IL BOMBARDAMENTO DELL’ABBAZIA DI MONTECASSINO

IL BOMBARDAMENTO DELL’ABBAZIA DI MONTECASSINO

IL BOMBARDAMENTO DELL’ABBAZIA DI MONTECASSINO

IL BOMBARDAMENTO DELL’ABBAZIA DI MONTECASSINO E DELLA CITTA’ DI
CASSINO 15 febbraio 1944


Per gentile concessione dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, il testo è stato tratto dal
volume di Martin Blumenson “SALERNO TO CASSINO” pubblicato a cura dell’Ufficio del Capo
della Storia Militare dell’Esercito degli Stati Uniti – Washington D.C., 1969. Il volume fa parte
dell’opera “United States Army in World War II” ed e’ il terzo della serie The Mediterranean
Theater of Operations.


Per gentile concessione dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, il testo è stato tratto dal
volume di Martin Blumenson “SALERNO TO CASSINO” pubblicato a cura dell’Ufficio del Capo
della Storia Militare dell’Esercito degli Stati Uniti – Washington D.C., 1969. Il volume fa parte
dell’opera “United States Army in World War II” ed e’ il terzo della serie The Mediterranean
Theater of Operations.
Il bombardamento dell’Abbazia
Prima dell’invasione della Sicilia nella riunione interforze dei Capi di Stato Maggiore, era stata
ricordata al generale Eisenhower una particolare responsabilità:
“In conformità alle necessità militari, dovrà essere rispettata la posizione della Chiesa e di tutti gli
istituti religiosi e si dovranno fare tutti gli sforzi per preservare gli archivi locali, i monumenti
storici e gli oggetti d’arte”.
Quando il Quartiere Generale alleato ricevette il permesso di bombardare gli obiettivi militari
nell’area di Roma, fu ripetuto lo stesso avvertimento.
Subito dopo il passaggio del Volturno da parte della 5ª Armata, il generale Clark ripeté lo stesso
avviso per i suoi comandanti in sottordine:
“Si desidera che siano prese tutte le precauzioni per proteggere queste proprietà, quindi gli attacchi
internazionali saranno attentamente evitati.
Se, comunque, necessità militari lo dovessero imporre, non si dovrà porre alcuna esitazione
nell’intraprendere qualsiasi azione che la situazione richieda.”.
Nel mese di novembre, quando la 5ª Armata sembrava prossima ad avvicinarsi a distanza di fuoco
da Roma, il generale Eisenhower assicurò il Ministero della Guerra che le istruzioni ricevute
sarebbero state eseguite:
“In relazione alle necessità militari, sono state adottate tutte le misure per salvaguardare le opere
d’arte ed i monumenti. I comandanti delle unità navali, aeree e terrestri sono stati istruiti in
conformità e sono consapevoli della capitale importanza di evitare danni non necessari o evitabili.”.
La Sovrintendenza italiana ai musei dell’Italia meridionale aveva posto in particolare rilievo il
valore storico di Monte Cassino e il Comando della 5ª Armata aveva ribadito dal canto suo la
necessità di preservare l’edificio dai bombardamenti. In conformità a ciò, il Comando Aereo del
Mediterraneo aveva diramato alle unità dipendenti il seguente ordine:
“Dovranno essere adottate tutte le misure per evitare il bombardamento dell’Abbazia sita su Monte
Cassino in direzione ovest di Cassino”.
Sulla copia del messaggio giunto al Comando della 5ª Armata, il generale Gruenther aveva scritto
una nota a penna:
“. mi siano fornite delle fotografie di questo posto. Vi è la possibilità che le nostre truppe possano
distruggerlo con il fuoco dell’artiglieria?”
Il problema rimase in discussione fino ai primi di gennaio. In quel periodo il Quartiere Generale
alleato rimproverò il Comando della 5ª Armata per aver saputo dal Vaticano, tramite i canali
diplomatici, che l’Abbazia di Monte Cassino é stata gravemente danneggiata dal fuoco di artiglieria.
Il comandante l’artiglieria della 5ª Armata indagò su quanto riferito e rispose immediatamente.
Ammise che la città di Cassino era stata pesantemente bombardata e aggiunse che sarebbe stata
sotto il fuoco di artiglieria fino a che fosse occupata da truppe nemiche.
“Vi sono molte postazioni di artiglieria e installazioni nemiche nelle vicinanze della città; può
essere accaduto che durante un tiro di aggiustamento, colpi dispersi o anomali, abbiano colpito
l’Abbazia.
Qualsiasi danno causato dal nostro fuoco di artiglieria deve intendersi non intenzionale, poiché i
nostri ufficiali sanno che nè le chiese e nemmeno gli istituti religiosi, debbono essere colpiti”.
Ai comandanti impegnati nell’azione furono diramate ulteriori istruzioni per rispettare l’Abbazia.
Essi furono edotti che i danni provocati erano stati inevitabili. Nel futuro si sarebbe fatto ogni
sforzo per evitare danni all’Abbazia stessa anche se l’edificio occupava una posizione predominante
che poteva ben servire come un eccellente posto di osservazione per il nemico.
Tutti i centri artistici, storici ed ecclesiastici in Italia, e tra questi la vecchia Abbazia Benedettina di
Monte Cassino, in provincia di Frosinone, vicino a Cassino dovevano essere immuni da attacchi.
Nonostante il divieto, il Q.G. del generale Alexander specificò:
La garanzia circa la sicurezza di tali aree non sarà concessa se essa interferirà con le necessità
militari.
Nel settembre 1943, quando i Tedeschi incominciarono a fortificare la Linea Bernhard con una serie
di capisaldi nell’area di Cassino, la Linea Gustav costituiva solamente uno dei numerosi capisaldi di
sganciamento.
Verso la metà di novembre, subito dopo l’inizio dei lavori difensivi intorno a Cassino, Hitler ordinò
che Monte Cassino fosse incorporato nel complesso difensivo. Nei primi giorni di dicembre,
quando la Linea Gustav divenne il nome stabile della principale e formidabile linea di resistenza,
Monte Cassino era incluso nelle posizioni difensive.
Ai primi di ottobre si erano aggregati ai settanta monaci dell’Abbazia parecchie centinaia di civili
che si erano rifugiati nel Monastero; il loro numero sarebbe ben presto aumentato a oltre un
migliaio. La guerra aveva già provocato visibili danni a Monte Cassino; un pilota tedesco aveva
inavvertitamente diretto il suo aereo contro i cavi di una funicolare esistente tra l’Abbazia e il paese,
provocando la distruzione sia dell’aereo sia dei cavi. La strada a tornanti, lunga circa 10 chilometri,
che univa l’Abbazia a Cassino, divenne l’unico collegamento con il paese e le comunicazioni pian
piano diminuirono, poi cessarono del tutto. Sulla sommità della montagna l’acqua divenne subito
elemento di prima necessità.
Il 10 ottobre l’Abbazia fu danneggiata ancora, sia pur lievemente e non intenzionalmente, nel corso
di un bombardamento effettuato da aerei alleati sull’abitato di Cassino, i monaci rimasero calmi e
sereni, fiduciosi che sia gli Alleati che i Tedeschi avrebbero rispettato il luogo sacro ed il terreno
circostante.
Quattro giorni dopo, due ufficiali tedeschi giunsero al Monastero e chiesero di conferire con
l’Abate, Arcivescovo Gregorio Diamare. Essi dissero che il Ministero della Pubblica Istruzione del
Governo Mussolini era preoccupato per la possibile distruzione delle opere d’arte conservate
nell’Abbazia. Il Ministero aveva convenuto con il Comando tedesco che era indispensabile evacuare
quei tesori. Gli ufficiali offrivano il loro aiuto per il trasferimento dei tesori stessi. L’Abate trovò la
proposta inutile. Dal momento che le due parti avverse, sostenne l’Abate, avevano proclamato
l’intenzione di preservare i tesori culturali e religiosi, quale danno sarebbe potuto capitare a quel
santo posto?
Gli ufficiali tedeschi si inchinarono e si ritirarono. Ritornarono il 16 ottobre. Questa volta
insistettero perché l’Abbazia era in pericolo a causa della sua posizione di importanza strategica. Era
una sfortuna che i Tedeschi fossero costretti a combattere in quel punto – ammisero gli ufficiali – ma
non avevano altra alternativa. La sommità del colle rivestiva una estrema importanza militare
perché potesse essere esclusa dalle fortificazioni che si stavano approntando.
Nella battaglia che di li a poco sarebbe divampata in quell’area, l’edificio avrebbe certamente subito
dei danni.
L’Abate allora accondiscese e il giorno dopo arrivò all’Abbazia un autocarro militare tedesco che
trasportò a Roma il primo di parecchi carichi di tesori d’arte. Quasi tutti i monaci lasciarono il luogo
così pure le suore, gli orfanelli ed i bambini delle scuole elementari che di solito dimoravano
nell’Abbazia. Si allontano anche la maggior parte dei profughi. Rimasero, invece, l’Abate, cinque
monaci, cinque fratelli laici e circa centocinquanta civili.
Il 7 dicembre, von Vietinghoff, comandante della 10ª Armata tedesca, chiese ai suoi superiori
delucidazioni circa la posizione dell’Abbazia nella sistemazione difensiva perché, egli avvertiva,
conservare l’extraterritorialità del Monastero non era possibile: esso è ubicato esattamente ai centro
della principale linea di resistenza. La perdita di Monte Cassino avrebbe definitivamente indebolito
la Linea Gustav. Era poi particolarmente dannoso il fatto che unitamente alla rinuncia a buoni posti
di osservazione ed a buone posizioni bene occultate da parte nostra, gli angloamericani quasi
certamente non si sarebbero curati di rispettare le convenzioni e al momento opportuno, senza alcun
riguardo, avrebbero occupato loro stessi questa posizione che in determinate circostanze poteva
assolvere un ruolo decisivo.
La risposta giunse il giorno 11, Kesselring aveva rassicurato i rappresentanti della Chiesa Cattolica
Romana semplicemente del fatto che le truppe tedesche si sarebbero astenute dall’entrare
nell’Abbazia.
Conosciuti questi sviluppi, Vietinghoff informó il generale von Senger, comandante del XIV°
Corpo Panzer, che nessun soldato tedesco avrebbe messo piede nel Monastero. Ciò significa –
aggiunse – che il solo edificio sarà risparmiato.
In ottemperanza a tale disposizione, i Comandi tedeschi dichiararono l’Abbazia zona vietata.
Tracciarono un cerchio intorno all’edificio ad una distanza ai circa 200 metri dalle mura e
proibirono ai soldati di attraversare tale linea, un servizio di polizia militare ebbe il compito di far
rispettare ai soldati dette disposizioni.
All’Abate fu assicurato che nessuna installazione militare, di nessun tipo, sarebbe stata posta entro i
confini dell’Abbazia.
Ma niente al di fuori delle mura era sacro e, in ottemperanza al piano di operazioni, dal momento
che le pendici della collina non erano zona vietata, le truppe tedesche demolirono tutte le
costruzioni esterne al cerchio tracciato onde creare postazioni di fuoco; allestirono posti di
osservazione e piazzole per armi automatiche; inoltre, organizzarono almeno una riserva di
munizioni in una caverna molto vicina alle mura del Monastero.
Ai primi di gennaio le truppe tedesche evacuarono tutti i rifugiati ancora alloggiati nel Monastero;
vi rimasero due o tre famiglie e parecchie persone inferme o troppo malate per essere trasportate.
Pur promettendo di continuare a rispettare l’Abbazia e di escluderne l’uso per scopi militari, essi
chiesero anche all’Abate di allontanarsi. L’Abate rifiutò.
Nel mese di gennaio parecchi colpi di artiglieria danneggiarono incidentalmente il Monastero. Il 5
febbraio un colpo anomalo cadde all’interno delle mura e uccise un civile italiano. Un violento
fuoco di artiglieria diretto sulle posizioni tedesche delle vicinanze, effettuato nello stesso giorno,
consigliò una quarantina di donne a decidersi a chiedere salvezza nel Monastero; vi furono
ammesse durante la notte. Non molto più tardi altri civili, uomini e donne dei dintorni si
incamminarono verso l’Abbazia per rifugiarvisi. L’8 febbraio un centinaio di bombe caddero
incidentalmente entro le mura del Monastero. Non furono effettuati sistematici bombardamenti o
concentramenti di fuoco.
L’Abbazia era costituita da una enorme struttura che ricopriva la sommità di Monte Cassino,
chiamata anche Collina del Monastero; essa era uno dei più venerati templi della Cristianità. La sua
costruzione era stata iniziata verso il 529 d.C. sotto S. Benedetto. Fu distrutta dai Longobardi nel VI
secolo ed ancora dai Saraceni nel IX secolo; ogni volta l’Abbazia fu restaurata ma cadde in
abbandono dopo il 1071 perché le instabili condizioni dell’Italia ed il grande valore strategico di
Monte Cassino coinvolsero l’Abbazia nelle continue lotte politiche del tempo. Nel XIV secolo un
terremoto danneggiò il Monastero, che venne ancora ricostruito. Fu completato nel XVIII secolo e
saccheggiato dalle truppe francesi nel 1799 durante l’invasione del Regno di Napoli. Ancora una
volta l’edificio venne pazientemente ricostruito e in tal modo si ergeva, ai primi di febbraio del
1944, completo e bellissimo.
La pressione tedesca di febbraio contro la testa di ponte di Anzio, costrinse le forze alleate attestate
di fronte alla Linea Gustav a raddoppiare gli sforzi per praticare un’apertura onde penetrare nella
Valle del Liri. Il II° Corpo d’Armata era esausto e perciò venne sostituito, per adempiere a tale
compito, dal Corpo neozelandese, comandato dal generale Freyberg, con la 2ª Divisione
neozelandese e la 4ª Divisione indiana alle sue dipendenze.
