1-21 DANTE E VIRGILIO TRA I SEPOLCRI DEGLI EPICUREI

1-21 DANTE E VIRGILIO TRA I SEPOLCRI DEGLI EPICUREI

1-21 DANTE E VIRGILIO TRA I SEPOLCRI DEGLI EPICUREI


Entrati nella città di Dite, i due pellegrini proseguono per un sentiero appartato che si snoda tra le mura e gli avelli infuocati; è quindi un “secreto calle” (v. 1), stretto, nascosto, tanto che i due si vedono costretti a camminare uno dietro l’altro (“lo mio maestro, e io dopo le spalle” v. 3).

Dante chiede a Virgilio se mai si possano vedere coloro che giacciono in quei sepolcri; la domanda di Dante è generica, parla infatti di “gente” (v. 7), ma il suo pensiero cela un intento preciso ed è tutto rivolto su un solo personaggio, come lo stesso Virgilio dimostra di capire al v. 18 “e al disio ancor che tu mi taci”. Infatti già nel canto VI, Dante aveva palesato a Ciacco il desiderio di sapere dove si trovavano e quale sorte gravasse su coloro “ch’a ben far puoser li ’ngegni” (Inf. VI, 81), fra cui era emerso il nome di Farinata.

La risposta di Virgilio non è immediata: prima chiarisce che, se i coperchi degli avelli sono alzati, non lo saranno in eterno, “tutti saran serrati” (v. 10) dopo il Giudizio. I versi che seguono puntualizzano su quale sia la “setta” ereticale condannata in quella parte del cimitero: le parole di Virgilio qui (“suo cimitero da questa parte hanno”, v. 13) e nel canto IX (“simile qui con simile è sepolto”, Inf. IX, 130) ci consentono di supporre che il cimitero degli eretici sia suddiviso in settori, ognuno dei quali ospita un particolare tipo di eresia: qui ci troviamo fra coloro che “l’anima col corpo morta fanno” (v. 15), ovvero i negatori dell’immortalità dell’anima, opinione “intra tutte le bestialitadi… stoltissima, vilissima e dannosissima” (Conv. II, VIII, 8).

Epicuro con la sua filosofia materialistica, noto a Dante attraverso il De Finibus ciceroniano, nel Medioevo era rappresentativo di coloro che appunto negavano l’immortalità dell’anima e in generale di una concezione tutta terrena della vita. Tale eresia, che da Epicuro prende il nome in età medievale (ché eretico propriamente Epicureo non si può definire, essendo egli vissuto prima dell’Incarnazione), era molto diffusa ai tempi di Dante in Firenze, soprattutto negli ambienti intellettuali e veniva per lo più attribuita ai ghibellini. In Conv. IV, VI, 11-12 Dante non presenta Epicuro in cattiva luce, ma solo come caposcuola di una delle tre più importanti correnti filosofiche dell’antichità: Epicurei, Stoici, Accademici. La distanza di giudizio che si instaura tra il trattato e il poema è dovuta, secondo la Chiavacci Leonardi, a una diversa prospettiva: filosofica nel primo, religiosa nel secondo.

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