ALIMENTI PER DIABETICI

ALIMENTI PER DIABETICI

ALIMENTI PER DIABETICI

FRUIT AND VEGETABLES FOR DIABETIC


Il topinambur

E’ una sostanza terapeutica che contiene frutto-oligosaccaridi (inulina) che possono essere utili nel diabete. L’organismo metabolizza l’insulina lentamente così lo zucchero nel sangue non aumenta in maniera rapida.


Il cavolo

L’azione protettiva contro lo stress ossidativo del cavolo rosso (Brassica oleracea) è stata studiata per sessanta giorni su topi nei quali era stato indotto il diabete. I ricercatori hanno trovato un aumento significativo dell’attività di riduzione del glutatione e della superossido dismutasi e una diminuzione dell’attività della catalasi e della capacità antiossidante dei reni. L’assunzione quotidiana di estratto di B. oleracea per sessanta giorni fa sparire i sintomi del diabete nei topi. Gli studiosi hanno constatato livelli più bassi di glicemia, il ripristino della funzione renale e perdita di peso. Inoltre l’estratto di cavolo attenua le conseguenze del diabete sulla malondialdeide, il glutatione e la superossido dismutasi, sulla catalasi e sulla capacità antiossidante dei reni. In conclusione, le proprietà antiossidanti e anti-iperglicemiche della B. oleracea può costituire un buono strumento terapeutico per il trattamento del diabete.


Il mirtillo

Il succo di mirtillo può offrire grande protezione contro la retinopatia e la cataratta diabetiche. Gli estratti di mirtillo sono stati sempre e sono tuttora molto usati in tutta Europa per la prevenzione della retinopatia diabetica. Le ricerche e le scoperte sul mirtillo in oftalmologia risalgono alla seconda guerra mondiale quando alcuni piloti della Royal Air Force in Gran Bretagna dichiararono che mangiare marmellata di mirtilli o bere una bevanda a base di mirtilli prima di una missione notturna sorvolando la Germania, migliorava in maniera significativa l’acutezza visiva nel buio. Queste dichiarazioni generarono grande interesse nella comunità medica europea, che iniziò a condurre studi in proposito.


Melone amaro

Il melone amaro, anche conosciuto come Momordica charantia o pera balsamica, è un frutto tropicale molto noto in Asia, Africa e Sud America. I suoi frutti verdi sembrano dei cetrioli rinsecchiti. Il melone amaro contiene svariate sostanze con proprietà anti-diabetogene, compresa la carantina, molto più efficace del farmaco ipoglicemico tolbutamide, e un polipeptide insulino simile chiamato polipeptide-P, che abbassa la glicemia quando viene iniettato nei pazienti con diabete di tipo 152. In uno studio questa sostanza è riuscita ad abbassare la tolleranza al glucosio del 73% dopo la somministrazione ai pazienti di circa 60 grammi. In un altro studio è stata riscontrata una riduzione del 17% nell’emoglobina glicosilata in sei persone. Una ulteriore ricerca ha osservato come 15 grammi di estratto acquoso di questa erba abbiano indotto in sei pazienti una diminuzione del 54% della glicemia dopo i pasti e una riduzione del 17% dell’emoglobina glicosilata. Si possono ottenere differenti preparazioni. Il succo fresco è probabilmente quella più efficace per abbassare la glicemia. A confermare questa azione del succo fresco o dell’estratto ci sono diversi studi clinici sull’uomo. Oltre 100 studi hanno dimostrato la capacità del melone amaro di abbassare lo zucchero nel sangue, di aumentare l’assorbimento del glucosio e di attivare le cellule pancreatiche che producono insulina. Il peptide funziona come l’insulina bovina e ha diversi effetti: migliora la tolleranza al glucosio senza aumentare i livelli di insulina, stimola le cellule beta del pancreas, sopprime il desiderio di mangiare dolci e agisce in maniera simile all’insulina stessa.

Cetriolo

Il cetriolo contiene un ormone di cui le cellule beta del pancreas hanno bisogno per produrre insulina. L’enzima erepsina nel cetriolo ha un’azione specifica: fraziona le proteine in eccesso nei reni. Nel nostro programma usiamo molto succo di cetriolo da bere e fette di cetriolo in insalata.