Le operazioni del Corpo neozelandese avrebbero dovuto seguire lo stesso tracciato segnato dal II°
Corpo Americano. La 4ª Divisione indiana, rilevando la 34ª Divisione doveva conquistare le alture
a ridosso della città di Cassino e sfociare nella Valle del Liri dal nord, molti chilometri oltre il fiume
Rapido. La 2ª Divisione neozelandese, più consistente di una normale Divisione alleata e dotata di
molti automezzi, prese posizione nella pianura ad est di Cassino, all’imbocco della Valle del Liri,
con il compito di:
 concorrere all’azione della Divisione indiana;
 tenersi in misura di attraversare il fiume Rapido a nord di Sant’Angelo per contribuire alla
conquista di Cassino;
 aprire la strada nella Valle del Liti ad una incursione della 1ª Divisione corazzata.
Il generale Freyberg predispose l’attacco per il 13 febbraio; erano pero necessarie buone condizioni
atmosferiche che consentissero un efficace appoggio aereo e un agevole movimento dei carri
armati.
Per rinforzare il fianco sinistro dei Corpi d’Armata nella zona di Sant’Angelo, il generale Alexander
trasferì la 78ª Divisione Inglese dall’8ª Armata alla 5ª. Ma l’abbondante neve caduta sul versante
adriatico e sugli Appennini, rallentó il movimento della Divisione che non giunse nella zona di
Cassino che il giorno 17.
Il generale Freyberg chiese al generale Keyes di trattenere la 36ª Divisione alle dipendenze del II°
Corpo su Monte Castellone fino a che il Corpo neozelandese non fosse passato attraverso le
posizioni difensive di Cassino. Fu anche autorizzato da Keyes a trattenere il 133° Reggimento di
fanteria della 34ª Divisione nell’angolo nord-est di Cassino fino a quando la Divisione indiana non
avesse conquistato le alture assegnatele. Inoltre, il II° Corpo di artiglieria doveva appoggiare
l’attacco neozelandese. Era certo che il numero dei pezzi americani avrebbe rinforzato
efficacemente i tre reggimenti di artiglieria leggera ed i cinque di medio calibro del Corpo di
artiglieria neozelandese; anche l’artiglieria in organico alla Divisione indiana ed a quella
neozelandese, avrebbero contribuito a neutralizzare le difese tedesche.
Il generale Freyberg aveva una figura autoritaria e la reputazione e il prestigio di un eroe della
prima Grande Guerra; durante il secondo conflitto mondiale aveva comandato unità dislocate
nell’isola di Creta e aveva combattuto molto bene nella campagna del deserto in Nordafrica.
Durante un incontro con il generale Clark, avvenuto il 4 febbraio per discutere i compiti assegnati al
suo Corpo, Freyberg impressionò lo stesso Clark per la decisione, l’energia, l’aggressività e
l’ottimismo, elementi questi che portarono il comandante della 5ª Armata a formulare una distorta
riflessione.
Pensava Clark:
“Freyberg era sicuro che avrebbe vinto la guerra, ma si chiedeva se invece non avrebbe intasato
l’intera Valle del Liri con i 15.000 automezzi della Divisione neozelandese”.
Ad ogni modo, il generale Clark ebbe il presentimento di futuri contrasti. Egli argomentava:
“Questi soldati dei Dominions britannici sono molto orgogliosi delle proprie prerogative. Gli Inglesi
hanno riscontrato che è difficile impiegarli in azioni ad alto rischio perché é stata sempre accordata
loro una particolare considerazione che noi non avremmo mai concesso ai nostri soldati”.
Il 9 febbraio Clark conferì ancora con Freyberg. Il comandante del Corpo d’Armata sollevò qualche
obiezione sul fatto che gli edifici del Monastero fossero usati dai Tedeschi e disse che, a suo
giudizio, se necessario, si sarebbero dovuti far saltare in aria con il fuoco di artiglieria o con un
bombardamento aereo; Clark si riservó di dare a Freyberg un ordine scritto, autorizzandolo
eventualmente a far fuoco contro il Monastero se, a giudizio di Freyberg, necessità militari
dettassero una tale azione.
Il comandante della 4ª Divisione indiana, generale di brigata F.S. Tuker, dopo aver studiato il
problema dello sfondamento della Linea Gustav nella zona di Cassino, non aveva alcun dubbio: il
Monastero era un vero ostacolo da superare, le condizioni dei soldati americani rilevati da quelli
della sua divisione lo illuminarono sulle reali difficoltà del suo compito. Le unitá americane, nel
loro sforzo di conquistare Monte Cassino, erano ridotte in molti casi nella loro efficienza
combattiva. Pattuglie di soldati isolati, gelati, logorati e pur indomabili, erano aggrappati alle
posizioni che avevano strappato al nemico.
La resistenza tedesca, le difficoltà del terreno e le condizioni del tempo contribuivano a far si che le
posizioni difensive tedesche sembrassero inespugnabili. Impressionante per la sua quadrata
simmetria, si ergeva a circa 600 metri sul livello del mare il Monastero dei benedettini quasi a
simboleggiare l’imbattibilità della linea difensiva tedesca. Dal momento che il Monastero dominava
tutte le vie di accesso alla Valle del Liri, Tuker decise che esso dovesse essere distrutto prima
dell’attacco. Egli chiese al suo comandante di Corpo, generale Freyberg, che venisse disposto un
bombardamento aereo.
In relazione alla richiesta di Tuker, Freyberg telefonò al Q.G. della 5ª Armata. Assente Clark, in
ispezione alla testa di sbarco di Anzio, ricevette la telefonata Gruenther, suo Capo di Stato
Maggiore. Questi segnó nel diario tutti i fatti che seguirono. Nel corso della conversazione
telefonica, che ebbe inizio alle 19.00 del 12 febbraio, Freyberg disse:
“Desidero che domani mi sia dato l’appoggio aereo onde poter indebolire le posizioni difensive
nella zona di Cassino. Desidero vengano compiute tre missioni, ognuna di 12 aerei: gli attacchi
dovranno essere eseguiti da aerei tipo “Kittyhawk” con mezza tonnellata di bombe ognuno”.
Tutto ciò non era molto per un bombardamento: 36 aerei e 18 tonnellate di alto esplosivo. Ma
poiché Clark aveva richiesto un concentramento aereo per il 13 febbraio sulla testa di sbarco,
Gruenther dubitava che Freyberg potesse ottenere l’appoggio aereo che desiderava. Inoltre, assicurò
Freyberg che il generale Clark avrebbe cercato di ottenere gli aerei per l’appoggio alla Divisione
indiana, ma che avrebbe dovuto attaccare con un giorno di ritardo sulla data che originariamente era
stata fissata per il 14 febbraio. Freyberg replicò che desiderava avere tutto l’appoggio aereo che
poteva avere per il giorno 13 onde indebolire la difesa avversaria.
“Tre missioni”
aveva detto, era il minimo che richiedeva e, a suo parere, una tale richiesta non era fuori del
comune. Gruenther disse che se ne sarebbe occupato immediatamente.
Insieme al generale Brann, capo ufficio operazioni della 5ª Armata, e al tenente colonnello John W.
Hansborough, ufficiale addetto all’aeronautica dell’Armata, egli verificò quali obiettivi il Quartiere
Generale del Corpo d’Armata neozelandese avesse chiesto che venissero bombardati tramite le
normali richieste di appoggio aereo ed accertò quali unità aeree fossero disponibili per l’indomani
mattina sul fronte di Cassino.
Riscontrò che era possibile fornire una sola squadriglia da bombardamento.
Gruenther telefonò a Freyberg informandolo che avrebbe potuto avere l’appoggio di una sola
missione da bombardamento su una squadriglia di aerei A-36 con circa due tonnellate di bombe.
Quale obiettivo desiderava venisse attaccato?
Freyberg rispose:
“Voglio che venga bombardato il Convento”.
Gruenther disse di aver capito che il generale si riferiva al Monastero di Monte Cassino, ma questo
non era stato incluso nell’elenco di obiettivi da bombardare che il Q.G. di Freyberg aveva poco
prima inoltrato.
“Io sono sicurissimo che c’era nell’elenco degli obiettivi richiesti.”
rispose Freyberg
“ad ogni modo desidero che venga bombardato. Gli altri obiettivi non sono importanti; questo,
invece, è vitale. Il comandante della Divisione che deve effettuare l’attacco lo considera un obiettivo
principale e io sono perfettamente d’accordo con lui!”
In ottemperanza alle disposizioni che ordinavano di evitare tale obiettivo, Gruenther informò
Freyberg di trovarsi nella impossibilità di assumere da solo una decisione definitiva. Gli promise
che avrebbe inoltrato la sua richiesta al generale Clark. Impossibilitato a collegarsi con Clark,
chiamò il generale sir John Harding, capo di S.M. del generale Alexander, e gli riassunse la
situazione in questi termini:
“Il generale Freyberg ha richiesto per domani il bombardamento dell’Abbazia di Monte Cassino. Il
generale Clark non é a conoscenza di questa richiesta e non potrà esserne informato prima di un’ora
perché non è raggiungibile”.
In almeno due altre occasioni il generale Clark aveva parlato con il generale Freyberg in merito al
bombardamento dell’Abbazia. Egli disse al generale Freyberg che dopo aver consultato il generale
Keyes, comandante del II° Corpo d’Armata, e il generale Ryder, comandante della 34ª Divisione,
considerava non sussistessero necessità militari per la sua distruzione. Freyberg sottolineò al
generale Clark che la sua fondata opinione era quella che il Monastero era un obiettivo militare e
che non era leale assegnare a un comandante l’incarico di conquistare la montagna e nello stesso
tempo non autorizzarlo a bombardare il Monastero.
“Io sono sicuro che il generale Clark, ritiene tuttora che non sia necessario bombardare il
Monastero. Comunque, in considerazione del tipo di obiettivo e delle complicazioni internazionali e
religiose che il problema solleva, vorrei conoscere il punto di vista del Q.G. Alleato del Centro
Mediterraneo sulla opportunità di autorizzare il bombardamento”.
Harding disse a Gruenther che avrebbe parlato con Alexander, quindi lo avrebbe richiamato per
informarlo.
Prima che Harding lo richiamasse, Gruenther riuscì a parlare con il generale Clark il quale disse di
non considerare la distruzione del Monastero una necessità militare. Clark chiese a Gruenther di
riferire ad Harding il suo giudizio quando quest’ultimo avrebbe più tardi chiamato per riferire il
punto di vista di Alexander.
Annotando la conversazione Gruenrher aggiunse:
“Il generale Ciark confermò inoltre che questo era un problema che gli procurava qualche disagio
per via degli ostinati punti di vista del generale Freyberg. Il generale Clark sentiva che se il generale
Freyberg non fosse ritornato sulle sue decisioni, egli stesso si sarebbe trovato in una difficilissima
posizione nel caso che l’attacco fallisse”.
Per venire in aiuto al generale Clark in cosi delicata situazione, Gruenther telefonò alle 21.15 al
generale Keyes. Gli chiese se considerasse la distruzione del Monastero una necessità militare.
Keyes rispose di no. Aggiunse che il bombardamento del Monastero
“. probabilmente avrebbe aumentato il suo valore difensivo e i Tedeschi si sarebbero sentiti
autorizzati ad usarlo come una barricata”.
Keyes comunicó inoltre che il generale Ryder e il colonnello Mark M. Boatner, ufficiale del Genio,
erano del parere che la distruzione del Monastero non fosse necessaria.
Il generale Keyes passò la telefonata al suo Capo Ufficio Informazioni. colonnello Mercer C.
Walter, il quale informò Gruenther di aver ricevuto notizia da due fonti civili che nell’interno del
Monastero vi erano circa 2000 profughi. Sebbene parecchi gruppi di artiglieria avessero riferito che
i Tedeschi usavano il Monastero come posto di osservazione, non vi erano azioni di fuoco
provenienti dall’edificio; Walter aggiunse:
“. è evidente il fatto che esistono parecchi capisaldi nemici, localizzati, in prossimità delle mura
dell’edificio”.
Pochi minuti più tardi, alle 21.30, Gruenther seppe da Harding che il generale Alexander aveva
deciso che il Monastero doveva essere bombardato se Freyberg considerava la sua distruzione una
necessitá militare. Harding continuava dicendo che Alexander si rammaricava che l’edificio dovesse
venire distrutto, ma aveva fiducia nella valutazione del generale Freyberg.
“Se sussiste qualche ragionevole indizio che l’edificio venga usato per scopi militari. Il generale
Alexander ritiene che la sua distruzione e autorizzata”.
Gruenther allora riferì ad Harding che dopo la sua precedente conversazione aveva parlato con
Clark e che la sua opinione era chiara: era contrario al bombardamento dell’Abbazia; se il
comandante del Corpo d’Armata neozelandese fosse stato americano, Clark gli avrebbe rifiutato la
richiesta di bombardamento. Comunque, in considerazione della posizione di Freyberg nelle Forze
Armate dell’impero Britannico – (egli era anche il comandante del Corpo di Spedizione
neozelandese e pertanto era anche il rappresentante del Governo della Nuova Zelanda nel teatro di
operazioni)- la situazione era veramente delicata e il generale Clark non voleva impartirgli tale
ordine senza aver prima parlato della questione con il generale Alexander.
Clark era convinto che non esistessero esigenze militari, che un bombardamento avrebbe messo in
pericolo le vite dei civili rifugiati nel Monastero, che il bombardamento probabilmente non avrebbe
distrutto l’edificio e molto più sicuramente avrebbe aumentato il suo valore difensivo. La risposta
del generale Harding fu fredda:
“Il generale Alexander ha comunicato il suo punto di vista in maniera molto chiara. Si rammarica
molto che il Monastero debba essere distrutto, ma non vede altra alternativa”.
