ANALISI UNA CASINA DI CRISTALLO

ANALISI UNA CASINA DI CRISTALLO

ALDO PALAZZESCHI


chiude l’incendiario del 1913, ha delle varianti perché Palazzeschi varia le poesie da una raccolta all’altra.

È una trasgressione dello spazio, un interno viene assolutamente profanato.

Il cristallo è un vetro in cui si può guardare dentro. La profanazione dell’intimità è data proprio da questo, chi sta fuori può guardare dentro.

“Ma che sia tutta trasparente”

La poesia si presenta come un sogno, è una logica diversa da quella classica causa-effetto, una logica onirica, così come la sintassi e la realtà. Questa casina di cristallo si trova nel mezzo della città ed aggiunge, nel folto dell’abitato, dove ci sono molte case e per la sua utilizza un vezzeggiativo diminutivo per indicare la casa: usa casina.

È una casina semplice, modesta ed è piccolina piccolina (geminazione di due aggettivi basici che vogliono rendere ancora di più la miniaturizzazione di questa realtà). È una casina che può essere posseduta da qualsiasi mortale che non abbia nulla di straordinario. Però è una casa particolare, è trasparente perché di cristallo, di vetro.

In questa poesia emerge una concezione di realtà che per Palazzeschi deve rappresentare sempre un quadrilatero, vuole “che si veda bene dai quattro lati la via”, si risalta la geometria di questa città in cui c’è un mortale, sorta di marionetta, che vive in una realtà geometrica in cui anche i luoghi vengono geometrizzati. Protagonista di questa realtà squadrata è la gente, gente che rappresenta l’anonimato perché non c’è un soggetto specifico, si parla solo di gente senza specificarne nulla.

Dunque, da questa casa dobbiamo riuscire a vedere la strada, ma si deve vedere bene anche il cielo, che è quella parvenza di infinito che copre la realtà della città. Compare nuovamente il senso del possesso (e che sia tutta mia), di qualcosa di talmente strano che possederlo non è una gran cosa. Non è uno spazio definito veramente, il cristallo serve solo a limitare l’interno con l’esterno, c’è una trasgressione dello spazio.

Dall’altra parte c’è la gente, quelli che guardano dal di fuori cosa c’è dentro. Le pareti fanno da filtro tra interno ed esterno ma, come già detto, è un limite effimero perché tutto sommato non ripara l’intimità dell’interno. Ecco la tortura, data dal fatto che non esiste un interno privato, perché il poeta e la sua esistenza possono essere continuamente profanati. Il personaggio cerca di nascondersi per non farsi vedere totalmente, ma non può nascondere nulla alla gente.

Questa è la resa spettacolare del quotidiano, del mangiare, del dormire dove addirittura i sogni possono essere sorpresi e scoperti. C’è il quotidiano, l’impoetico e la realtà di tutti i giorni che viene messa in scena, una sorta di teatralizzazione dei gesti ripetitivi che vengono resi con dei refrain ossessivi. C’è una realtà che è sempre bipartita, da una parte l’io lirico che diventa personaggio e da una parte il giudizio della gente nei confronti del poeta (Ricordiamo che Palazzeschi era omosessuale, condizione che ad inizio novecento non era certo facile da vivere serenamente con la società).

Troviamo l’idea di questa musica di sottofondo che vuole rendere il non senso della vita. Il refrain viene reso da queste cellule ritmiche ternarie che si ripetono ossessivamente a ritmo di tre sillabe, danno il senso di una cantilena ossessiva messa in evidenza anche dalle rime.

Ricapitolando, nella poesia spazio privato e spazio pubblico si identificano  C’è la profanazione dell’interno a vantaggio dell’esterno e vuol rendere l’idea di questo abitante che viene profanato e non capito. Il poeta chiede un approfondimento di tipo psicologico. È la voce della coscienza individuale e collettiva di chi vorrebbe essere capito ma non è, perché nella città industriale il poeta non ha più un ruolo.

Dietro i sogni non ci sono solo i desideri, ma anche le ossessioni e le cose negative. Questo è il risvolto psicologico molto forte.


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