Sedano

Anche il sedano ha un generale effetto anti-diabetogeno ed è anche utile a chi soffre di pressione alta come ad esempio nella sindrome X. Il succo di sedano ha un effetto calmante sul sistema nervoso dovuto alla sua elevata concentrazione di minerali alcalini, soprattutto il sodio. I minerali contenuti nel succo di sedano fanno sì che l’organismo utilizzi il calcio in maniera più efficace, equilibrando il pH del sangue. Tale verdura dovrebbe essere la più presente tra i succhi freschi e può essere utilizzata per zuppe e vellutate per alcalinizzare l’organismo danneggiato dall’acidificazione dovuta ai cibi e agli stili di vita propri della Cultura della Morte.


Il cactus nopal
Il nopal è un cactus spinoso largamente usato nella cucina tradizionale dei latino-americani.
Un gruppo di ricercatori ha somministrato a digiuno a otto diabetici 500 grammi di nopal e su ogni paziente sono stati effettuati cinque test, quattro dopo aver mangiato il nopal crudo e cotto e uno dopo avere somministrato solo acqua. Dopo 180 minuti la glicemia a digiuno era calata del 22-25% dopo l’assunzione di nopal, mentre dopo l’assunzione di acqua solo del 6%. In uno studio sui topi, il nopal ha dimostrato di riuscire a migliorare la tolleranza al glucosio per via iniettiva del 33% (il valore di confronto è stato preso dopo 180 minuti) rispetto all’acqua. Gli studi concordano sul fatto che il nopal è efficace sia crudo che cotto, ma non lo sono le preparazioni commerciali a base di nopal disidratato.


Aglio e cipolla

Aglio e cipolla contengono composti solforosi noti per le loro qualità anti-diabetogene. La S-allil cisteina sulfossido nell’aglio è uno di questi. È stata documentata la sua capacità di abbassare la glicemia a digiuno e i livelli di colesterolo in ratti diabetici e in uno studio sull’uomo l’estratto di cipolla è riuscito a ridurre l’iperglicemia con azione dose-dipendente.


Cereali e legumi

I cereali e i legumi che elenchiamo di seguito sono carboidrati complessi ricchi di fibre che giocano un ruolo importante per la prevenzione e la cura del diabete. Fanno parte delle diete tradizionali indigene, soprattutto dei nativi americani, che rendevano il diabete una rarità prima che queste culture iniziassero a seguire la dieta occidentale negli anni ’40 del secolo scorso e che l’incidenza del diabete iniziasse a salire.
• Miglio.
• Riso integrale.
• Avena.
• Grano saraceno.
• Amaranto.
• Fagioli Mung o fagioli indiani.
• Ceci.
• Fagioli Pinto.
• Fagioli Tepari bianchi.
• Fagiolini.
• Fagioli Papago.


Frutta a guscio e semi

Recenti ricerche suggeriscono che il consumo regolare di frutta a guscio, insieme di varietà note anche come frutta secca, ha un ruolo importante in una dieta salutare, malgrado negli anni passati la frutta a guscio fosse ritenuta insalubre a causa del suo alto contenuto di grassi, circa 14-19 grammi ogni 30 di prodotto. Gran parte dei grassi presenti nella frutta secca è tra i grassi più sani del tipo monoinsaturi e polinsaturi. I grassi monoinsaturi, come quelli contenuti anche nell’olio di oliva, di mandorle e negli avocado migliorano la sensibilità all’insulina.