Gruenther telefonò a Cìark e gli riferì l’esito del colloquio. Clark gli rispose di comunicare a
Freyberg che mentre lui (Clark) non considerava il bombardamento dei Monastero una esigenza
militare, era tuttavia pronto a rimettersi al giudizio dei generale Freyberg se egli aveva la prova
che indicasse l’esigenza di bombardare l’Abbazia.
Clark chiese inoltre a Gruenther di telefonare a Harding e di riferirgli che desiderava parlare con
Alexander l’indomani mattina, perché considerava un errore il bombardamento del Monastero. Egli
riteneva che non vi fossero sufficienti ragioni che ne autorizzassero la distruzione.
Chiamando Harding, Gruenther riportò quello che Clark aveva detto: se vi fosse stato un
comandante americano – aggiunse – la decisione di Clark sarebbe stata molto facile e non avrebbe
disturbato il generale Alexander al riguardo, ma egli voleva parlargli nella mattinata.
Subito dopo Gruenther telefonò a Freyberg, erano le ore 22, e lo informò che il generale Clark, non
ritenendo sussistessero esigenze militari per distruggere l’Abbazia, era riluttante dall’autorizzare il
bombardamento del Monastero
“. a meno che voi non siate convinto che la sua distruzione sia necessaria”.
Il generale Freyberg disse che aveva studiato il problema attentamente con il comandante della 4ª
Divisione indiana (Francis I. Tuker), il quale era convinto che il bombardamento del Monastero
fosse necessario. Freyberg aggiunse che riteneva non ragionevole ordinare la conquista della collina
del Monastero e nello stesso tempo negare al comandante il diritto di rimuovere un importante
ostacolo che poteva impedire il successo della missione. Un superiore che avesse rifiutato
l’autorizzazione al bombardamento, Freyberg ammonì,
“. doveva assumersi la responsabilità dell’eventuale fallimento dell’attacco”.
Gruenther replicò che Clark era pronto ad autorizzare il bombardamento se Freyberg lo considerava
una esigenza militare.
Il generale Freyberg rispose essere suo personale convincimento che il bombardamento
dell’Abbazia rispondeva ad una chiara esigenza militare.
La formula magica era stata finalmente pronunciata e Gruenther comunicò a Freyberg che la
missione aerea era autorizzata. Avrebbe egli provveduto direttamente insieme al generale Keyes, a
spostare in zona di sicurezza le truppe del II° Corpo d’Armata che si fossero trovate in pericolo a
causa del bombardamento?
Il generale Freyberg accondiscese. Lui personalmente avrebbe riferito al generale Gruenther quando
la zona fosse stata libera per il bombardamento.
Gruenther chiamò il generale Brann e lo pregò di organizzare, insieme all’ufficiale di collegamento
aereo, per il mattino del giorno successivo 13 febbraio non prima delle ore 10, il bombardamento
del Monastero; l’ora esatta sarebbe stata comunicata successivamente.
Poco dopo Freyberg ritelefonò per chiedere che il bombardamento venisse posticipato. Non vi era
tempo sufficiente per spostare le truppe del II° Corpo che avrebbero potuto essere coinvolte nel
bombardamento.
Clark continuava ad essere molto preoccupato per il problema del bombardamento dell’Abbazia di
Montecassino:
“Freyberg è convinto che i Tedeschi stiano usando l’Abbazia per scopi militari”.
La mattina del 13 febbraio, verso le 9.15, Alexander chiamò Clark e gli chiese se fosse vero che
disapprovava il bombardamento dell’Abbazia. Era vero. Clark riassunse le ragioni del suo
convincimento. Non vi erano positivi indizi che i Tedeschi usassero il Monastero. Anche se ve ne
fossero, precedenti tentativi di bombardamento di un edificio o di un paese per evitare che i
Tedeschi ne facessero uso erano sempre falliti. Per motivi religiosi e sentimentali sarebbe stato un
peccato distruggere l’Abbazia ed i suoi tesori d’arte. Inoltre, all’interno di essa avevano trovato
rifugio donne e bambini. Infine, l’intensità dello sforzo aereo contro il Monastero era insufficiente a
distruggere l’edificio ma avrebbe fornito ai Tedeschi il pretesto per usarlo:
“Le rovine avrebbero offerto una migliore capacità difensiva!”
Alexander capiva perfettamente tutto ciò, ma se Freyberg voleva che il Monastero fosse
bombardato, il Monastero doveva essere bombardato.
I generali Clark, Keyes e Ryder, per parecchie ragioni non ritenevano opportuno il bombardamento
dell’Abbazia. Essi erano convinti che nessun soldato tedesco in quel momento stesse nell’edificio.
Erano, peraltro. sicuri che i Tedeschi sarebbero stati felici di sfruttare il bombardamento
dell’Abbazia a scopo di propaganda. Molto più importante era il fatto che ai Tedeschi non
interessava il Monastero quale osservatorio: la montagna stessa offriva eccellenti posti di
osservazione e i Tedeschi presidiavano le quote che ne offrivano addirittura di migliori.
Dieci anni dopo la fine della guerra, il generale von Senger, comandante del XIV° Corpo d’Armata
tedesco, confermò la loro valutazione quando dichiarò categoricamente che, prima del
bombardamento, all’interno dell’Abbazia, non vi era un solo soldato tedesco. Confermò, tuttavia,
che vi fossero dei posti di osservazione esterni all’Abbazia
“ad una distanza di circa 200 metri”.
Non sussisteva alcuna ragione per usare l’Abbazia come punto di osservazione; altri lati della
montagna offrivano posizioni migliori. Preoccupato di non alienarsi il Vaticano e i cattolici di tutto
il inondo, il Comando Tedesco controllava scrupolosamente che venisse rispettata la neutralità del
Monastero; così severamente, infatti, che quando Senger visitò l’Abbazia alla vigilia di Natale del
1943 e cenò con l’Abate, si astenne, mentre si trovava nell’interno dell’edificio, dal guardare fuori
dalle finestre.
Sebbene l’Abbazia non fosse in effetti occupata dalle truppe tedesche. il Servizio Informazioni della
5ª Armata americana rilevò, il 26 febbraio. che le postazioni tedesche erano talmente vicine alle
mura che era impossibile aprire il fuoco sulle prime senza colpire anche le altre. Inoltre, fanti ed
artiglieri americani avevano ricevuto l’ordine tassativo di non aprire il fuoco contro l’Abbazia.
Se si considera il fatto che carri armati interrati e bunker proteggevano le vie di accesso all’Abbazia
e che il fuoco di armi automatiche proveniva da postazioni molto ben protette e da fortini
seminterrati vicini al Monastero e se si aggiunge che le truppe tedesche erano dislocate anche
all’interno delle mura, tutto questo è sufficiente per giustificare la necessità militare del
bombardamento.
Alcuni ufficiali e soldati alleati erano sinceramente convinti che i Tedeschi usavano l’edificio per
scopi militari. Un comandante di reggimento della 34ª Divisione sostenne di aver visto nel
Monastero il lampeggiare di un binocolo. il 9 febbraio, un civile italiano giunto fino alle linee
americane riferì di essere uscito dall’Abbazia due giorni prima e dichiarò di aver visto nel
Monastero 30 mitragliatrici e circa 80 soldati tedeschi. Il 12 febbraio un gruppo di artiglieria
comunicò che
“i nostri osservatori hanno confermato una grande attivitá nemica nelle vicinanze del famoso
Monastero, e risultava ancora più evidente che i Tedeschi stavano usando il Monastero stesso come
posto di osservazione; essi avevano anche installato delle piazzole per cannoni”.
Un elemento del gruppo era stato inoltre gravemente ferito da un cecchino nascosto nel Monastero.
Il giorno successivo lo stesso gruppo di artiglieria riferì di aver visto e udito fuoco di armi di reparto
proveniente dalle vicinanze dell’Abbazia.
Allo scopo di accertare che truppe tedesche sfruttavano effettivamente l’Abbazia, il giorno 13 il
generale Eaker, comandante delle Forze Aeree del Mediterraneo, sorvolò Monte Cassino su di un
Piper insieme con il generale Devers. Poiché i Tedeschi non degnavano di attenzione i piccoli aerei
capaci solo di distrarli dagli attacchi dei cacciabombardieri, Devers ed Eaker riuscirono a volare
indisturbati sulle mura dell’Abbazia a meno di 50 metri di altezza. Entrambi gli ufficiali ritennero di
aver visto almeno l’antenna di una stazione radio all’interno del Monastero e soldati nemici entrare
ed uscire dall’edificio. Dal momento che ciò sembrava confermare l’esigenza militare del
bombardamento, il generale Wilson sottoscrisse quei giorno stesso (o il successivo) l’ordine per
Eaker di distruggere dal cielo l’Abbazia.
Più tardi un fonogramma spiegò il concetto d’azione.
Wilson disse che aveva la prova irrefutabile che l’Abbazia faceva parte della principale linea
difensiva tedesca, che gli osservatori usavano l’edificio per dirigere il fuoco di artiglieria, che
cecchini facevano fuoco dalle strutture e che postazioni di mitragliatrici, piazzole per cannoni e
depositi di munizioni erano collocati all’ombra delle mura. Perciò, quando il generale Freyberg
insistette che la distruzione dell’Abbazia era una condizione preliminare per l’attacco terrestre
progettato per assaltare le alture di Monte Cassino, la sua valutazione prese il sopravvento sulle
considerazioni storiche e sentimentali.
Particolare interessante: vi era una grande differenza tra la prima richiesta di Freyberg di 36 aerei
per il bombardamento e l’incursione aerea ora pianificata. Freyberg infatti non parlerà più di un
semplice attacco sull’Abbazia. Il 14 febbraio diceva che essa doveva essere rasa al suolo prima che
la Divisione indiana potesse prendere la montagna. Il generale Juin, comandante del Corpo di
Spedizione francese, fece un viaggio apposta per consigliare a Clark di evitare la distruzione del
Monastero, ma la decisione presa era ormai irrevocabile. Che cosa abbia poi provocato l’eccezionale
incremento dell’azione aerea programmata per il 15 febbraio sul Monastero non é stato scritto né nei
diari ufficiali e nemmeno nella corrispondenza personale dei partecipanti. Appare verosimile che i
pianificatori dell’aeronautica abbiano colto l’occasione per dimostrare la potenza di un
bombardamento che prima di allora non era mai stato effettuato, con un concentramento a massa in
diretto appoggio di truppe incaricate di conquistare un obiettivo tattico.
Se Freyeberg voleva che l’edificio fosse distrutto, l’edificio sarebbe stato distrutto. Probabilmente il
generale Eaker, e forse il generale Devers, persuasero Wilson a far si che l’aeronautica effettuasse
un tale esperimento.
Durante la notte del 14 febbraio, per diminuire il pericolo di bombe corte o anomale, le truppe
indiane furono ritirate dalle posizioni vicine alle pendici di Monte Cassino. Dopo il bombardamento
aereo la Divisione indiana doveva ritornare sulle proprie posizioni, movimento che era previsto
fosse completato per il mattino del 16. Ora subentrava il compito principale: l’attacco all’Abbazia.
Qualche tempo dopo il Comando del Corpo d’Armata aveva diramato l’ordine che la Divisione
neozelandese attaccasse lungo la ferrovia fino alla stazione di Cassino, situata a sud della città, e si
tenesse pronta per lanciarsi nella Valle del Liri.
Poco prima che le truppe indiane retrocedessero su posizioni di sicurezza, speciali granate sparate
dai cannoni alleati lanciarono manifestini su Monte Cassino per avvertire i civili della imminente
distruzione.
Nessun volantino cadde entro le mura del Monastero, ma un rifugiato civilene raccolse uno trovato
sulla montagna e lo consegnò, correndo qualche rischio, all’Abate. Questi invió il suo segretario
presso un ufficiale tedesco per organizzare la partenza degli occupanti. L’infuriare della battaglia
nei dintorni impediva che si potessero redigere dei piani immediati di uscita. Alla fine fu raggiunto
l’accordo che alle ore 5 del 16 febbraio ognuno avrebbe lasciato l’Abbazia lungo una mulattiera.
Alle 9.45 del 15 febbraio diciannove ore prima che l’Abbazia fosse evacuata secondo gli accordi
presi tra l’Abate ed i Tedeschi, il primo di 250 aerei da bombardamento attaccò il Monastero. Essi
arrivarono ad ondate, e presto ridussero l’intera sommità di Monte Cassino ad una massa di macerie
fumanti.
Il bombardamento venne effettuato principalmente durante la mattina, ma altri aerei fecero la loro
comparsa durante il resto della giornata. Circa 600 tonnellate di alto esplosivo distrussero
praticamente il Monastero. I militari di un gruppo di artiglieria da campagna che osservavano il
bombardamento dalle pendici di Monte Cairo, rimasero pietrificati alla vista della più grande
distruzione effettuata con concentramento di alto esplosivo cui avessero mai assistito prima di
allora.
Tra le ondate dei bombardieri si inserì, per contribuire alla distruzione, anche l’artiglieria. Uno dei
più massicci concentramenti fu effettuato alle 10.30, quando il II° Corpo d’Artiglieria diresse
sull’obiettivo una salva di 266 granate di obici da 203 e 240 mm di cannoni da 105 e 155 mm.
Il bombardamento ed il cannoneggiamento sembravano dar ragione a coloro che ritenevano che i
Tedeschi avevano usato l’Abbazia. Un reggimento alleato riferì che
“sono stati visti uscire velocemente dall’Abbazia più di 150 nemici non appena i primi aerei
lasciarono cadere il loro carico. L’artiglieria e il fuoco di fucileria hanno provocato loro serie perdite
quando si sono trovati in terreno aperto”.
