ESPERIMENTO DI MILLER
ESPERIMENTO DI MILLER
L’ipotesi più fondata (Oparin 1922 – esperimento di Miller 1953) è che la comparsa della vita sia stata preceduta da un’evoluzione chimica che dai composti inorganici presenti nell’atmosfera primitiva e nell’acqua del mare abbia portato ad una seppur primitiva struttura cellulare. Principali tappe:
– atmosfera riducente (CH4, NH3, CO2, H2O)
– piccole molecole organiche (idrocarburi, alcoli, aldeidi, chetoni….)
– molecole organiche più grandi e complesse (amminoacidi, monosaccaridi, basi azotate….)
– macromolecole e polimeri (proteine, acidi grassi, polisaccaridi, acidi nucleici….)
– coacervati: aggregati sferoidali formati dall’incontro casuale di polimeri diversi
– protocellula: sistema autonomo dotato di un rudimentale metabolismo in cui le proteine che catalizzano la duplicazione del DNA vengono prodotte sulla base dell’informazione contenuta nello stesso DNA.
Haldane e Oparin, prima della metà del ‘900, fecero la loro prima ipotesi sulla nascita casuale delle strutture molecolari biologiche a partire da molecole inorganiche e nel 1952 un giovane ricercatore americano, Stanley Lloyd Miller, fresco di laurea, fu incaricato dal suo professore, Harold Clayton Urey, premio Nobel per la chimica nel 1934, di eseguire un esperimento secondo le modalità da lui stesso indicate.
Dopo una settimana di trattamento continuo venne analizzato il contenuto della boccia piena di acqua che nel frattempo aveva cambiato colore, divenendo rosso-arancio, e con sorpresa si scoprirono al suo interno, assieme a composti di ogni tipo, anche alcuni aminoacidi, cioè i precursori delle proteine le quali, come tutti sanno, sono i costituenti principali degli organismi viventi.
All’esperimento di Miller ne seguirono altri dello stesso tipo con miscugli gassosi di partenza diversi, ma sempre contenenti gli elementi fondamentali degli organismi viventi e cioè carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), azoto (N), zolfo (S) e fosforo (P) e anche le fonti di energia erano di vario tipo. Vennero utilizzati i raggi ultravioletti, raggi X, flussi di elettroni o semplicemente temperature elevate, grazie al cui impiego si ottennero svariati composti tipici degli organismi viventi come glucidi, lipidi, aminoacidi e perfino i nucleotidi, cioè i costituenti del DNA e dell’RNA. Mai si trovarono molecole diverse da quelle tipiche dell’attuale materia vivente.
Nel 1957 Sidney Walter Fox mostrò che era possibile unire aminoacidi e formare proteine fuori dagli esseri viventi. La polimerizzazione delle principali sostanze biologiche, tra cui gli aminoacidi, infatti, richiede disidratazione, un processo assai improbabile dentro le acque oceaniche. Riscaldando una miscela di aminoacidi su una piastra metallica, quando la massa si raffreddava, era possibile osservare al suo interno alcune molecole complesse, molto simili alle proteine che chiamò “proteinoidi”. Queste molecole si erano formate per unione di amminoacidi con conseguente liberazione di acqua che, sulla piastra calda, era immediatamente evaporata.
Stanley Lloyd Miller
Da qui fu possibile ipotizzare una modalità realistica di fabbricazione di questi polimeri. Le enormi maree dell’epoca, infatti, potrebbero aver dato origine ad una vera e propria produzione “in catena” di polimeri: i monomeri venivano depositati da enormi mareggiate sulla terra molto calda, dove, “a secco” poteva svolgersi la polimerizzazione, successivamente onde successive di marea avrebbero potuto riportare tutto quanto nel mare e il processo poteva perciò avvenire in modo addirittura ciclico.
Successivamente Oparin ed altri sperimentarono che mescolando in acqua determinate proteine dotate di elevata affinità per l’acqua, in opportune condizioni di temperatura e acidità, si venivano a formare migliaia di goccioline (coacervati) al cui interno le molecole più grandi apparivano unite le une alle altre, mentre, nel resto della soluzione, le stesse molecole risultavano quasi assenti. Il fenomeno si spiega ammettendo l’esistenza di cariche elettriche di segno opposto sulle molecole proteiche le quali avrebbero l’effetto di consentire la loro reciproca attrazione e, nello stesso tempo, il richiamo sulla superficie esterna di molecole polari di acqua che formerebbero una specie di pellicola intorno al coacervato isolando, al suo interno, una piccola quantità della soluzione di partenza.
In realtà l’idea dei coacervati quali precursori degli organismi viventi non fu accettata a cuor leggero, anche perché questi aggregati di molecole organiche si formano solo se si fa uso di soluzioni di polimeri biologici convenientemente selezionati e nulla autorizza a ritenere che i polimeri dispersi nel brodo primordiale si sarebbero comportati allo stesso modo. La creazione spontanea di un involucro in grado di contenere molecole organiche complesse avrebbe rappresentato tuttavia un passaggio fondamentale dall’evoluzione chimica a quella biologica.
Anche Fox, nel 1958, sciolse in acqua calda e leggermente salata alcuni proteinoidi, cioè quelle molecole da lui stesso sintetizzate senza far ricorso ad organismi viventi. Quando la soluzione si fu raffreddata, fu possibile notare il formarsi di numerosissimi piccoli globuli simili ai batteri, che egli chiamò «microsfere». La struttura a doppio strato che delimita la superficie esterna delle microsfere, naturalmente, non ha niente a che fare con le membrane cellulari di natura fosfolipidica, tuttavia ne rappresentano una possibile modalità di realizzazione.