Uno studio condotto ad Harvard nel 2002 sui benefici della frutta secca ha concluso che un elevato consumo di tali alimenti riduce il rischio di morte improvvisa per problemi cardiaci, diffusa causa di morte tra i diabetici. La frutta a guscio e i semi contengono anche elevate quantità di steroli (fitosteroli),
che diminuiscono il colesterolo e migliorano la salute del cuore. Nel lumen dell’intestino, i fitosteroli rimuovono il colesterolo e inibiscono il suo assorbimento. La frutta secca e i semi sono ottimi da mangiare da soli o per la preparazione di pâté, zuppe, condimenti per insalate e latte. Quando leggerete le ricette del Capitolo 6 per preparare il latte con la frutta secca, vi meraviglierete di essere rimasti al latte di mucca, di soia o di riso. I benefici anti-diabetogeni e nutrizionali della frutta secca e dei semi meritano di essere scoperti.
In uno studio presentato all’American College of Cardiology il 14 marzo 2000, il dottor Richard Vogel, responsabile della cardiologia all’Università del Maryland di Baltimora, era arrivato a concludere che l’olio di oliva fosse dannoso per le arterie quasi quanto i grassi saturi. Aveva scoperto che l’olio di oliva comprometteva la funzione vascolare quanto un Big Mac, i cibi fritti o i Sara Lee Cheesecake (dolci confezionati commercializzati negli Stati Uniti), un restringimento del 34%.

Questo restringimento vascolare è grave perché danneggia l’endotelio dei vasi sanguigni e può contribuire alle malattie cardiache, poiché predispone all’aterosclerosi vascolare. Aveva anche constatato che gli oli con molti omega-3, che l’olio d’oliva non ha, non provocavano danni ai vasi sanguigni. Il dottor Vogel sottolineò come tutto ciò non dipendesse dai grassi monoinsaturi o polinsaturi, ma piuttosto dai livelli di omega-3. L’olio di oliva è molto ricco di omega-9 e questo pone un’altra importante questione, cui il dottor Vogel ha trovato una risposta: non è l’olio di oliva ad essere l’elemento decisivo del Lyon Diet Heart Study (uno studio randomizzato voluto dall’American Heart Association e condotto su pazienti alimentati con la dieta mediterranea) ma piuttosto la frutta, la verdura, la frutta secca, il pane e il pesce, insieme a un ridotto consumo di carne. Infatti, ha sottolineato Vogel, in quello studio non è stato utilizzato olio di oliva.
Le ricerche suggeriscono che l’olio di oliva non presenti benefici per il cuore, malgrado sia chiaramente più sano che cibi pieni di grassi trans. Ma essere meglio di quei cibi non vuol dire molto. Quando gli studiosi dell’Università di Creta hanno confrontato due gruppi di popolazione locale, uno con malattie cardiache e l’altro senza, hanno trovato che chi soffriva di cuore utilizzava nella dieta quantità maggiori di olio di oliva e di grassi di altro tipo. In sostanza, ciò che il dottor Vogel ha voluto dire è che gli alimenti con funzione protettiva nella dieta mediterranea sono gli antiossidanti che si trovano negli alimenti vegetali che fanno parte di questo regime.

Egli ha concluso che questo tipo di dieta garantisce una forma di protezione contro il danneggiamento diretto della funzione endoteliale causata dai cibi ricchi di grassi, compreso l’olio di oliva. In un altro studio sullo stesso argomento, pubblicato sull’American Journal of Cardiology, i ricercatori hanno anche riscontrato che il restringimento delle arterie peggiorava in dodici soggetti sani e in dodici individui con colesterolo alto dopo il consumo di olio di oliva.
L’olio di oliva extravergine, comunque, contiene polifenoli antiossidanti che forniscono una certa protezione. È vero però che molti cibi vegetali sono ricchi di polifenoli.

In uno studio presentato all’American College of Cardiology il 14 marzo 2000, il dottor Richard Vogel, responsabile della cardiologia all’Università del Maryland di Baltimora, era arrivato a concludere che l’olio di oliva fosse dannoso per le arterie quasi quanto i grassi saturi. Aveva scoperto che l’olio di oliva comprometteva la funzione vascolare quanto un Big Mac, i cibi fritti o i Sara Lee Cheesecake (dolci confezionati commercializzati negli Stati Uniti), un restringimento del 34%. Questo restringimento vascolare è grave perché danneggia l’endotelio dei vasi sanguigni e può contribuire alle malattie cardiache, poiché predispone all’aterosclerosi vascolare.