Altri testimoni riferirono che non appena il bombardamento si spostava e sopraggiungeva il fuoco
dell’artiglieria, le truppe tedesche tentarono ripetutamente di fuggire dall’Abbazia per guadagnare
posizioni più sicure. Queste voci erano, secondo gli alleati, una prova determinante che i Tedeschi
avevano usato il Monastero con scopi militari. Osservatori alleati rilevarono che durante il
bombardamento il nemico, con armi ed equipaggiamenti, abbandonava l’edificio in rovina
correndo verso il sud.
Le bombe distrussero e bruciarono quasi tutta la vegetazione di Monte Cassino e apparvero, così,
molte trincee e ricoveri sotterranei, confermando l’estesa organizzazione della montagna presidiata
dal nemico. Notizie raccolte durante la giornata riferirono che circa 200 persone, alcune con indosso
uniformi tedesche, erano fuggite dal Monastero durante l’attacco aereo. Il Q.G. del XV° Gruppo di
Armate, dichiarò che circa 200 Tedeschi abbandonarono l’edificio dopo il bombardamento.
Un osservatore del bombardamento, il generale Allen, comandante del Gruppo da combattimento B
della 1ª Divisione corazzata, così giudicò l’azione aerea:
“La nostra aviazione che ha molto brillato per la sua assenza per parecchie settimane, ieri ha fatto di
nuovo la sua comparsa ed ha completamente demolito il Monastero situato sopra Monte Cassino. I
rapporti dicono che furono visti uscire dall’edificio e dai dintorni molti Tedeschi. E’ stato uno
spettacolo tremendo assistere al sopraggiungere di tutte quelle fortezze volanti e allo sganciamento
delle loro bombe”.
Un altro osservatore, il generale Walker, comandante della 36ª Divisione americana “Texas”, vide il
bombardamento dal suo posto di comando di Cervaro ed ebbe un’altra reazione. Egli descrisse
l’attacco aereo dicendo che i bombardieri eseguirono l’azione in quattro ondate, che alcune bombe
della prima ondata avevano centrato il bersaglio, altre bombe precipitarono sulle postazioni della
Divisione indiana a più di un chilometro dall’obiettivo provocando, (lo seppe più tardi) circa
quaranta feriti; che per dieci minuti nubi di fumo occultarono il Monastero, che un altro gruppo di
bombardieri ritornò nel pomeriggio e centrò quasi perfettamente l’edificio. Fu riferito a Walker che
circa 2500 civili si trovavano nel Monastero, ma non vi si trovavano affatto soldati tedeschi.
Nessuna arma era stata installata entro le mura ma alcune erano state poste a più di 200 metri. Il
generale Walker scrisse nel suo diario:
“Questo era un monumento storico di grande valore che avrebbe dovuto essere preservato. I
Tedeschi non ne facevano uso e non vedo alcuna utilità nella sua distruzione.
Non ne trarremo nessun vantaggio dal momento che ora i Tedeschi potranno sfruttare le rovine per
ottenere ottimi posti di osservazione e postazioni per armi automatiche.
Che i Tedeschi avessero usato l’edificio per un posto di osservazione e per delle piazzole di
artiglieria ha poca importanza dal momento che la stessa montagna in cui è situato il Monastero può
servire allo stesso scopo. Se fossi stato io a dover prendere una decisione, avrei evitato la sua
distruzione. In data odierna ho ordinato alla mia artiglieria di non fare fuoco su di esso”.
Le immediate reazioni di molti uomini della 34ª Divisione, furono di risentimento e di amarezza.
Perché i Comandi Alleati avevano bombardato l’Abbazia dopo la loro battaglia per Cassino e dopo
che erano stati rilevati dai Neozelandesi e dagli Indiani? Perché era stato negato loro un appoggio
simile?.
Verso mezzogiorno del 15 febbraio, il generale von Senger inviò il seguente telegramma a
Vietinghoff:
“La 90ª Divisione Panzer Grenadier riferisce che l’Abbazia di Monte Cassino è stata bombardata il
15 febbraio alle 9.30 da 31 quadrimotori; alle 9.40 da 34; alle 10.00 da 18. I danni non sono stati
ancora calcolati. L’attacco era stato preannunciato dal lancio di manifestini che asserivano, a
giustificazione, che nell’interno dell’Abbazia vi erano armi automatiche.
Il responsabile del settore di Cassino, colonnello Karl Lothar Schultz, comandante del 1°
Reggimento di paracadutisti, a tal proposito riferisce che le truppe non avevano piazzato armi
dentro il Monastero. Fino a questo momento non è stato eseguito l’ordine della Divisione, secondo il
quale in caso di imminente pericolo i feriti gravi dovevano essere condotti entro il Monastero. La
polizia militare ha costantemente vigilato che nessun soldato tedesco entrasse nell’edificio. L’azione
nemica, penso, manca di basi legali”.
Un civile che si trovava all’interno dell’Abbazia durante il bombardamento. giunse fino alle linee
americane e riferì quanto era accaduto: non vi erano nel Monastero che sei monaci, circa 2500 civili
e nessun soldato tedesco. I Tedeschi non hanno mai piazzato armi dentro le mura e inoltre non
hanno mai usato l’edificio come posto di osservazione. La postazione tedesca più vicina si trovava a
circa cinquanta metri dalle mura ma la maggior parte delle altre si trovava ad oltre 200 metri. Circa
tre settimane prima del bombardamento era stata ritirata dall’ingresso dell’Abbazia anche la polizia
militare postavi per mantenere la neutralità del luogo.
Il giorno dopo il bombardamento, fotografi militari tedeschi girarono un film sul Monastero. La sera
stessa un ufficiale, accompagnato dal segretario dell’Abate, portò in aereo il film a Berlino per
propagandarlo. il Comando Supremo tedesco ordinò a Kesselring che venissero cercati nell’Abbazia
i superstiti e che si conducesse l’Abate al Comando del XIV° Corpo d’Armata per una intervista.
All’imbrunire del 17 febbraio l’Abate lasciò le rovine del Monastero insieme a coloro che erano in
grado di uscire. Essi s’incamminarono lungo una mulattiera che scendeva dalla montagna. Il
generale von Senger, comandante del XIV° Corpo, invió un’autovettura per accompagnare l’Abate
fino al suo Posto Comando.
Il mattino del 18 febbraio, von Senger intervistò l’Abate davanti alle macchine da presa che
immortalarono l’avvenimento. Un tenente lesse l’introduzione:
“L’Abbazia di Monte Cassino è completamente distrutta. Un atto di forza senza senso
dell’aeronautica angloamericana ha strappato all’umanità civilizzata uno dei più stimati monumenti
culturali. Il p. Abate Gregorio Diamare é stato condotto fuori dalla sua Abbazia ed è, ora, sotto la
protezione delle Forze Armate tedesche. Egli si è volontariamente affidato alla loro protezione e da
esse e stato condotto, attraverso un anello di fuoco battuto dall’artiglieria alleata e senza interruzione
dal bombardamento aereo, fino al Posto Comando del generale comandante.
Il vecchio Abate, che compie oggi 80 anni, ha trovato qui rifugio e ristoro dopo giorni di orrore che
lui, i suoi monaci, i numerosi rifugiati, donne, bambini, vecchi, malati e feriti, hanno dovuto
sopportare per colpa del Comando Supremo alleato. Eccovi il generale. e l’Abate. ripresi durante
una libera conversazione”:
Generale von Senger: “.è stato fatto tutto da parte tedesca, veramente tutto, per non offrire al
nemico l’occasione di attaccare il Monastero”.
Abate Diamare: – “Generale. Io posso solo confermare ciò. Voi avete dichiarato che l’Abbazia di
Monte Cassino era zona protetta, voi avete proibito alle truppe tedesche di entrare nell’area
dell’Abbazia, voi avete ordinato che entro un determinato perimetro tracciato intorno all’Abbazia
non dovevano essere piazzate armi, posti di osservazione e stazionamento di soldati. Avete
instancabilmente fatto osservare questi ordini. Fino al momento della distruzione dell’Abbazia di
Monte Cassino nella zona del Monastero non vi era un soldato, un’arma e nessuna installazione
militare tedesca”.
Generale von Senger: – “Sono venuto a conoscenza troppo tardi che nella zona del Monastero erano
stati lanciati dei manifestini recanti l’avvertimento dell’imminente bombardamento. Ho saputo ciò
dopo lo stesso bombardamento. Nessun manifestino è stato lanciato sulle posizioni tedesche”.
Abate Diamare: – “Io nutro il sospetto che i manifestini siano stati lanciati tardi di proposito onde
non darci la possibilità di avvertire i comandanti tedeschi o di evacuare in zona di sicurezza circa
800 ospiti del Monastero. Noi semplicemente non credevamo che gli Inglesi e gli Americani
avrebbero attaccato l’Abbazia. Quando sopraggiunsero e lanciarono le bombe, abbiamo sventolato
dei panni bianchi per far loro capire che noi eravamo disarmati, che non eravamo un obiettivo
militare, che quello era soltanto un luogo sacro. Ma non servì a nulla. Essi hanno distrutto il
Monastero e ucciso centinaia di persone innocenti”.
Generale von Senger: – “Posso fare qualcos’altro?”
Abate Diamare: – “No, generale, voi avete fatto di tutto. Anche oggi le Forze Armate tedesche
hanno aiutato noi ed i rifugiati in maniera esemplare. Sono io che ho qualcosa da fare, cioè
ringraziare voi e le Forze Armate tedesche per tutta la considerazione data alla dimora originale
dell’ordine dei Benedettini sia prima che dopo il bombardamento. Io vi ringrazio”.
Dieci anni dopo la fine della guerra, von Senger aveva dimenticato l’intervista. Ricordava di aver
ricevuto dall’Abate una breve dichiarazione firmata ove si affermava che nessun militare tedesco era
mai stato nell’Abbazia prima del bombardamento. Secondo le sue riminiscenze von Senger inviò,
con una scorta, l’Abate a Roma. Lungo la strada – Senger lo seppe più tardi – alcune SS rapirono
l’Abate e gli estorsero un’altra dichiarazione che, pur essendo veritiera, era stata redatta con accenti
propagandistici. Successivamente Senger fu informato che alcuni inviati dell’ufficio di Goebbels
cercarono di carpire all’Abate una dichiarazione ancora più impegnativa. Esausto ed anche irritato,
l’Abate rifiutò. Quanto il Vaticano venne a conoscenza del trattamento subito, le autorità papali
protestarono con le autorità tedesche.
Il bombardamento dell’Abbazia provocò una ferma protesta del Vaticano. In risposta, il Presidente
Roosewelt dichiarò che aveva diramato istruzioni per la salvaguardia dei monumenti storici con
eccezione per i casi di necessità militare. Il bombardamento – dichiarò – era stata un’azione
deprecabile ma necessaria.
La mattina del 15 febbraio, allontanatisi gli aerei che avevano attaccato Monte Cassino, le truppe
tedesche uscirono dai rifugi e occuparono le postazioni provvisoriamente abbandonate dalle Unità
indiane per mettersi al riparo dalle incursioni aeree. Due giorni dopo, il 17 febbraio, appena partito
l’Abate altre truppe tedesche presero possesso delle rovine che offrivano una eccellente posizione
difensiva. Cinque giorni più tardi, i paracadutisti tedeschi avevano allestito sulle rovine
dell’Abbazia un inespugnabile caposaldo.
Malgrado l’arretramento delle truppe indiane dalle posizioni più vicine all’Abbazia, il
bombardamento provocò 24 feriti tra le file indiane. Ma ciò che è ancor più grave è che la loro
ritirata aveva permesso ai Tedeschi di rioccupare senza sforzo le posizioni chiave che le truppe
americane avevano conquistato con aspri combattimenti.
La 4ª Divisione indiana, temporaneamente comandata dal generale di brigata Harry K. Dimoline, in
sostituzione del generale Tuker ammalato, attaccò il 15 febbraio a notte fonda. Una compagnia
isolata cercò di riprendere il terreno abbandonato ma non vi riuscì. Il giorno successivo, dopo che
più di 100 aerei del tipo P-40 e P-51 avevano sganciato altre bombe su Monte Cassino e sulle
montagne vicine, due battaglioni sferrarono un attacco senza conseguire alcun successo. Nel
pomeriggio, 48 cacciabombardieri sganciarono 24 tonnellate di bombe sulle posizioni intorno
all’Abbazia; nella notte cinque battaglioni indiani attaccarono e, questa volta, riconquistarono il
terreno perduto. All’alba del 17, i contrattacchi tedeschi costrinsero i battaglioni a cedere
nuovamente le posizioni. Nel corso della giornata, 59 cacciabombardieri sganciarono 23 tonnellate
di bombe nell’area di Monte Cassino. Le Unità indiane attaccarono di nuovo. Le truppe
conquistarono gli obiettivi assegnati ma i Tedeschi le costrinsero a ritirarsi nelle prime ore del 18
febbraio. Un altro attacco sferrato nel corso della mattinata fu coronato da successo. Dopo aver
respinto quattro contrattacchi, la fanteria infine attaccò direttamente Monte Cassino a meno di un
chilometro di distanza. I due battaglioni incaricati dell’attacco si spinsero avanti a stento.
Come il generale Clark aveva previsto, il bombardamento dell’Abbazia non era riuscito a sfondare
la Linea Gustav nel suo punto critico. Non solo il grande bombardamento del giorno 15 ma anche
gli altri, relativamente pesanti effettuati nei giorni successivi, avevano ulteriormente sgretolato il
Monastero ma non erano riusciti a stanare il nemico, tenace e abilissimo, dalle sue perfette
postazioni difensive.
I comandi terrestri ed aerei del teatro di operazioni erano profondamente delusi possibile che le
forze terrestri non avessero saputo trarre vantaggio dal bombardamento? Oppure i bombardieri non
erano in grado di neutralizzare posizioni tattiche ed erano quindi inefficaci nelle azioni di appoggio
diretto ad attacchi terrestri? Nessuno sapeva rispondere a questi interrogativi.
