ENEIDE RIASSUNTO LIBRO 8

ENEIDE RIASSUNTO LIBRO 8


-Turno inalbera sulla rocca di Laurento il vessillo che dà il segnale della guerra: da ogni parte accorrono schiere di guerrieri armati. Per avere altri aiuti contro l’odiato nemico, Turno manda un’ambasceria in Puglia, dove l’eroe greco Diomede ha fondato la città di Arpi. Intanto Enea, ammonito in sogno dal dio Tiberino, prepara due biremi con cui salire il corso del fiume: si recherà a Pallanteo, la città fondata dal greco Evandro, per stringere con lui un patto d’alleanza. Ed ecco uscire dalla selva una candida scrofa con trenta porcellini: è questo il segno, come gli aveva predetto Eleno, che là deve stabilire la sua sede. Subito Enea immola quelle vittime a Giunone per propiziarsi la dea nemica e comincia a navigare nel Tevere mentre le acque calme e le selve verdeggianti guardano stupite quell’insolito spettacolo. Quando raggiunge Pallanteo –una piccola città murata sul colle Palatino-, il re Evandro con il figlio Pallante ed i migliori Arcadi stanno celebrando un solenne sacrificio ad Ercole. Nel vedere navi piene di armati, quelli balzano in piedi atterriti, ma Pallante va arditamente incontro agli stranieri e chiede loro chi siano, e se rechino guerra o pace. Enea, tendendo dalla nave un ramo d’olivo, risponde breve e preciso alle domande. Poi, invitato a sbarcare viene condotto da Evandro. Il re, che un tempo in Arcadia, aveva ospitato Anchise, lo accoglie con affettuosa benevolenza e, dopo averlo ascoltato, gli promette di essere suo alleato contro i Latini. Per cominciare, Enea parteciperà al banchetto preparato in onore di Ercole. Dopo aver mangiato e bevuto, Evandro spiega che l’origine del culto di Ercole in quei luoghi è collegato con l’uccisione, da parte del dio, di Caco, un mostruoso gigante e ladrone sanguinario che spargeva il terrore nella contrada. Ad Ercole liberatore fu costruita l’Ara massima intorno alla quale, ogni anno, si celebrano riti di ringraziamento. Finita la festa, tutti scendono verso la città, e , cammin facendo, Evandro racconta all’ospite la storia dell’antichissimo Lazio. Un tempo quei boschi erano abitati da Fauni e Ninfe e da uomini selvaggi usciti dai tronchi delle querce. Ma quando Saturno, cacciato dall’Olimpo venne qui a rifugiarsi, diede savie leggi a quelle rozze genti. Fu “l’età dell’oro”: gli uomini vivevano in pace, lavorando la terra e ignorando le ingiustizie. Ma poi i tempi mutarono e si passò all’età dell’argento e quindi a quella del ferro. Mutarono pure i dominatori: sulla terra chiamata Saturnia giunsero gli Ausoni, che le cambiarono il nome in Ausonia, più tardi i Sicani; quindi il re Tebro, da cui prese il nome il fiume. Ultimo giunse lui, Evandro, insieme con la madre Carmenta, sacerdotessa di Apollo. Ciò detto, Evandro mostra ad Enea i luoghi dove sarebbe sorta un giorno la Città Eterna, dall’asilo di Romolo al Lupercale, dall’Argileto alla Rupe Tarpea, dal Campidoglio al Foro. Arrivano insieme alla modesta dimora di Evandro, sul Palatino, dove Ercole non sdegnò di riposarsi. E l’eroe troiano si sdraia, per riposare, su un mucchio di foglie coperte dalla pelle di un orsa. Durante la notte, Venere si reca dal marito Vulcano e, con vezzi e moine, ottiene che fabbrichi armi belle e robuste per Enea. All’indomani, sull’alba, Evandro ha un colloquio con l’eroe troiano. Il buon re può offrirgli in aiuto solo quattrocento cavalieri condotti dal figlio Pallante, ma gli dà un buon consiglio: si rechi nella città etrusca di Cere, i cui abitanti hanno cacciato il tiranno Mezenzio, che ora è ospitato e protetto da Turno; chieda alleanza agli Etruschi, i quali, sperando di avere nella mani Mezenzio per dargli la morte, accetteranno volentieri la richiesta, giacchè una profezia ha loro detto che, per ottenere la vittoria, debbono farsi guidare da un duce straniero. Il consiglio di Evandro lascia commosso e pensoso Enea, ma un segno propizio di Venere lo avverte che le armi sono già pronte per lui. Compiuto il rito sacrificale, Enea ritorna alle navi e divide i compagni in due schiere: parte dei Troiani tornerà al campo presso Ascanio, parte seguirà lui e Pallante a Cere, presso Tarconte, re etrusco. Enea e i suoi sono quasi giunti alla meta, quando decidono di riposarsi. A questo punto , Venere, vedendo i figlio solo, in disparte, discende rapidamente dal cielo e gli consegna le splendide armi foggiate da Vulcano. L’eroe, lieto di tanto onore, ne contempla stupito la straordinaria bellezza, ma soprattutto ammira lo scudo nel quale Vulcano ha raffigurato i più grandi eventi ed i personaggi più illustri della Roma futura, fino al trionfo di Augusto celebrato sullo sfondo dell’Urbe plaudente e festante.

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