ODISSEO E NAUSICAA

ODISSEO E NAUSICAA

Odissea (Libro VI, vv. 110-250)  [da Omero, Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi]


Il libro VI dell’Odissea si apre sull’immagine di Ulisse che, ormai approdato in salvo su una terra per lui ignota, si addormenta sfinito su un letto di foglie. Mentre il suo protetto riposa, Atena si reca presso il palazzo di Alcínoo, re dei Feaci, il popolo che abita l’isola raggiunta da Ulisse. Qui appare in sogno a Nausicàa, la giovane figlia del sovrano, assumendo l’aspetto di un’amica della ragazza e sollecitandola a recarsi al fiume per lavare le vesti del suo corredo, perché si avvicina per lei il momento del matrimonio ed è bene che tutto sia pronto.
Colpita dal sogno, Nausicaa il mattino successivo fa preparare il carro con le vesti per scendere a lavarle assieme alle ancelle. Dopo averle stese ad asciugare, le fanciulle si mettono a giocare con la palla. Ulisse è vicino, ma continua a dormire.


VIDEO ODISSEA: NAUSICAA – CANTO VI

PARAFRASI 105-165

Quando Nausicaa e le ancelle giunsero alla corrente bellissima del fiume, dove c’erano anche conche da cui l’acqua sgorgava abbondante, staccarono le mule e le spinsero verso l’alto fiume vorticoso per pascolare l’erba tenera. E poi tolsero le vesti dal carro e le immersero nell’acqua profonda; e le calcavano con i piedi agili. E quando le lavarono, le stesero l’una accanto all’altra, in fila, lungo la riva del mare dove le onde smuovono la ghiaia. Poi si bagnarono anche loro e, unte d’olio, presero il cibo presso la sponda del fiume, mentre i raggi del sole asciugavano le vesti. Ma quando furono sazie, Nausicaa e le ancelle si tolsero in fretta i vestiti per giocare a palla. E cominciò a giocare Nausicaa dalle braccia splendenti. Ma quando stavano già pensando di ritornare a casa, piegare le belle vesti e aggiogare le mule, Atena dagli occhi lucenti immaginò un’altra cosa: svegliare Odisseo affinché veda la bella fanciulla, che lo possa guidare alla città dei Feaci. Nausicaa lanciò la palla a una compagna ed ecco che le cadde nel fiume, in un gorgo profondo. Urlarono molto forte le fanciulle e Odisseo si svegliò. E mettendosi a sedere, pensava tra sé e sé: “Ahimè, da quali uomini sono giunto? Sono violenti, selvatici e privi di legge o ospitali e temono in cuore gli dei? Ho sentito un grido femminile, come di ragazze, di ninfe che abitano le cime alte dei monti e le sorgenti dei fiumi e i prati erbosi. Così sono vicino a esseri che parlano? Voglio provare a vedere”. Detto ciò, Odisseo uscì dai cespugli e staccò dalle piante con la mano robusta un ramo con tante foglie e lo avvolse alla vita. E venne avanti come un leone il quale scende dai monti selvatici e, sotto la pioggia e il vento, con gli occhi ardenti, assale buoi e pecore. O insegue cerve selvatiche; e la fame lo spinge ad attaccare le prede dentro i recinti; così, vinto dal bisogno; andava nudo Odisseo incontro alle fanciulle dalle chiome belle. Apparve come un selvaggio ad esse, apro di sale marino e fuggirono smarrite,chi di qua chi di là per la spiaggia. Solo la figlia di Alcinoo rimase: Atena le diede nel cuore coraggio, le tolse ogni paura. E restò ferma davanti a lui. E Odisseo fu incerto se pregare la vergine avvolgendola alle ginocchia oppure da lontano con parole dolci, se mai volesse indicargli il paese e dargli una veste. A lui parve, pensando, la decisione migliore: pregarla da lontano con dolci parole, perché l’abbraccio alle ginocchia non le muoverà sdegno. E subito le disse con parole soavi: “ Ti supplico in ginocchio, o potente. Sei tu una dea? Se sei una dea del cielo vasto per la bellezza del tuo volto e per la tua alta statura e l’armonia delle forme, allora mi sembri Artemide, figlia del sommo Zeus: le somigli tanto. Ma se sei una mortale che vive sulla terra allora tuo padre, tua madre e i tuoi fratelli siano beati tre volte. Il loro cuore è sicuramente pieno di gioia per te, freschissimo stelo, quando balli.