Il rapporto del generale Eaker al generale Henry H. Arnold, comandante delle Forze Aeree
americane, eluse il problema principale. Secondo quanto riferiva Eaker, il generale Clark
“non voleva fosse sganciata una sola bomba sull’Abbazia di Monte Cassino ma. il generale
Freyberg. scavalcò il suo superiore diretto e lo evitò chiedendo al comandante dell’Armata che
venisse bombardata.
Noi abbiamo eseguito e ciò ha suscitato una protesta degli ecclesiastici. Ci chiedete ora perché
l’abbiamo bombardata; abbiamo effettuato un’indagine e abbiamo scoperto una differenza di
opinioni tra i comandanti delle Unità terrestri.”.
In ultima analisi, nessuno era veramente sicuro di ciò che il bombardamento doveva provocare se
non la distruzione dell’Abbazia. L’inasprimento della missione aerea da una modesta incursione ad
un imponente bombardamento non aveva provocato altro che distruzione, indignazione, rammarico
e rimpianto.
La 2ª Divisione neozelandese, comandata dal generale di brigata Howard Kippenberger, attaccò alle
21.30 del 17 febbraio con il compito di conquistare la stazione ferroviaria di Cassino, non lontana
dalla Strada n.6 alla base di Monte Cassino. Le truppe neozelandesi conquistarono la stazione ma
non riuscirono a respingere il contrattacco tedesco. Il giorno dopo, nel pomeriggio, i Tedeschi
avevano riconquistato la stazione.
Pertanto, le posizioni nell’area di Cassino non erano mutate. Le Forze Alleate erano state sconfitte.
Le Forze Tedesche avevano conseguito una vittoria di grande effetto.
Con il peggiorare delle condizioni atmosferiche, le operazioni offensive divennero impossibili. Un
nuovo attacco pianificato per il 24 febbraio fu posticipato per piogge, neve e forti venti. La linea si
stabilizzò fino alla fine del mese; si registrarono duelli di artiglieria, azioni di pattugliamento e si
consolidarono le posizioni conquistate.
Sotto l’effetto di un inverno gelido, la battaglia cessò lungo tutta la Linea Gustav sia sul fronte della
5ª Armata che su quello dell’8ª Armata.
Truppe neozelandesi, il 22 febbraio, diedero il cambio alle uniti della 34ª Divisione che tenevano
ancora il settore nord-est della città di Cassino. Due giorni più tardi, la 78ª Divisione britannica
diede il cambio alla 2ª Divisione neozelandese che occupava il settore dell’area di Sant’Angelo. Il 26
febbraio truppe francesi e un battaglione della 88ª Divisione americana, arrivata di recente,
rilevarano la 36ª Divisione sul Monte Castellone. Un gruppo da combattimento italiano della forza
di un battaglione bersaglieri, un battaglione paracadutisti, due compagnie anticarro e un reggimento
di artiglieria (erano il XXIX° Battaglione Bersaglieri; il CLXXXV° Battaglione Paracadutisti, il V°
Battaglione Controcarri e l’11° Reggimento Artiglieria da campagna) fu aggregato alla 2ª Divisione
marocchina ed entrò in linea su di un terreno accidentato al limite settentrionale della 5ª Armata.
Una terza divisione (la 4ª Divisione marocchina da montagna) fu aggregata al Corpo di Spedizione
francese.
L’arrivo di nuove truppe nell’Italia meridionale, subito seguite dalla 85ªDivisione americana, fecero
sperare al Comando Alleato che con l’aumento della forza si sarebbe riusciti finalmente a spezzare
la Linea Gustav e ad invadere la Valle del Liri. Per effettuare questo nuovo tentativo il Comando
attendeva che il tempo migliorasse. Il disappunto che il bombardamento di Monte Cassino non
fosse riuscito ad aprire la via di accesso alla Valle del Liri si accrebbe per l’incalzare degli eventi
sulla testa di sbarco di Anzio. Non appena fu chiaro che non era possibile ottenere un rapido
ricongiungimento, la situazione ad Anzio volse al peggio.
Il bombardamento di Cassino
Verso la fine del mese di febbraio la testa di sbarco di Anzio teneva impegnate per la sua difesa le
Forze Alleate con grandi sforzi navali ed aerei.
Pur ostacolando le maggiori vie di rifornimento nemiche a sud di Roma, una leggera avanzata dalla
testa di sbarco avrebbe messo in pericolo tutte le truppe tedesche sul fronte della 10ª Armata. La
consistenza della barriera eretta dai Tedeschi ad Anzio escludeva, per il momento, un’avanzata del
genere. Non era quindi possibile che lo sforzo tedesco prodotto ad Anzio fosse stato effettuato a
spese dell’indebolimento della Linea Gustav? Se in effetti era cosi, per gli Alleati questo era il
momento di produrre un altro sforzo e invadere la Valle del Liri.
Dopo il bombardamento, di Monte Cassino del 15 febbraio e il successivo attacco della fanteria, il
generale Alexander ritenne che il Corpo d’Armata neozelandese era in grado di produrre un altro
tentativo di sfondamento. Ma se il Corpo avesse nuovamente fallito, ed Alexander non era molto
ottimista al riguardo, le operazioni offensive avrebbero dovuto interrompersi.
“Dopo che il Corpo neozelandese avrà prodotto il suo sforzo, si renderà necessaria una certa pausa
nelle operazioni campali onde consentire alle truppe di riorganizzarsi e di prepararsi a continuare la
battaglia”,
queste furono le sue parole.
Mentre il Corpo neozelandese si preparava. a rinnovare il suo attacco, Alexander continuava a
raggruppare le sue forze per fornire la supremazia necessaria per spezzare la Linea Gustav. Poiché
le truppe della 5ª Armata erano suddivise tra Anzio e Cassino, esse erano troppo deboli per
esercitare una pressione decisiva sull’uno o sull’altro fronte. L’8ª Armata, già priva di unità, poteva
fare poco più che mantenere il fronte adriatico.
Nel corso di una serie di conferenze tenute alla fine di febbraio presso il Q.G. di Alexander, si
stabilì come trovare delle riserve fresche con degli scambi di forze nella zona ad ovest degli
Appennini. Eventualmente, la zona della 5ª Armata sarebbe stata ristretta alla fascia costiera, dove il
II° Corpo ed il Corpo di Spedizione francese sarebbero stati posti sotto il controllo della 5ª Armata,
insieme con il VI° Corpo di Anzio. L’8ª Armata, dopo avere attraversato gli Appennini fino alla
zona di Cassino, avrebbe incorporato due Corpi britannici il X° ed il XIII°, e così’ pure il II° Corpo
polacco e il I° Corpo canadese; il Corpo provvisorio neozelandese sarebbe stato disciolto. il V°
Corpo, operante direttamente alle dipendenze del Q.G. del XV° Gruppo d’Armata del generale
Alexander, sarebbe rimasto sul fronte adriatico.
Prima che queste nuove disposizioni venissero eseguite, la 5ª Armata avrebbe dovuto provare
ancora una volta a sfondare la Linea Gustav nella zona di Cassino. Il tentativo sarebbe stato fatto
verso la metà di marzo dal Corpo neozelandese del generale Freyberg.
Per il generale Freyberg le ragioni dell’insuccesso da parte delle esperte truppe da montagna della 4ª
Divisione indiana nella conquista di Monte Cassino nel mese di febbraio erano molteplici: gli
Indiani non avevano potuto attaccare su di un fronte più largo ed i Tedeschi erano stati, per questo,
capaci di trasferire rapidamente i rinforzi nelle zone minacciate; i Tedeschi avevano potuto
concentrare con rapidità ed efficacia il fuoco difensivo perché avevano il vantaggio
dell’osservazione; gli Alleati avevano riscontrato che era praticamente impossibile effettuare
efficaci operazioni di rifornimento sul massiccio di Cassino. Ritenendo che un attacco attraverso
l’altura fosse irrealizzabile, il generale Freyberg mirava alla città di Cassino. Il possesso della città, –
egli pensava – avrebbe permesso un più agevole avvicinamento a Monte Cassino e l’accesso alla
Valle del Liri. Ponendo la 78ª Divisione sulla sinistra della zona del Corpo neozelandese, a sud
della Strada n. 6, Freyberg poteva concentrare in profondità la 2ª Divisione neozelandese su di un
fronte ristretto davanti a Cassino. La Divisione neozelandese, doveva sferrare l’attacco principale da
est conquistando la citta, mentre la 4ª Divisione indiana avrebbe collaborato entrando a Cassino da
nord.
Mentre queste due Divisioni avanzavano per conquistare Monte Cassino, la 78ª Divisione ed il
Gruppo di Combattimento B della lª Divisione corazzata avrebbero dovuto entrare nella Valle del
Liri e dirigersi verso Valmontone. Come nel precedente attacco del Corpo neozelandese, vi sarebbe
stato il concorso dell’appoggio aereo e la fanteria avrebbe attaccato Cassino immediatamente dopo
un pesante bombardamento della città. L’idea del generale Freyberg di iniziare lo sfruttamento del
successo prima della resa del massiccio di Cassino e, particolarmente, di Monte Cassino aveva
veramente scandalizzato il generale Clark. Egli scrisse:
“E’ assolutamente impossibile effettuare un attacco a massa nella Valle dei Liri senza aver prima
conquistato l’altura dominante un fianco o l’altro”.
Poiche il X° Corpo non aveva sufficienti forze per conquistare le alture dominanti la Valle del Liri
da sud, Clark sosteneva fermamente che il contrafforte di Cassino doveva essere conquistato dagli
Alleati prima che le truppe potessero entrare nella Valle del Liri. Questa sembrava essere la lezione
principale tratta dal mancato passaggio del Rapido a Sant’Angelo in gennaio. il generale Wilson era
d’accordo che fosse necessario occupare innanzi tutto la montagna prima di ficcare il capo, secondo
il suo dire, nella Valle del Liri che, altrimenti, sarebbe stata una trappola.
Come si spiega l’interesse di Freyberg per Cassino e la sua proposta di bombardare la città? Clark
pensava che Freyberg ritenesse Monte Cassino inespugnabile. Scriveva Clark nel suo diario:
“Egli (Freyberg) ha visto affievolire di giorno in giorno la convinzione della propria capacita’ di
prendere il Monastero”.
Dopo la discussione intercorsa tra Clark e Freyberg, il comandante del Corpo modificò il suo piano.
Sebbene ritenesse Cassino il suo obiettivo principale, egli incluse ora un attacco simultaneo per
assicurarsi Monte Cassino.
Emanando l’ordine di operazione del 21 febbraio, Freyberg delineava il suo attacco in quattro fasi:
 la 4ª Divisione indiana doveva occupare una quota a circa 400 metri a nord dell’Abbazia e di
li coprire col fuoco il margine occidentale di Cassino e il pendio orientale di Monte Cassino;
 l’aviazione doveva battere la città con un bombardamento pesante;
 la 2ª Divisione neozelandese con il Gruppo da Combattimento B aggregato alla 1ª Divisione
corazzata, doveva conquistare Cassino e consolidare una testa di ponte sul Rapido sulla
Strada n.6, mentre la Divisione indiana avrebbe conquistato Monte Cassino ed interrotto la
Strada n. 6 parecchi chilometri ad ovest del Rapido;
 nel frattempo i carri neozelandesi alle dipendenze della 78ª Divisione avrebbero attraversato
la testa di ponte sul Rapido e conquistato Sant’Angelo da nord, il Gruppo da Combattimento
B avrebbe dovuto sfruttare il successo con direzione ovest lungo la Strada n.6 nella Valle del
Liri: la 78ª Divisione doveva attraversare il Rapido vicino a Sant’Angelo e la 36ª Divisione
doveva tenere un reggimento in allarme per sostenere lo sfruttamento del successo.
Il giorno e l’ora dell’attacco (D-Day e ora H) dovevano essere stabiliti dalle forze aeree in qualsiasi
momento a partire dal 24 febbraio, ma Freyberg insistette che era indispensabile contare su una
revisione di tre giorni senza pioggia. In tali condizioni meteorologiche vi sarebbe stata una buona
visibilità per le azioni aeree di bombardamento e per quelle di appoggio, per i successivi attacchi i
carri armati avrebbero operato su terreno asciutto e con buona aderenza per lo sfruttamento del
successo. I comandanti delle forze aeree e delle unità terrestri decisero di effettuare il
bombardamento su vasta scala al mattino. L’attacco terrestre doveva iniziare a mezzogiorno. La data
sarebbe stata annunciata quando le condizioni del tempo fossero state opportune sia per le forze
aeree che per quelle terrestri.
Nella riunione tenuta al Q.G. del Corpo neozelandese del 21 febbraio, il generale Freyberg discusse
il suo piano di attacco con particolare riferimento al compito delle forze aeree. Erano presenti il
generale Brann, il generale di Brigata Thomas E. Lewis dell’ufficio Operazioni della 5ª Armata, il
colonnello Hansborough, ufficiale di artiglieria della 5ª Armata, l’ufficiale di controllo
dell’Appoggio aereo della 5ª Armata, colonnello Stephen B. Mack del XII° Comando Appoggio
aereo, e numerosi ufficiali neozelandesi. All’inizio della conferenza, Freyberg dichiarò che egli non
avrebbe attaccato se non avesse avuto un appoggio aereo su vasta scala. Egli voleva che fossero
sganciate almeno 750 tonnellate di bombe per spianare la città di Cassino e permettere alla fanteria
e ai carri di attraversarla passeggiando.
Il colonnello Mack assicurò che gli aerei erano in grado di distruggere la città. Essi potevano gettare
quella quantità di bombe su di un solo obiettivo in circa tre ore, non meno, perché i gruppi da
bombardamento avrebbero dovuto aspettare che la polvere ed il fumo si diradassero fra un attacco e
l’altro. Per quanto riguardava il risultato sperato da Freyberg, Mack dichiarò di essere convinto che
la fanteria avrebbe potuto avanzare soltanto con difficoltà dopo il bombardamento e che sarebbe
stato impossibile che i carri armati attraversassero la città prima di due giorni perché le strade
sarebbero state ingombre di detriti. Freyberg impazientemente accantonò la dichiarazione di Mack.
