INFERNO CANTO 26 PARAFRASI VERSO 1-120
(1-12)
Il canto XXVI inizia con una manifestazione di sdegno e vergogna da parte di Dante per il fatto che i cinque dannati (oltre a Vanni Fucci) che lui ha visto nella bolgia dei ladri sono tutti suoi concittadini.
(13-48)
I due poeti si allontanano dal punto del ponte su cui si erano fermati per osservare la bolgia dei ladri, e Virgilio risale i gradini, traendo a sé il discepolo per aiutarlo. La salita si rivela molto impegnativa, tant’è che è necessario aiutarsi con le mani aggrappandosi alle sporgenze delle rocce. Raggiunta la sommità dell’argine, Dante vede sotto di sé la valle dell’ottava bolgia, dove sono puniti i consiglieri di frodi, la quale è disseminata di tante fiamme che si spostano. Ogni fiamma avvolge completamente un dannato.Contrappasso: come in vita i consiglieri di frodi agirono per vie sotterranee, così ora sono irriconoscibili nella lingua di fuoco.
(49-63)
Il poeta si accorge che tra le fiamme ce n’è una suddivisa in due parti, e incuriosito domanda al maestro chi ci sta dentro. Virgilio gli risponde che dentro quella fiamma biforcuta stanno Ulisse e Diomede, guerrieri greci, i quali sono puniti insieme, come in vita erano uniti nell’ordire tranelli e frodi. Le colpe che essi scontano sono tre: 1) l’ideazione dell’inganno del cavallo di legno, per mezzo del quale i Greci penetrarono in Troia, distruggendola; 2) l’invenzione dello stratagemma per mezzo del quale Achille fu smascherato nell’isola di Sciro (in Grecia), dove la madre lo aveva nascosto vestito da donna per non farlo partire per la guerra di Troia; 3) il rapimento col quale, travestiti da mendicanti, portarono fuori dalla città di Troia il Palladio, che era la statua raffigurante la dea Pallade Atena (nome greco di Minerva), la quale finché era tra le mura della città la rendeva inespugnabile.Dante punisce le frodi messe in atto da Ulisse e Diomede, non le giustifica perché, secondo la concezione medievale, il male quando è male non si può cancellare neanche se commesso per amor di patria o per ragioni di guerra.Inoltre bisogna considerare che Dante (come egli stesso afferma nel De Monarchia) fu un grande estimatore della civiltà romana; e siccome Roma fu fondata dal troiano Enea, e Troia fu distrutta per opera soprattutto di Ulisse, non c’è da meravigliarsi se, malgrado quest’ultimo sia comunemente visto come un eroe, il poeta lo pone nell’Inferno.
(64-117)
Su richiesta di Dante, Virgilio si rivolge ai due dannati e domanda chi dei due voglia raccontare la propria morte. Alla domanda di Virgilio, si comincia ad agitare una delle due parti della fiamma, quella maggiore, dando l’impressione che la cima della fiamma si muova come una lingua che parla. Dante qui pone in risalto la lingua associata al fuoco: questi peccatori infatti si servirono della propria eloquenza per un fine sbagliato.La parte maggiore della fiamma è quella che avvolge Ulisse; la differenza di grandezza tra le due parti della fiamma indica la preminenza delle qualità del re di Itaca (Ulisse) su quelle di Diomede.Ulisse comincia il suo racconto dal giorno in cui si allontanò, dopo esservi stato per oltre un anno, dalla maga Circe, che abitava nell’isola Eèa, che si volle poi identificare con un promontorio del Lazio, e che da lei prese il nome di Circello (l’odierno Circeo). Ciò che spinse Ulisse ad abbandonare l’isola fu l’ardore di conoscere il mondo, di fare esperienza, di scoprire i pregi e i difetti umani; e nulla riuscì a trattenerlo dal suo proposito, nemmeno il tenero affetto per il figlio Telemaco, il religioso sentimento di venerazione per il padre Laerte e l’amore per la sposa Penelope. Così egli salpò con una sola nave e con la compagnia di pochi ma fedelissimi uomini, toccando i lidi di Europa e Africa. Il viaggio in mare durò tanti anni, tant’è che quando giunsero davanti alle colonne d’Ercole (in corrispondenza dell’attuale stretto di Gibilterra) lui e gli altri erano già alquanto invecchiati. Le colonne d’Ercole erano due colonne o rupi che Ercole aveva posto come confini del mondo, che era proibito agli uomini superare. Giunti qui, Ulisse fece un discorso ai suoi uomini, incitandoli ad affrontare un’impresa mai tentata da altri, quella appunto di oltrepassare le colonne e continuare la navigazione nell’Oceano.