Aveva anche constatato che gli oli con molti omega-3, che l’olio d’oliva non ha, non provocavano danni ai vasi sanguigni. Il dottor Vogel sottolineò come tutto ciò non dipendesse dai grassi monoinsaturi o polinsaturi, ma piuttosto dai livelli di omega-3. L’olio di oliva è molto ricco di omega-9 e questo pone un’altra importante questione, cui il dottor Vogel ha trovato una risposta: non è l’olio di oliva ad essere l’elemento decisivo del Lyon Diet Heart Study (uno studio randomizzato voluto dall’American Heart Association e condotto su pazienti alimentati con la dieta mediterranea) ma piuttosto la frutta, la verdura, la frutta secca, il pane e il pesce, insieme a un ridotto consumo di carne. Infatti, ha sottolineato Vogel, in quello studio non è stato utilizzato olio di oliva.

Le ricerche suggeriscono che l’olio di oliva non presenti benefici per il cuore, malgrado sia chiaramente più sano che cibi pieni di grassi trans. Ma essere meglio di quei cibi non vuol dire molto. Quando gli studiosi dell’Università di Creta hanno confrontato due gruppi di popolazione locale, uno con malattie cardiache e l’altro senza, hanno trovato che chi soffriva di cuore utilizzava nella dieta quantità maggiori di olio di oliva e di grassi di altro tipo. In sostanza, ciò che il dottor Vogel ha voluto dire è che gli alimenti con funzione protettiva nella dieta mediterranea sono gli antiossidanti che si trovano negli alimenti vegetali che fanno parte di questo regime.

Egli ha concluso che questo tipo di dieta garantisce una forma di protezione contro il danneggiamento diretto della funzione endoteliale causata dai cibi ricchi di grassi, compreso l’olio di oliva. In un altro studio sullo stesso argomento, pubblicato sull’American Journal of Cardiology, i ricercatori hanno anche riscontrato che il restringimento delle arterie peggiorava in dodici soggetti sani e in dodici individui con colesterolo alto dopo il consumo di olio di oliva.

È vero però che molti cibi vegetali sono ricchi di polifenoli e ne forniscono di più, per ogni caloria, rispetto all’olio di oliva. Per esempio, una porzione da 11 calorie di lattuga a foglia verde fornisce la stessa quantità di polifenoli (30 mg) di una porzione di olio di oliva da 120 calorie. Un altro gruppo di ricercatori ha studiato 200 uomini che hanno usato tre differenti oli d’oliva per tre settimane; uno era extravergine, gli altri due no e avevano pochi polifenoli. Gli scienziati hanno trovato che l’extravergine ha effetti migliori sulla salute del cuore, inducendo alti livelli di colesterolo HDL e meno stress ossidativo. Lo stress ossidativo è quello che aumenta l’infiammazione nelle arterie, distruggendo le cellule endoteliali e predisponendo alla rottura delle placche e ad attacchi di cuore.