Egli si aspettava che i carri avrebbero attraversato la città in sei o dodici ore. Anche il comandante
delle Forze Aeree degli Stati Uniti, generale Arnold, come lo stesso Freyberg, sperava in una grande
vittoria ottenuta grazie all’uso della forza aerea. Ai primi di marzo, egli scrisse da Washington per
suggerire al generale Eaker, che comandava le Forze Aeree Alleate del Mediterraneo, che doveva
essere effettuato un massiccio attacco aereo:
“Noi tutti siamo molto seccati per l’evidente impantanamento della campagna italiana Io
personalmente ammetto di considerare ciò a grande distanza dalla zona della battaglia.
Le forze terrestri si trovano nell’esatta posizione in cui erano durante la mia ultima visita. L’altura
sovrastante Cassino è ancora in mano tedesca. Questa altura domina evidentemente la situazione
militare; le speranze di poter congiungere il grosso dell’Armata con le forze della testa di sbarco
sono fondate sulla sua preliminare conquista. In differenti condizioni ambientali la forza operante
nel deserto si trovò in posizioni simili durante la battaglia del Nordafrica. Credo che risolse il
problema persuadendo le forze terrestri che esse potevano sfondare purché queste ultime fossero
pronte e disposte a trarre vantaggio dal momento favorevole.”
Ciò che egli raccomandava era di riunire tutti i velivoli della Forza Aerea Costiera, tutti i
bombardieri pesanti, quelli medi e i caccia delle Forze Aeree Strategiche e Tattiche,
comprendendovi gli equipaggiamenti nei campi di riposo, quelli non ancora del tutto pronti per la
battaglia e quelli in Africa per costituire una forza
“.che, per un giorno, potesse fare realmente la storia dell’aviazione”.
Fate indietreggiare le forze terrestri continuava Arnold ed usate tutto il potere aereo disponibile per
“frantumare ogni pietra della città dietro cui possa trovar riparo un soldato tedesco. Quando il fumo
degli ultimi bombardieri e dei caccia comincerà a dissolversi, le truppe a terra potranno
impadronirsi rapidamente dell’intera città di Cassino”.
Il generale Eaker era alquanto dubbioso. Egli credeva che fosse più facile a dirsi che a farsi e scrisse
al generale Arnold:
“Il bombardamento dell’Abbazia ha ampiamente dimostrato che le nostre demolizioni hanno portato
un risultato molto modesto se non sfruttate dalla occupazione della fanteria. Io temo che voi non
otterrete una grande vittoria da questa operazione. Personalmente non penso che riuscirà a cacciare
completamente il nemico dalle sue posizioni attuali, né lo costringerà ad abbandonare il ruolo
difensivo, se esso decide e determina di resistere fino all’ultimo uomo, come ha adesso ordine di
fare. Sarà comunque possibile che la presente linea (di Cassino) e la testa di ponte (ad Anzio) si
riuniscano. Dal nostro punto di vista (aeronautico) questo è il problema principale. La testa di ponte
è cosi limitata che noi siamo costretti ad abbandonare la striscia di atterraggio della testa di ponte.
Abbiamo perduto ventiquattro aerei prima di rinunciarvi.
E’ evidentemente difficile per chiunque non sia qui presente. comprendere in pieno l’influenza del
terreno e della pioggia sulla battaglia. I torrenti sono gonfi; non ci sono ponti, essendo essi tutti
distrutti; la campagna è una completa palude e non può sostenere truppe a piedi e tanto meno
equipaggiamenti pesanti. Ogni cosa. deve essere trasportata. sulle poche strade importanti e queste,
naturalmente, si trovano nella zona della battaglia e sono battute d’infilata da un fitto fuoco di
artiglieria.
Dobbiamo ricordare che il terreno ed il tempo hanno contribuito a creare una situazione
completamente differente da quella del deserto. Nella battaglia del deserto i movimenti
fiancheggianti erano sempre possibili. Il tempo e il terreno li permettevano. Qui, sia il tempo che il
terreno hanno imposto che ogni avanzata fosse fatta. attraverso percorsi minati, con poderosi
concentramenti di artiglieria sulle opposte alture. Tutto ciò contribuisce a dare un quadro
completamente diverso.
La situazione, rispetto al futuro, è questa, e voi potete crederci. Noi andremo avanti e
conquisteremo Roma quando le condizioni del tempo lo permetteranno. e non prima; noi saremo in
grado, durante la primavera e l’estate, di contenere le divisioni tedesche ora in Italia”.
Se il generale Eaker non era affatto ottimista circa l’efficacia di un pesante attacco aereo su Cassino,
egli nutriva molte speranze sull’efficacia di un programma di sostenuti bombardamenti contro il
traffico costiero dell’avversario e contro la rete stradale e ferroviaria usata dai Tedeschi.
L’operazione Strangle come veniva chiamata, era stata progettata per tagliare le vie di rifornimento
tedesche delle Divisioni situate a sud della linea Pisa-Rimini. Eaker aveva aerei sufficienti per
realizzare il piano per un periodo da sei settimane a due mesi. Aveva bisogno solamente di tempo
buono. Con questa operazione egli era sicuro di poter aiutare le forze di terra alleate a prendere
Roma e costringere i Tedeschi a ritirarsi nell’Italia settentrionale.
I dettagli dell’operazione Strangle furono impostati fin dai primi giorni di marzo; le istruzioni
operative furono emanate più tardi, entro il mese. Il XII° Comando di appoggio aereo, investito
della responsabilità principale dì questo programma di interdizione su vasta scala, non sarebbe stato
in grado di dedicarsi interamente al compito affidatogli se non dopo l’attacco di sfondamento a
Cassino, esso richiedeva la priorità assoluta per le missioni di appoggio ravvicinato.
Nonostante il proprio convincimento, e cioè che il bombardamento di Cassino sarebbe stato di poca
utilità pratica per le truppe terrestri, il gen. Eaker cercò di rendere quell’operazione un successo.
Dopo aver studiato le fotografie di un attacco di B-24 su scali ferroviari ed aeroporti, ai primi di
marzo egli disse al magg. generale Nathan E. Twining, comandante della Forza Aerea Strategica
Alleata del Mediterraneo, che egli era ancora deluso per la povertà dei risultati ottenuti dai
bombardamenti.
“dobbiamo curare molto a fondo l’addestramento per migliorare la precisione, la formazione in volo
e la condotta delle operazioni”.
Fu infine stabilito che l’attacco di Freyberg avrebbe condotto la 2ª Divisione neozelandese alla
conquista della città di Cassino e a penetrare nella Valle del Liri in corrispondenza della Strada n.6,
mentre la 4ª Divisione indiana doveva vigilare per neutralizzare le posizioni del nemico sui pendii
orientali di Monte Cassino, mantenendo la pressione per impedire ai Tedeschi di impiegare le forze
di riserva contro il grosso, e conquistare Monte Cassino. L’attacco in pieno giorno, ad opera della
fanteria e dei carri, doveva seguire un pesante bombardamento aereo della durata di quattro ore e
una preparazione di artiglieria della massima intensità. Il bombardamento doveva aumentare di
potenza e raggiungere il punto culminante all’ora H dell’attacco al suolo; 360 bombardieri pesanti e
200 medi avrebbero dovuto spianare Cassino, e i cacciabombardieri avrebbero dovuto tenersi pronti
per appoggiare lo sviluppo delle operazioni al suolo.
Sperando di evitare che i carri venissero bloccati dai combattimenti per le strade, il generale
Freyberg ordinò non soltanto ai carri, ma anche all’artiglieria semovente, di dare il massimo
concorso di fuoco e di movimento. Per impedire che i carri fossero colpiti dal fuoco amico, i mezzi
provenienti dalla parte avversaria dovevano dare la massima elevazione ai cannoni. Queste
istruzioni furono diramate agli elementi neozelandesi, ed anche alle due principali forze operative
americane, che avrebbero dovuto sfruttare il successo dello sfondamento della Linea Gustav.
Entrambe le forze operative erano principalmente composte da unità del Gruppo da Combattimento
B della 1ª Divisione corazzata.
Questa Unità era pronta a sfruttare il successo di un apertura nella Valle del Liri sin dai primi di
gennaio. Il terreno era stato minuziosamente studiato e la preparazione eseguita con cura, erano stati
stabiliti i posti di controllo forniti di radio, indicata la strada da percorrere, assegnati i posti adatti
per i veicoli da demolizione e da recupero.
Verso la metà di febbraio, il Gruppo era stato tenuto in allarme con preavviso di sei ore per una
settimana vicino a S. Pietro, Ceppagna e Monte Trocchio in attesa dell’ordine di attraversare il
Rapido. Ancora una volta le truppe erano pronte per l’azione.
Il generale Allen, comandante del Gruppo da Combattimento B, scriveva al generale Harmon che si
trovava ad Anzio con il grosso della 1ª Divisione corazzata:
“Abbiamo ricevuto l’ordine di eseguire una manovra di avvolgimento intorno a Cassino con il
Gruppo Carri guida, seguito da qualche mezzo corazzato della Divisione neozelandese, dietro il
quale incalza il grosso costituito dal Gruppo da Combattimento B”.
Egli si era consultato con gli ufficiali neozelandesi sul piano di attacco, aveva diretto delle manovre
con i quadri però non aveva diretto esercitazioni con le truppe. Allen non era troppo ottimista circa
le prospettive del nuovo attacco. La sua lettera ad Harmon continuava in questi termini:
“Il tempo è stato terribile e la vallata è un mare di fango. Nelle attuali condizioni non credo che
qualsiasi carro medio sarà in grado di avanzare in profondità e le operazioni saranno
necessariamente limitate alle rotabili che nella valle non sono molte.
Non posso nemmeno darvi qualche informazione circa il momento in cui questa operazione così
pianificata scatterà. Siamo in attesa ad un capo del telefono con un preavviso di due ore con i
genieri. pronti con il materiale per gettare un ponte. L’artiglieria è pronta a far fuoco su alcuni
obiettivi; ognuno aspetta che l’attacco abbia inizio per scattare e riunirsi al grosso della Divisione
nella marcia verso Roma”.
Il tempo continuava ad essere pessimo e Freyberg insisteva nell’attendere una previsione
meteorologica favorevole di tre giorni consecutivi. il generale Clark, impaziente per il trascorrere
del tempo, (era passata la prima settimana di marzo) incitava il comandante del Corpo neozelandese
ad avanzare e a rinunciare al bel tempo. Scriveva il comandante dell’Armata,
“Io comprendo pienamente che noi non saremo in grado di sfondare del tutto, ed i carri svolgeranno
soltanto un piccolo ruolo in questo attacco”.
Ma il generale Freyberg era irremovibile.
Trascorse altro tempo. I continui mutamenti atmosferici costituivano una delle maggiori difficoltà
per l’andamento delle operazioni. Quando era sereno a Cassino, ci poteva essere visibilità zero sui
campi di aviazione; nebbia a Napoli pioggia a Foggia e nuvole al di sopra della Corsica, della
Sardegna e dell’Africa Settentrionale.
I meteorologi, finalmente, diedero la previsione desiderata. Alle 18 del 14 marzo, il Q.G. della
Forza Aerea del Mediterraneo annunciò il giorno D per il giorno successivo. Per misura di
sicurezza, le truppe neozelandesi ed indiane indietreggiarono durante la notte di circa 1500 metri
dalle loro posizioni più avanzate per non essere colpite durante il bombardamento che sarebbe
incominciato il mattino successivo.
Per sganciare un minimo di 750 tonnellate di bombe su Cassino nel più breve tempo possibile e per
avere il massimo effetto distruttivo sulle case di pietra e sulle casematte in cemento armato della
città, gli aerei avrebbero usato bombe non inferiori alle 1000 libbre, con le spolette regolate in modo
da penetrare in profondità nel basamento degli edifici. I bombardieri avrebbero attaccato ad ondate,
sganciando ogni 15 minuti dalle ore 8.30 a mezzogiorno. L’artiglieria, che avrebbe sparato tra le
ondate dei bombardieri, avrebbe dovuto produrre a mezzogiorno un concentramento finale della
durata di quaranta minuti. I fanti sarebbero balzati fuori, preceduti da un fuoco radente di artiglieria,
su obiettivi antistanti da 100 a 200 m i reparti in movimento verso Cassino. I cacciabombardieri
avrebbero cooperato attaccando obiettivi prescelti, in particolar modo la stazione ferroviaria,
l’antico colosseo alla base di Monte Cassino e lo stesso Monte Cassino.
Il mattino del 15 marzo, Clark si recò a Cervaro per assistere a quello che fino ad allora sarebbe
stato il più grande attacco aereo a massa in diretto appoggio tattico di forze terrestri. Insieme con
Devers, Alexander, Eaker, Freyberg ed altri, egli osservò Cassino chiaramente visibile a meno di tre
miglia di distanza. Come tutte le truppe nella zona di Cassino, egli udì quello che qualcuno avrebbe
più tardi definito
“un ronzio simile a quello delle locuste, che veniva di lontano. Il lontano rumore degli aerei
aumentò gradualmente fino a diventare un rombo fermo e pulsante. Infine dei piccoli punti
incominciarono ad apparire, alti contro il cielo”.
Alle 8.30 giunsero per primi i bombardieri medi, erano del tipo B-25 e B-26 in stormi di 12 e più
aerei scortati da caccia che volavano alti sopra di loro solcando il cielo con strisce di vapori. I
bombardieri si avvicinarono al bersaglio, quasi lo oltrepassarono, quindi virarono a sinistra; le
pance degli aerei si spalancarono e caddero le prime bombe. Gli aerei virarono di nuovo, ma questa
volta per rientrare alla base.
