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