L’olio di oliva non abbassa il colesterolo LDL, potenziale indicatore di malattia cardiaca.
Comunque, gli studi sono abbastanza confusi poiché i pazienti, dopo avere sostituito i grassi saturi e i grassi trans con l’olio di oliva, hanno visto diminuire i valori dell’LDL. Il punto è che non è l’aggiunta di olio di oliva che ha fatto diminuire il colesterolo “cattivo” LDL, bensì l’eliminazione dei grassi dannosi dalla dieta.
Sulla base delle conclusioni che nella maggior parte dei casi hanno caratterizzato questi studi, non possiamo dire che l’olio d’oliva abbia una funzione protettiva per il cuore. Infatti, le persone con la più lunga aspettativa di vita e meno attacchi di cuore hanno una dieta povera di olio d’oliva ma ricca di cibi vegetali.
Dobbiamo tenere a mente che ci sono pochissimi studi al momento su questi aspetti, quindi possiamo solo fornire suggerimenti e non trarre conclusioni definitive riguardo gli effetti avversi dell’olio di oliva sul sistema cardiovascolare. Uno studio pubblicato il 27 marzo su Archives of Internal Medicine mostrava che l’utilizzo di olio d’oliva faceva abbassare la pressione. In un gruppo di ventitrè pazienti, i ricercatori italiani avevano riscontrato che dopo avere consumato olio d’oliva per sei mesi, l’uso di farmaci per la pressione era diminuito del 48% e otto partecipanti erano riusciti a smettere di assumere le medicine. L’olio di girasole invece non ha effetti sulla pressione sanguigna.
Nel dicembre 1999, sull’American Journal of Clinical Nutrition, ricercatori danesi hanno riportato che l’olio d’oliva era più efficace dell’olio di canola nell’inibire i coaguli nel sangue dopo un pasto a base di grassi.
Anche il dottor Vogel, che aveva constatato un restringimento delle arterie del 34%, ha comunque riscontrato che, quando l’olio d’oliva viene assunto insieme a frutta e verdure ricche di antiossidanti, scompare l’effetto di ostruzione delle arterie. Quando comunque la dieta è a base di cibi vivi ricchi di antiossidanti, o si assumono integratori come vitamina E (400-600 U.I.), vitamina C ( 2.000 mg), L-arginina (2.000 mg), aglio, acido alfa-lipoico (300 mg al giorno) e flavonoidi (ci sono 5.000 differenti flavonoidi, potenti antiossidanti, presenti nei cibi vegetali), tutto serve a migliorare la funzione endoteliale e il tono dei vasi sanguigni. Inoltre, se una persona sana ha una dieta a base di cibi vivi ricchi di antiossidanti e usa olio d’oliva extravergine, l’effetto di restringimento vascolare viene mitigato.

Suggeriamo però a tutti coloro che soffrono di grave ASCVD (malattia cardiovascolare arteriosclerotica) di seguire le raccomandazioni del dottor Esselstyn e di eliminare l’olio di oliva e i grassi saturi cotti, oltre a diminuire i grassi crudi; questo nell’ambito di un approccio vegano alla cura dell’aterosclerosi.

Allo stesso modo, i pazienti cui è stato diagnosticato il diabete da più di un anno devono stare molto attenti ed evitare o ridurre al minimo l’uso di olio d’oliva fino a che la condizione diabetica non sia guarita del tutto per almeno due anni.

Benché gli oli ricchi di antiossidanti e di omega-3 siano una buona alternativa, per noi sarebbe meglio che si utilizzassero condimenti a base solo di frutta secca e semi sminuzzati piuttosto che oli ricavati sempre da questi due tipi di alimenti, che contengono solo antiossidanti liposolubili. In genere, anche se questi oli fanno bene, durante il processo di guarigione dal diabete attraverso la dieta a base di cibi vivi, raccomandiamo comunque che l’assunzione di grassi rimanga bassa (circa 15-20% del totale delle calorie). In un contesto come questo, con una dieta a base di cibi vivi in cui si mangia la metà con gli stessi benefici nutrizionali, assumere il 15-20% di grassi è teoricamente meglio e più sano dell’assumerne 10-15% con una dieta a base di cibi cotti.
I migliori oli da usare come condimento delle insalate sono quelli ricchi di omega-3 come l’olio di noci, di lino e di canapa, o anche l’olio di sesamo, ricco di antiossidanti. Noi raccomandiamo nelle nostre ricette di sostituire questi oli all’olio di oliva.

Nei nostri pazienti, che osservano una dieta costituita completamente da cibi vivi e crudi con un 15-20% di grassi vegetali crudi, inclusi frutta secca, semi e avocado, abbiamo visto una diminuzione media del 44% dell’LDL con un assestamento medio sul livello di 82. Osserviamo anche la regressione dei sintomi degenerativi del diabete, in cui rientra anche la lucidità mentale. Il miglioramento della funzionalità mentale indica un aumento di flusso sanguigno al cervello. Questi risultati confermano studi più ampi che attestano i benefici del consumo di frutta secca e semi crudi come noci e mandorle.