Circa l’80% delle bombe sganciate dagli aerei della prima ondata cadde nel centro di Cassino. Le
altre caddero nelle vicinanze; alcune, più corte, in zona alleata sulle sponde del Rapido. Le bombe,
esplodendo, lanciavano lampi di fiamme arancione tra l’eruzione di fumo e di detriti.
Alle 8.45 arrivarono i bombardieri pesanti, le Fortezze Volanti, insieme con i bombardieri in
picchiata. Non appena gli aerei furono sopra la città, già offuscata dal fumo e dalla polvere, i
bombardieri sganciarono il loro carico. Larghe esplosioni di colore arancione apparvero sopra
Cassino, Monte Cassino e sulla vallata del Rapido. Fu osservato soltanto l’impatto delle prime
bombe. Le ultime sganciate sparirono in un oceano di polvere e fumo grigio e bianco. Per circa
dieci chilometri intorno a Cassino, il terreno sussultava violentemente come per un terremoto.
Qualsiasi essere umano si fosse trovato nella città avrebbe mai potuto sopravvivere ad un tale
castigo e non impazzire?
Quasi senza interruzione, le bombe caddero fino a mezzogiorno. Tra le ondate dei bombardieri,
l’artiglieria polverizzava il bersaglio.
Alla fine giunse il cannoneggiamento di quaranta minuti, un concentramento costituito da tutti i
pezzi da campagna della zona, americani, britannici, neozelandesi, indiani e francesi.
Il sogno di ogni artigliere, l’obiettivo era in piena vista, l’alzo era praticamente a zero, la taratura
esatta, la registrazione perfetta. L’artiglieria tuonava, gli artiglieri sudavano nella fredda aria
invernale. Monte Cassino sembrava saltare e contorcersi sotto le detonazioni. Grossi fori apparvero
nelle poche mura dell’Abbazia ancora in piedi. Enormi pezzi di muratura volavano in aria.
Quando il tiro delle artiglierie cessò e le truppe di terra mossero all’assalto sicuramente non vi erano
più difensori provvisti di spirito combattivo. Si sarebbe sicuramente trattato di una questione di
cadaveri e di prigionieri, pochissimi forse degli uni e degli altri.
Tra le 8.30 e le 12.00 del 15 marzo, 72 aerei B-25, 101 B-26, 262 B-17 e B-24, per un totale di 435
aerei, bombardarono la zona di Cassino. Gli aerei sganciarono più di 2000 bombe, un peso totale di
circa 1000 tonnellate. In un bombardamento di proporzioni terrificanti senza precedenti.
L’artiglieria contraerea tedesca era scarsa e nessun aereo si oppose al bombardamento. L’aviazione
alleata non subì perdite.
Gli attacchi dei bombardieri medi furono in genere precisi, il loro bombardamento concentrato e
accurato. I bombardieri pesanti furono spesso imprecisi in tutte e tre le occasioni. Così, il bersaglio
ricevette meno del peso totale delle bombe sganciate. Soltanto 300 tonnellate all’incirca caddero
nella città di Cassino. Il resto cadde sui pendii e altrove. Soltanto la metà colpì la zona del bersaglio.
Inoltre, vi furono frequenti e lunghe pause tra le ondate attaccanti.
Anche se imperfetto questo bombardamento distrusse Cassino, le mura e gli edifici crollarono
ricoprendo le strade di detriti.
Alcuni piloti di bombardieri pesanti non furono in grado di identificare l’obiettivo e ventitrè di essi
ritornarono alle basi con tutto il carico di bombe; due lo sganciarono in mare. Un difetto nella
rastrelliera del velivolo guida di una formazione mandò quaranta bombe entro la zona alleata
uccidendo e ferendo soldati e civili.
Queste ed altre bombe corte, cadute nella zona di Cassino, inflissero agli Alleati 142 feriti e 28
morti. Parecchi aerei, per errore, bombardarono Venafro, distante circa 15 chilometri in linea d’aria,
uccidendo 17 soldati e 40 civili e provocando 79 feriti tra i militari e 100 tra i civili. Gli errori di
bombardamento costituirono una tragedia spaventosa che il generale Clark attribuì a scarso e
inadeguato addestramento degli equipaggi.
Il fuoco dell’artiglieria fu eseguito come predisposto. Un totale di 746 cannoni ed obici spararono
2500 tonnellate di granate ad alto esplosivo immediatamente davanti alle truppe di assalto ed altre
1500 tonnellate sulle batterie avversarie e sugli altri bersagli prescelti. Tra le ore 12.20 e le 20.00 di
quel giorno, i pezzi di artiglieria della zona di Cassino spararono non meno di 200.000 colpi.
Il generale Freyberg e gli altri comandanti si aspettavano che il bombardamento aereo ed il
cannoneggiamento dell’artiglieria avessero polverizzato Cassino, distrutto i punti di resistenza del
nemico, interrotto le comunicazioni, neutralizzato l’artiglieria ed inflitto pesanti perdite ai Tedeschi,
per dirla in breve. di aver talmente stupefatto, stordito e demoralizzato i difensori di Cassino, che le
truppe avrebbero raggiunto i loro obiettivi ed occupato rapidamente la città, con appena qualche
perdita. Contro tutte le previsioni rimasero molti difensori: con grande spirito combattivo, con
molte armi, munizioni, posti di osservazione e con una grande perseveranza.
L’attacco aereo era venuto di sorpresa per i Tedeschi ed aveva disperso gli uomini come pezzi di
carta. Ma l’effetto demoralizzante del bombardamento durò soltanto brevissimo tempo. Le case di
pietra di Cassino davano una eccellente protezione contro qualsiasi tensione psicologica. Gli uomini
della 1ª Divisione di paracadutisti tedeschi, che erano giunti a Cassino alla fine di gennaio, erano
veterani eccezionalmente bene addestrati e non si fecero cogliere dalla paura.
Alle 10.40 di quella mattina, nel mezzo del bombardamento, Vietinghoff telefonò a von Senger per
ordinargli di tenere duro. Egli disse:
“Il massiccio di Cassino deve essere tenuto ad ogni costo dalla 1ª Divisione”.
Von Senger aveva proprio questa intenzione. Malgrado i prigionieri presi dagli Alleati avessero più
tardi riferito che il bombardamento aveva inflitto un considerevole numero di feriti, i difensori di
Cassino avevano in effetti subito delle perdite relativamente modeste. Le armi pesanti e i pezzi di
artiglieria erano solo parzialmente neutralizzati. Contro i fanti neozelandesi ed indiani del primo
assalto, i paracadutisti tedeschi reagirono con il fuoco incessante dei mortai pesanti e delle
mitragliatrici. Essi scoprirono infine che il bombardamento aveva i suoi vantaggi; i muri abbattuti
costituivano delle efficaci barricate difensive.
L’attacco alleato fu ostacolato non soltanto dal fuoco nemico, ma anche dalle immense distruzioni
della città. Quando i carristi avanzarono a sostegno dell’assalto della fanteria, trovarono le strade
bloccate dai detriti e dai crateri delle bombe. Alcuni comandanti e membri dello Stato Maggiore
avevano capito che l’avanzata attraverso Cassino sarebbe stata rallentata dalle buche e dalle macerie
degli edifici, ma le condizioni reali erano peggiori di quelle che essi avevano previsto. Il pietrame
intasava le strade e alcuni crateri erano così larghi (da 12 a 15 metri di diametro) che in alcuni casi
si doveva gettare un ponte perché i carri potessero passare.
Poiché il Q.G. del Corpo neozelandese era una Unità provvisoria, esso difettava di un corpo
organico di genieri e le unità improvvisate erano inadeguate per il tremendo compito di ripulire le
strade dell’avanzata. I Tedeschi, occultati nelle case in rovina, sparavano ai genieri mentre questi
cercavano di fare il loro lavoro.
Altri aerei, 100 del tipo B-17 e 140 del tipo B-24, giunsero su Cassino nel primo pomeriggio del 15
marzo in appoggio alle truppe a terra ma, poiché pesanti formazioni di nuvole ricoprivano la zona
impedendo ai piloti di individuare gli obiettivi, essi ritornarono alle basi senza liberarsi del loro
carico. Gli aerei più leggeri ebbero miglior successo. Fra le 13.00 e le 15.00, 49 cacciabombardieri
sganciarono 18 tonnellate di bombe sulla stazione ferroviaria di Cassino, Fra le 13.45 e le 16.00, 96
aerei del tipo P-47, A-36 e P-40 colpirono la base di Monte Cassino con 44 tonnellate. Fra le 15.00
e le 17.00, 32 aerei P-40 ed A-36 batterono i pendii avanzati di Monte Cassino con 10 tonnellate, e
66 A-20 e P-40 sganciarono 34 tonnellate su vari obiettivi in differenti occasioni durante il
pomeriggio.
Il massiccio sostegno dall’aria ebbe un risultato modesto. I fanti neozelandesi combatterono una
dura battaglia casa per casa nella città e quasi raggiunsero la Strada n.6 lungo la base di Monte
Cassino, ma non furono in grado di penetrare nella Valle del Liri. Altre truppe neozelandesi sul
massiccio conquistarono una quota molto vicina all’Abbazia, ma non poterono andare oltre. Le
truppe indiane che tentavano di entrare a Cassino da nord non fecero grandi progressi.
All’imbrunire del 15 marzo, le nuvole che sovrastavano Cassino divennero oscure e minacciose; il
tempo si guastò e cadde la pioggia. Contrariamente alle previsioni di tre giorni di bel tempo, un
acquazzone torrenziale si rovesciò sulla città sconvolta. I crateri delle bombe e gli scantinati si
riempirono di acqua. Poiché la pioggia continuò tutta la notte, apparve evidente che i carri non
avrebbero potuto attraversare Cassino per almeno trentasei ore. E il generale Freyberg faceva un
grande affidamento sulla potenza dei carri!
Durante la notte i carristi poterono a malapena riordinarsi per rinnovare l’attacco. I fanti
neozelandesi inciamparono in crateri colmi di fango e in montagne di macerie con i mezzi di
collegamento inefficienti perché la pioggia aveva danneggiato gli apparati radio e il fuoco
avversario aveva interrotto le linee telefoniche campali. Pertanto il 15 marzo non si ottenne alcun
progresso a Cassino se non un confuso combattimento intorno all’Hotel Continental e alla stazione.
Le truppe indiane avanzarono verso Monte Cassino, ma dovettero fermarsi a circa mezzo miglio
dall’Abbazia. Gli aerei sganciarono 266 tonnellate di alto esplosivo per aiutare le truppe a terra, ma
la situazione non migliorò.
Quello che i Tedeschi riscontrarono terrificante fu il fuoco dell’artiglieria. Di 94 bocche da fuoco
con cui il 71° Reggimento tedesco aveva iniziato il fuoco di controbatteria ne erano rimaste, sul
finire della giornata del 16 marzo solamente 5 efficienti; il rimanente era stato messo fuori
combattimento. Ai difensori sembrava che le Forze Alleate impiegassero la tattica di El Alamein,
cioè un fuoco concentrato di aerei e di bocche da fuoco e attacchi di fanteria su un fronte ristretto.
Ma la forza ammassata dagli Alleati a Cassino non riuscì a sopraffare la Linea Gustav.
Il 17 marzo la situazione non era cambiata. Le truppe neozelandesi, combattendo a ranghi serrati,
tentavano di conquistare l’angolo sud-ovest di Cassino, le truppe indiane di conquistare la cima di
Monte Cassino. Gli aerei sganciarono altre 200 tonnellate di bombe in appoggio diretto delle
operazioni terrestri, senza effetti degni di nota. Il generale Clark annotava nel suo diario:
“La battaglia di Cassino progredisce lentamente. I piani entusiastici di Freyberg non rispettano i
tempi previsti.
Ho ripetutamente detto a Freyberg, fin dal primo momento, che il solo bombardamento aereo non
avrebbe snidato né sniderà mai un nemico deciso dalla sua posizione. Cassino ha confermato ancora
una volta questo concetto perché, malgrado le gravi perdite inflitte al nemico, esso ha conservato
forze sufficienti per trattenere la nostra avanzata e per provocare aspri combattimenti nella città nei
due giorni trascorsi.
Dato che il generale Alexander tratta direttamente con Freyberg e tenuto conto del fatto che questa è
un’azione completamente britannica, sono riluttante a dare un ordine diretto a Freyberg.”.
Nella notte del 17 marzo la situazione a Cassino era notevolmente confusa. La difficoltà di
localizzare e di segnalare le posizioni avanzate rendeva impossibile un efficace azione di appoggio
dell’artiglieria. I carri non potevano manovrare. La Strada n. 6 era ancora bloccata.
Gli attacchi continuavano in quella dura e disperata battaglia, nella misteriosa città spettrale di
Cassino e sui pendii del massiccio di Monte Cassino surrealisticamente decorati dagli alberi
devastati e dalle macerie del combattimento, ma le Forze Alleate rimasero ad un punto morto.
I Tedeschi con due principali centri di resistenza a Cassino, uno a nord-ovest e l’altro nell’angolo
sud-ovest della città, immobilizzarono e decimarono sei battaglioni di fanteria neozelandese. Essi
presidiavano anche le quote principali che dominavano le vie tattiche adducenti a Monte Cassino ed
avevano completamente isolato le forze neozelandesi ed indiane su due colline.