TESTO


  • 110 Ma quando fu per tornarsene a casa,
    aggiogate le mule, piegate le belle vesti,
    altro allora pensò la dea Atena occhio azzurro,
    perché Odisseo si svegliasse, vedesse la giovinetta begli occhi,
    e lei dei Feaci alla città lo guidasse.
  • 115 La palla dunque lanciò la regina a un’ancella,
    fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo.
    Quelle un grido lungo gettarono: e si svegliò Odisseo luminoso,
    e seduto pensava nell’anima e in cuore:
    «Ohimè, di che uomini ancora arrivo alla terra?
  • 120 forse violenti, selvaggi, senza giustizia,
    oppure ospitali, e han mente pia verso i numi?
    Come di giovanette mi è giunto un grido femmineo;
    ninfe, che vivon sui picchi scarpati dei monti,
    nelle sorgenti dei fiumi, nei pascoli erbosi?
  • 125 Oppure sono vicino a esseri umani parlanti?
    Via, dunque, io stesso vedrò e lo saprò».
    Così dicendo, di sotto ai cespugli sbucò Odisseo glorioso,
    dal folto un ramo fronzuto con la mano gagliarda
    stroncò per coprire le vergogne sul corpo
  • 130 E mosse come leone nutrito sui monti, sicuro della sua forza,
    che va tra il vento e la pioggia; i suoi occhi
    son fuoco. Tra vacche si getta, tra pecore,
    tra cerve selvagge; e il ventre lo spinge,
    in cerca di greggi, a entrare anche in ben chiuso recinto.
  • 135 Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava
    per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.
    Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,
    fuggirono qua e là per le lingue di spiaggia.
    Sola, la figlia d’Alcínoo restò, perché Atena
  • 140 le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.
    Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseo
    se, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,
    o con parole di miele, fermo così, da lontano,
    pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste,
  • 145 Così, pensando, gli parve cosa migliore,
    pregar di lontano, con parole di miele,
    ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine,
    Subito dolce e accorta parola parlò:
    «Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale
  • 150 Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,
    Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,
    per bellezza e grandezza e figura mi sembri,
    Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,
    tre volte beati il padre e la madre sovrana,
  • 155 tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore
    s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,
    quando contemplano un tal boccio muovere a danza.
    Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,
    chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.
  • 160 Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
    né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.
    [……]
  • 170 Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:
    fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,
    dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato ora un dio,
    certo perché soffra ancora dolori: non credo
    che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.
  • 175 Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,
    a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri
    uomini, che hanno questa città e questa terra.
    La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,
    se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.
  • 180 A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,
    marito, casa ti diano, e la concordia gloriosa
    a compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,
    quando con un’anima sola dirigono la casa
    l’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni,
  • 185 ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida».
    Gli replicò Nausicàa braccio bianco:
    «Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,
    ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,
    buoni e cattivi, come vuole a ciascuno:
  • 190 A te ha dato questo, bisogna che tu lo sopporti.
    Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,
    né panno ti mancherà, né altra cosa,
    quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.
    La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.
  • 195 I Feaci possiedono terra e città,
    io son la figlia del magnanimo Alcínoo,
    che tra i Feaci regge la forza e il potere».
    Disse, e gridò alle ancelle bei riccioli:
    «Fermatevi ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo?
  • 200 Forse un nemico credete che sia?
    Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere,
    che arrivi al paese delle genti feace
    portando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi.
    Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti,
  • 205 lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali.
    Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato,
    e dobbiamo curarcene: vengon tutti da Zeus
    gli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro.
    Via, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere,
  • 210 e nel fiume lavatelo, dov’è riparo dal vento».
    Disse così; si fermarono quelle, fra loro chiamandosi,
    e fecero sedere al riparo Odisseo, come ordinava
    Nausicàa, figlia del magnanimo Alcínoo;
    vicino gli posero manto, e tunica e veste,
  • 215 e nell’ampolla d’oro gli diedero il limpido olio,
    e l’invitavano a farsi lavare nelle correnti del fiume.
    Disse però alle ancelle Odisseo luminoso:
    «Ancelle, state in disparte, mentre da solo
    mi laverò la salsedine dalle spalle e con l’olio
  • 220 m’ungerò tutto: da molto l’olio è lontano dal corpo.
    Davanti a voi non mi laverò: mi vergogno
    di stare nudo tra fanciulle bei riccioli »,
    Così diceva: s’allontanarono esse e alla fanciulla lo dissero.
    Intanto Odisseo luminoso si lavava nel fiume
  • 225 dal sale che il dorso e le spalle larghe copriva,
    e dalla testa toglieva lo sporco del mare instancabile.
    Come fu tutto lavato, unto d’olio abbondante,
    vestì le vesti che gli donò la giovane vergine;
    e Atena, la figlia di Zeus, venne a renderlo
  • 220 più grande e robusto a vedersi; dal capo
    folte fece scender le chiome, simili al fiore del giacinto.
    [……]
    Andò allora a sedersi in disparte sulla riva del mare,
    splendente di grazia e bellezza, Ne stupì la fanciulla,
    e subito disse alle ancelle bei riccioli:
    «Sentitemi, ancelle braccio bianco, che dica una cosa:
  • 240 non senza i numi tutti, che stanno in Olimpo,
    quest’uomo è venuto tra i Feaci divini.
    Prima m’era sembrato che fosse brutto davvero,
    e ora somiglia ai numi che il cielo ampio possiedono.
    Oh se un uomo così potesse chiamarsi mio sposo,
  • 245 abitando fra noi, e gli piacesse restare!
    Su, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere».
    Disse così, e quelle ascoltarono molto, e obbedirono:
    posero accanto a Odisseo cibo e vino.
    E lui bevve e mangiò, Odisseo costante, glorioso,
  • 250 avidamente: da molto tempo era digiuno di cibo.