Le noci

Le noci sono eccezionalmente ricche di grassi monoinsaturi, di acidi grassi omega-3 e acido alfa-linolenico (ALA). Uno studio pubblicato nel novembre 2004 da Kris-Etherton et al. ha dimostrato che l’ALA riduce grassi e colesterolo nel sangue e riduce anche la proteina C-reattiva (CRP), un marker infiammatorio associato alle malattie cardiache.
Inoltre, le noci associano questi grassi salutari per il cuore con grandi dosi di antiossidanti, tra cui almeno sedici fenoli antiossidanti, vitamina E, acido ellagico e gallico.
Nel 1993, il New England Journal of Medicine68 ha riportato che mangiare 8-16 noci al giorno diminuisce il colesterolo totale e LDL del 5-10% e riduce l’incidenza di ictus e coaguli nelle arterie di oltre il 70%69. Ulteriori ricerche hanno confermato che quando le noci vengono consumate nell’ambito di una dieta a basso tenore di grassi, si nota un maggiore effetto cardioprotettivo nei pazienti diabetici rispetto a quello che si potrebbe ottenere semplicemente abbassando il contenuto di grassi della dieta. In uno studio pubblicato sul Journal of the American Dietetic Association, tutti i cinquantacinque partecipanti
con diabete di tipo 2 erano stati sottoposti a una dieta a basso contenuto di grassi ma il solo gruppo che ha avuto benefici a livello di cardioprotezione è stato quello nel quale i partecipanti mangiavano noci (30 grammi al giorno). Altri studi hanno ottenuto risultati simili. Il dottor Emilio Ros di Barcellona ha pubblicato il 17 ottobre 2006 sul Journal of the American College of Cardiology, che mangiare noci può far regredire i danni alla funzione endoteliale associati a cibi grassi, mentre l’olio d’oliva non ha mostrato effetti misurabili. Secondo il suo studio, mangiare una manciata di noci previene l’aumento delle infiammazioni arteriose e delle disfunzioni endoteliali, mentre l’olio d’oliva previene, sì, l’aumento delle infiammazioni, ma non previene invece le disfunzioni endoteliali associate al consumo di cibi grassi. In un precedente studio del dottor Ros, egli aveva dimostrato che mangiare noci per quattro settimane aiutava a migliorare le disfunzioni endoteliali. Ros ha quindi concluso che le noci contengono diversi elementi in grado di aiutare la funzione riparatoria; alcuni di questi elementi sono i grassi polinsaturi, l’ALA, i grassi omega-3, l’arginina e molti antiossidanti. Per questo consiglia di mangiare almeno 6-8 noci al giorno.


Le mandorle

Anche le mandorle hanno un ruolo importante nel controllo del diabete. In uno studio condotto su venti individui, i ricercatori hanno analizzato gli effetti di 100 grammi di mandorle al giorno trovando che erano diminuiti i livelli di colesterolo totale e LDL, mentre la glicemia non era cambiata. Nello spezzone crossover di questo studio (il gruppo sottoposto a trattamento alternativo), i livelli di colesterolo totale e LDL erano diminuiti rispettivamente del 21 e 23%, mentre non vi erano stati effetti sul controllo della glicemia. Lo studio ha mostrato che le mandorle possono essere ricomprese in una dieta sana senza effetti negativi sulla glicemia e inoltre abbassano il colesterolo. Il Journal of Nutrition ha anche pubblicato uno studio secondo cui quando noci e mandorle sono aggiunte al pasto, consentono di tenere sotto controllo i livelli di glucosio anche dopo un pasto abbondante.
Una manciata di mandorle, con 160 calorie, fornisce vitamina E, magnesio e fibre, tutti elementi importanti per prevenire il diabete. Mandorle e noci rappresentano i due tipi di frutta secca più studiati riguardo al diabete e alle malattie cardiache.


Gli avocado

Gli avocado migliorano la sensibilità all’insulina. Uno studio condotto ad Harvard nel 2002 sui benefici della frutta secca ha concluso che un elevato consumo di tali alimenti riduce il rischio di morte improvvisa per problemi cardiaci, diffusa causa di morte tra i diabetici. La frutta a guscio e i semi contengono anche elevate quantità di steroli (fitosteroli), che diminuiscono il colesterolo e migliorano la salute del cuore. Nel lumen dell’intestino, i fitosteroli rimuovono il colesterolo e inibiscono il suo assorbimento.