Il 21 marzo, poiché la battaglia di Cassino entrava nel settimo giorno, alcuni comandanti tra cui il
generale Juin, giudicarono che l’attacco si stesse dimostrando troppo oneroso e perciò doveva essere
sospeso. Ma Freyberg era restìo dal considerarlo esaurito. In una conferenza nel corso del
pomeriggio, il generale Alexander appoggiò Freyberg: se il Corpo neozelandese poteva mantenere
la pressione ancora per altre 24 o 48 ore, la difesa tedesca avrebbe potuto cedere. Finché non ebbe
parlato con alcuni comandanti dipendenti da Freyberg che si dimostrarono decisi a combattere ad
oltranza fino al raggiungimento dell’obiettivo, Clark era propenso a sospendere l’attacco. Il generale
Leese era d’accordo con Freyberg. Alexander infine decise di riesaminare la situazione giorno per
giorno per vedere quando era opportuno ordinare la sospensione dell’attacco.
Sebbene nessuno volesse ammettere l’insuccesso, il generale Clark si espresse in questi termini:
“Odio veder naufragare l’azione di Cassino”.
Due giorni dopo, 23 marzo, era evidente che le Divisioni neozelandesi ed indiane erano esauste.
Freyberg fu d’accordo con Clark e chiese che l’attacco venisse sospeso. Dopo una riunione con i
generali Leese e Clark, Alexander emanò l’ordine.
Non c’era altra scelta. Malgrado il bombardamento aereo senza precedenti, il consumo di almeno
600.000 colpi di artiglieria e la messa fuori combattimento di 2000 soldati neozelandesi ed indiani
in nove giorni (non meno di 300 caduti, circa 250 dispersi e più di 1500 feriti) l’ultimo tentativo di
rompere la Linea Gustav era fallito.
Il generale Harding, Capo di S.M. del generale Alexander, spiegò in una conferenza stampa tenuta
il 25 marzo 1944, le ragioni del fallimento. C’era stato troppo ottimismo circa l’effetto del
bombardamento aereo sui difensori tedeschi, e ciò aveva ridotto ad impiegare insufficienti truppe
alleate all’attacco. La pioggia pesante aveva frenato le truppe d’assalto e, in particolare, i carri
armati. La resistenza del nemico era stata tenace.
Il generale Allen, insieme con le truppe del Gruppo da Combattimento B, era in attesa di entrare
nella Valle del Liri, quando il 16 marzo arrivò la notizia che i Neozelandesi. probabilmente non
sarebbero stati in grado di costituire una testa di ponte. Egli decise allora che se egli avesse ricevuto
l’incarico, avrebbe cercato di costituire, da solo, una testa di ponte. Il Gruppo B rimase in stato di
allarme fino al mattino del 18 marzo quando Allen seppe che lo sfruttamento del successo
programmato da mesi era divenuto impossibile. Benché fosse di riserva, la sua Unità aveva
ugualmente sofferto delle perdite; parecchi aerei in picchiata tedeschi avevano attaccato e distrutto
il Posto di Comando tattico del I° Gruppo Carri, avevano demolito un piccolo edificio in cui si
trovava il Q.G. e tutti i veicoli attorno ad esso, uccidendo sei uomini e ferendone gravemente
cinque, tutti sottufficiali molto qualificati. Il 24 marzo arrivò l’ordine di ritirarsi dalla zona di
Cassino e di recarsi ad Anzio.
Una compagnia di carri americana aveva partecipato alla battaglia per Cassino. Prima della battaglia
il generale Freyberg aveva chiesto se il generale Allen potesse fornire una forza corazzata in
appoggio alla Divisione indiana e se potesse farlo senza indebolire il Gruppo da Combattimento B
fino al punto di impedire il progettato sfruttamento del successo. Allen mise a disposizione una
compagnia di carri leggeri con la speranza che la comparsa di carri armati provocasse caos e panico
fra i Tedeschi.
Il tenente Herman R. Crowder jr., comandante della Compagnia D del 760° Battaglione carri,
ricevette l’incarico di precedere un attacco di fanteria sul massiccio di Cassino e di fornire
l’appoggio per un assalto finale all’Abbazia. L’attacco fu prima rimandato, poi cambiato in assalto su
uno dei contrafforti di Monte Castellone.
Su di un terreno accidentato che ruppe i cingoli di quattro carri armati e sotto il fuoco dei mortai
pesanti tedeschi, la Compagnia carri balzò all’attacco il 19 marzo, ma dovette presto ritirarsi. I
carristi allora fornirono il fuoco di appoggio ai fanti indiani. Nel primo pomeriggio la Compagnia si
spinse di nuovo all’attacco ed i carristi unirono il fuoco al movimento. Malgrado i fori dei proiettili,
i crateri delle bombe, il fuoco d’artiglieria nemico e delle armi portatili, la Compagnia aveva
incominciato a muoversi lungo una pista che conduceva direttamente a Monte Cassino, ma il carro
guida urtò contro una mina e, fuori uso, bloccò la colonna. La comparsa dei carri su di un terreno
così accidentato sembrò sorprendere e sconcertare i Tedeschi, tuttavia nessun fante indiano seguì i
carri per consolidare la conquista. Crowder ordinò ai carri di ritirarsi lentamente.
Durante la ritirata la Compagnia perdette altri quattro carri, di cui uno distrutto da una mina, un
altro dal fuoco anticarro e due impantanati in buche di fango. In tutto, dieci carri furono perduti in
quel giorno. Sperando di recuperarne qualcuno, Crowder richiese l’aiuto di un plotone di fanti e di
genieri per aiutare i carristi. La sezione operazioni della Divisione indiana rifiutò di mettere a
disposizione fanti e genieri asserendo che i Tedeschi, probabilmente, avevano già minato e resi
esplosivi i carri al semplice contatto. Crowder stimò che i carri non erano a più di 150 metri ma,
come riferì in seguito, gli Indiani consideravano il superamento di questa distanza una operazione
troppo rischiosa. La Compagnia di Crowder, nell’opinione dello Stato Maggiore della Divisione
aveva, comunque, fornito un valido aiuto.
Il mancato sfondamento delle difese di Cassino deluse i comandanti della Forza Terrestre, ma
allarmò profondamente i comandanti delle Forze Aeree. Il generale Eaker, che aveva assistito al
bombardamento, era ritornato al suo Q.G. nel pomeriggio ed aveva subito conferito per radio
telescrivente con il Capo di Stato Maggiore del Generale Arnold a Washington. La conversazione
fu ampliata in una lettera che Eaker mandò parecchi giorni dopo al generale Arnold per descrivere e
spiegare quello che era accaduto:
“Le fasi aeree della battaglia di Cassino erano state eseguite in conformità al piano fino alle ore
15.00, ma un’improvviso cambiamento delle condizioni atmosferiche annullò la maggior parte delle
altre missioni in programma”.
Nonostante la pioggia, le nuvole basse, la scarsa visibilità e l’annullamento di alcune missioni, il
bombardamento aereo, secondo il parere dei comandanti delle Forze Terrestri, aveva provocato le
distruzioni richieste. I prigionieri di guerra tedeschi riferivano che il bombardamento aveva
provocato in molti uomini un grande shock ed aveva letteralmente fatto saltare i loro timpani.
Inoltre circa 300 uomini di truppa che avevano trovato scampo in un profondo tunnel, sotto
Cassino, ed altri uomini ugualmente ben protetti, erano sopravvissuti al bombardamento ed avevano
resistito all’avanzata continuando a combattere anche con alcune compagnie di fanti ridotte a meno
di 30 effettivi.
Eaker, comunque, sostenne che i difensori non avevano ricevuto alcun rinforzo durante la battaglia.
Scrisse Eaker:
“Io penso che se fossi rimasto sempre a Washington e non avessi conosciuto profondamente il
terreno intorno a Cassino, mi sarei molto meravigliato per quanto era accaduto in questa battaglia”.
Visto che la carta indicava Cassino come una città raccolta ai piedi di una montagna ed a cavalcioni
della strada principale che conduceva nella Valle del Liri aggirando la montagna, perché il
Comando Alleato non aveva superato Cassino facendo una deviazione a sinistra nell’ampia valle?
Questo sarebbe stato forse possibile con il tempo asciutto. Ma il terreno, durante la maggior parte
dei primi tre mesi del 1944, era una palude di fango che aveva impantanato non solo i carri armati e
gli automezzi ma anche i fanti. Ecco perché Cassino costituiva un blocco stradale e perché doveva
essere conquistata prima di tentare un’offensiva su larga scala attraverso la valle. Inoltre, i
comandanti terrestri dovevano occupare il massiccio a nord di Cassino, prima di invadere la valle
onde impedire all’avversario di far fuoco alle spalle dell’avanguardia, di lanciare contrattacchi e di
usare le alture come posti di osservazione.
Il generale Eaker aveva osservato i carri e la fanteria muoversi verso il margine orientale di Cassino
e non poter più proseguire. Le bombe avevano creato dei tremendi crateri che si erano subito
riempiti d’acqua; dovevano perciò essere superati da ponti oppure riempiti prima che i carri
potessero procedere. Inoltre i dirupi ed il terreno circostante non transitabile, impedivano ai carri di
aggirare le buche. Scriveva Eaker
“Voi ricorderete che io vi avevo avvertito per lettera, prima della battaglia di Cassino, di non
aspettarvi da questa operazione uno sfondamento su vasta scala. Quella stima della situazione si
e’dimostrata esatta”.
Né era possibile, con le forze a disposizione, truppe stanche e depresse, prevedere un’avanzata in
profondità nella zona di Cassino fino a quando il terreno non si fosse asciugato. Anche mentre
scriveva, Eaker commentava che stava piovendo a catinelle.
Il generale Eaker era consapevole che alcune persone estranee al teatro di operazioni avrebbero
attribuito il fallimento delle azioni terrestri alla mediocre prestazione delle forze aeree. Sulla linea
del fronte non c’era una sensazione del genere. Tenuto in conto il cattivo tempo, i generali Wilson,
Devers, Alexander e Clark, consideravano che le forze aeree avevano fatto tutto il possibile.
Gli ufficiali dell’Aeronautica a Washington furono comprensivi. il generale Giles inviò le sue
congratulazioni e l’assicurazione che il generale Arnold e tutto il personale del Q.G.
dell’Aeronautica e dell’Esercito si compiacevano per la bellissima dimostrazione di potere aereo
dato a Cassino. La loro disapprovazione, invece, era diretta contro i ragazzi del suolo cosi li
chiamava Giles, che non ne avevano approfittato. I comandanti delle Unità aeree, egli diceva, non
hanno mai garantito la possibilità di atterrare sul pietrisco e di occupare il terreno, Gli avieri
pensavano che le operazioni terrestri successive al bombardamento non avevano sfruttato che in
maniera insignificante il più grande concentramento di potere aereo del mondo. E’ un vero peccato
che le nostre forze di terra non si siano spinte in profondità costituendo una forza di tre o quattro
Divisioni in colonna e non abbiano attraversato Cassino o non l’abbiano aggirata! Io credo che
con poche caraffe di whisky della stessa marca adoperata così bene dal generale Grant, quella
situazione avrebbe potuto essere risolta in pochi giorni”.
C’era, nondimeno, una persistente sensazione che qualcosa, da qualche parte. fosse andata male. E
qualcuno forse da biasimare. Per sconfessare i commenti apparsi sulla stampa che l’insuccesso della
battaglia di Cassino fosse dovuto al fiasco della Forza Aerea, il generale Clark mandò al generale
Eaker una lettera che affermava categoricamente:
“non condivido questo punto di vista. La tendenza a biasimare l’Aeronautica”,
egli continuava,
“non è stata suggerita dal mio quartiere generale”.
Nessun bombardamento, secondo la sua opinione, avrebbe potuto eliminare dei fanti decisi che
occupassero delle buone posizioni difensive In una zona fortificata. Il bombardamento avrebbe
potuto essere demoralizzante per breve tempo, ma senza dare risultati duraturi se posizioni
fortificate avessero protetto gli uomini dalle esplosioni e dato loro un senso di sicurezza. L’effetto
del bombardamento di Cassino, per quanto potente, era stato di una durata relativamente breve ed
intermittente.
Il generale Twining scrisse
“Cassino non è un’accusa contro l’efficacia dei bombardieri pesanti in appoggio diretto della
fanteria. La loro abilità nel fare arrivare a terra un colpo da knock out, senza preavviso, è tuttora un
vantaggio di cui non gode nessuna altra forma di attacco ma. vi sono dei fattori di limitazione e di
controllo sia per questi, come per tutti gli altri tipi di fuoco di appoggio”.
A Cassino la prestazione dei paracadutisti tedeschi fu determinante. Per von Senger, comandante
del XIV° Corpo Panzer,
“la loro tenacia di ferro e la loro irremovibile fermezza di veri soldati non è crollata nemmeno sotto
un concentramento di materiale su fronte ristretto che, probabilmente, non ha avuto precedenti in
questa guerra”.
Il loro ottimismo costante, anche durante le fasi più critiche della battaglia, è stato fonte di sorpresa
e di emulazione in seno al Corpo d’Armata stesso e al Q.G. dell’Armata. Vietinghoff, comandante
della 10ª Armata, dichiarò:
“nessuna Unità, tranne la 1ª Divisione paracadutisti avrebbe potuto tenere Cassino”.
Tre volte le Forze Alleate avevano tentato di spezzare la Linea Gustav ed entrare nella Valle del
Liri, e per tre volte avevano fallito: in gennaio con l’attacco frontale attraverso il Rapido, in febbraio
nel tentativo di aggirare il contrafforte di Cassino ed in marzo nel tentativo di avanzare tra l’Abbazia
e la città. Avrebbero tentato ancora, ma soltanto dopo che il tempo fosse migliorato ed il terreno
rassodato e dopo che le truppe esauste si fossero riposate. Soltanto allora, in maggio, essi avrebbero
ripreso la lotta.
Per gentile concessione dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America, il testo è stato tratto dal
volume di Martin Blumenson “SALERNO TO CASSINO” pubblicato a cura dell’Ufficio del Capo
della Storia Militare dell’Esercito degli Stati Uniti – Washington D.C., 1969. Il volume fa parte
dell’opera “United States Army in World War II” ed e’ il terzo della serie The Mediterranean
Theater of Operations.

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