 

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ODISSEO E NAUSICAA PARAFRASI VV 110 A 210

ODISSEO E NAUSICAA PARAFRASI VV 110 A 210

-Odissea (Libro VI vv 110-250)  [da Omero, Odissea, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi]-

FONTE:www.doc.mode.unibo.it


Il libro VI dell’Odissea si apre sull’immagine di Ulisse che, ormai approdato in salvo su
una terra per lui ignota, si addormenta sfinito su un letto di foglie. Mentre il suo
protetto riposa, Atena si reca presso il palazzo di Alcínoo, re dei Feaci, il popolo che
abita l’isola raggiunta da Ulisse. Qui appare in sogno a Nausicàa, la giovane figlia del
sovrano, assumendo l’aspetto di un’amica della ragazza e sollecitandola a recarsi al
fiume per lavare le vesti del suo corredo, perché si avvicina per lei il momento del
matrimonio ed è bene che tutto sia pronto.
Colpita dal sogno, Nausicaa il mattino successivo fa preparare il carro con le vesti per
scendere a lavarle assieme alle ancelle. Dopo averle stese ad asciugare, le fanciulle si
mettono a giocare con la palla. Ulisse è vicino, ma continua a dormire.


  • 110 Ma quando fu per tornarsene a casa,
    aggiogate le mule, piegate le belle vesti,
    altro allora pensò la dea Atena occhio azzurro,
    perché Odisseo si svegliasse, vedesse la giovinetta begli occhi,
    e lei dei Feaci alla città lo guidasse.
  • 115 La palla dunque lanciò la regina a un’ancella,
    fallì l’ancella, scagliò la palla nel gorgo profondo.
    Quelle un grido lungo gettarono: e si svegliò Odisseo luminoso,
    e seduto pensava nell’anima e in cuore:
    «Ohimè, di che uomini ancora arrivo alla terra?
  • 120 forse violenti, selvaggi, senza giustizia,
    oppure ospitali, e han mente pia verso i numi?
    Come di giovanette mi è giunto un grido femmineo;
    ninfe, che vivon sui picchi scarpati dei monti,
    nelle sorgenti dei fiumi, nei pascoli erbosi?
  • 125 Oppure sono vicino a esseri umani parlanti?
    Via, dunque, io stesso vedrò e lo saprò».
    Così dicendo, di sotto ai cespugli sbucò Odisseo glorioso,
    dal folto un ramo fronzuto con la mano gagliarda
    stroncò per coprire le vergogne sul corpo
  • 130 E mosse come leone nutrito sui monti, sicuro della sua forza,
    che va tra il vento e la pioggia; i suoi occhi
    son fuoco. Tra vacche si getta, tra pecore,
    tra cerve selvagge; e il ventre lo spinge,
    in cerca di greggi, a entrare anche in ben chiuso recinto.
  • 135 Così Odisseo tra le fanciulle bei riccioli stava
    per mescolarsi, nudo: perché aveva bisogno.
    Pauroso apparve a quelle, orrido di salsedine,
    fuggirono qua e là per le lingue di spiaggia.
    Sola, la figlia d’Alcínoo restò, perché Atena
  • 140 le infuse coraggio nel cuore, e il tremore delle membra le tolse.
    Dritta stette, aspettandolo: e fu in dubbio Odisseo
    se, le ginocchia afferrandole, pregar la fanciulla occhi belli,
    o con parole di miele, fermo così, da lontano,
    pregarla che la città gli insegnasse e gli desse una veste,
  • 145 Così, pensando, gli parve cosa migliore,
    pregar di lontano, con parole di miele,
    ché a toccarle i ginocchi non si sdegnasse in cuore la vergine,
    Subito dolce e accorta parola parlò:
    «Io mi t’inchino, signora: sei dea o sei mortale
  • 150 Se dea tu sei, di quelli che il cielo vasto possiedono,
    Artemide, certo, la figlia del massimo Zeus,
    per bellezza e grandezza e figura mi sembri,
    Ma se tu sei mortale, di quelli che vivono in terra,
    tre volte beati il padre e la madre sovrana,
  • 155 tre volte beati i fratelli: perché sempre il cuore
    s’intenerisce loro di gioia, in grazia di te,
    quando contemplano un tal boccio muovere a danza.
    Ma soprattutto beatissimo in cuore, senza confronto,
    chi soverchiando coi doni, ti porterà a casa sua.
  • 160 Mai cosa simile ho veduto con gli occhi,
    né uomo, né donna: e riverenza a guardarti mi vince.
    […]
  • 170 Ieri scampai dopo venti giornate dal livido mare:
    fin qui l’onda sempre m’ha spinto e le procelle rapaci,
    dall’isola Ogigia; e qui m’ha gettato ora un dio,
    certo perché soffra ancora dolori: non credo
    che finiranno, ma molti ancora vorranno darmene i numi.
  • 175 Ma tu, signora, abbi pietà: dopo molto soffrire,
    a te per prima mi prostro, nessuno conosco degli altri
    uomini, che hanno questa città e questa terra.
    La rocca insegnami e dammi un cencio da mettermi addosso,
    se avevi un cencio da avvolgere i panni, venendo.
  • 180 A te tanti doni facciano i numi, quanti in cuore desideri,
    marito, casa ti diano, e la concordia gloriosa
    a compagna; niente è più bello, più prezioso di questo,
    quando con un’anima sola dirigono la casa
    l’uomo e la donna: molta rabbia ai maligni,
  • 185 ma per gli amici è gioia, e loro han fama splendida».
    Gli replicò Nausicàa braccio bianco:
    «Straniero, non sembri uomo stolto o malvagio,
    ma Zeus Olimpio, lui stesso, divide fortuna tra gli uomini,
    buoni e cattivi, come vuole a ciascuno:
  • 190 A te ha dato questo, bisogna che tu lo sopporti.
    Ora però, che sei giunto alla nostra terra, alla nostra città,
    né panno ti mancherà, né altra cosa,
    quanto è giusto ottenga il meschino, che supplica.
    La rocca t’insegnerò e dirò il nome del popolo.
  • 195 I Feaci possiedono terra e città,
    io son la figlia del magnanimo Alcínoo,
    che tra i Feaci regge la forza e il potere».
    Disse, e gridò alle ancelle bei riccioli:
    «Fermatevi ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo?
  • 200 Forse un nemico credete che sia?
    Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere,
    che arrivi al paese delle genti feace
    portando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi.
    Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti,
  • 205 lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali.
    Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato,
    e dobbiamo curarcene: vengon tutti da Zeus
    gli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro.
    Via, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere,
  • 210 e nel fiume lavatelo, dov’è riparo dal vento».
    Disse così; si fermarono quelle, fra loro chiamandosi,
    e fecero sedere al riparo Odisseo, come ordinava
    Nausicàa, figlia del magnanimo Alcínoo;
    vicino gli posero manto, e tunica e veste,
  • 215 e nell’ampolla d’oro gli diedero il limpido olio,
    e l’invitavano a farsi lavare nelle correnti del fiume.
    Disse però alle ancelle Odisseo luminoso:
    «Ancelle, state in disparte, mentre da solo
    mi laverò la salsedine dalle spalle e con l’olio
  • 220 m’ungerò tutto: da molto l’olio è lontano dal corpo.
    Davanti a voi non mi laverò: mi vergogno
    di stare nudo tra fanciulle bei riccioli »,
    Così diceva: s’allontanarono esse e alla fanciulla lo dissero.
    Intanto Odisseo luminoso si lavava nel fiume
  • 225 dal sale che il dorso e le spalle larghe copriva,
    e dalla testa toglieva lo sporco del mare instancabile.
    Come fu tutto lavato, unto d’olio abbondante,
    vestì le vesti che gli donò la giovane vergine;
    e Atena, la figlia di Zeus, venne a renderlo
  • 220 più grande e robusto a vedersi; dal capo
    folte fece scender le chiome, simili al fiore del giacinto.
    […]
    Andò allora a sedersi in disparte sulla riva del mare,
    splendente di grazia e bellezza, Ne stupì la fanciulla,
    e subito disse alle ancelle bei riccioli:
    «Sentitemi, ancelle braccio bianco, che dica una cosa:
  • 240 non senza i numi tutti, che stanno in Olimpo,
    quest’uomo è venuto tra i Feaci divini.
    Prima m’era sembrato che fosse brutto davvero,
    e ora somiglia ai numi che il cielo ampio possiedono.
    Oh se un uomo così potesse chiamarsi mio sposo,
  • 245 abitando fra noi, e gli piacesse restare!
    Su, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere».
    Disse così, e quelle ascoltarono molto, e obbedirono:
    posero accanto a Odisseo cibo e vino.
    E lui bevve e mangiò, Odisseo costante, glorioso,
  • 250 avidamente: da molto tempo era digiuno di cibo.
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