La frutta secca e i semi

Sono ottimi da mangiare da soli o per la preparazione di pâté, zuppe, condimenti per insalate e latte. Quando leggerete le ricette del Capitolo 6 per preparare il latte con la frutta secca, vi meraviglierete di essere rimasti al latte di mucca, di soia o di riso. I benefici anti-diabetogeni e nutrizionali della frutta secca e dei semi meritano di essere scoperti.


FONTE:

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__curare-il-diabete-in-21-giorni-nuovo.php?pn=6

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diabete quando preoccuparsi

Diabete Quando Preoccuparsi

Diabete Quando Preoccuparsi


Dati sul diabete.   DATI SUL DIABETE

Ogni 10 secondi nel mondo, come già detto, una persona muore per cause legate al Diabete e altre due si ammalano.

Negli ultimi 20 anni a livello mondiale la malattia è aumentato di ben sette volte e questo è il motivo che ha spinto le Nazioni Unite a definire il diabete una vera e propria epidemia.
I dati parlano da soli: nel mondo oltre 285 milioni di persone ne soffrono e 344 milioni sarebbero potenzialmente a rischio di sviluppo.
Entro il 2030 – così dicono le previsioni ufficiali – i diabetici raggiungeranno l’astronomica cifra di 435 milioni di persone!
Secondo l’International Diabetes Federation (Idf), in Italia il 6% della popolazione è diabetica, il che corrisponde a circa 4.000.000 di persone!
La spesa sanitaria odierna per il diabete varia tra i 202 e i 422 miliardi di dollari all’anno, e potrebbe, entro il 2025, superare il tetto dei 559 miliardi di dollari.
A questo punto sorge spontanea una domanda: con cifre a undici zeri annuali, è possibile che le lobbies del farmaco vogliano veramente curare il diabete?


Dall’insulina ai farmaci antidiabete: un po’ di storia

Nel 1922 a Stoccolma venne conferito ai ricercatori Barting, Best e Macleod il premio Nobel per la scoperta dell’insulina.
La commercializzazione di questo ormone di sintesi, dal 1923 in poi, è opera della casa farmaceutica statunitense Eli Lilly che, alla fine della seconda Guerra Mondiale, importò dalla Germania il metadone inventato dai nazisti con il nome di Dolophine, in onore di Adolf Hitler, e prodotto dall’enorme colosso dell’industria chimica I.G. Farben.
Questa é la stessa casa farmaceutica che ha prodotto l’elisir di eroina, l’L.S.D., il dietilammide-25 dell’acido lisergico, una delle più potenti sostanze psichedeliche conosciute e, al giorno d’oggi, anche il Prozac.
La Lilly lanciò nel 1982 la prima insulina da D.N.A. ricombinante: fu il primo farmaco al mondo creato con questa tecnologia.
Oggi per il diabete, oltre alla nota insulina esistono prodotti come: Tolbutamide, Tolazamide, Clorpropramide, Acetoesamide, Gliburide, Glipizide, Glimepride, Metformina, Fenformina, Buformina, Repaglanide, Acarbosio, Miglitol, Glucagone…
Poche corporazioni della chimica e farmaceutica, tra loro interconnesse da fili economici e azionari, gestiscono l’intero mercato del diabete.
Gruppi potentissimi come Eli Lilly, Pfizer, Merck, Roche, Sanofi-Aventis e Bayer ogni anno, guadagnando miliardi di dollari, controllano la vita di centinaia di milioni di persone.

Oggi, il mercato del diabete
vale oltre 400 miliardi di dollari!

(…)

L’incidenza del diabete

Il “Bollettino dell’Accademia di Medicina di New York” del settembre 1933, riporta i dati ufficiali dal 1871 al 1932, e scrive: “…per le persone di entrambi i sessi, il tasso di mortalità del diabete a New York è passato dal 2,1 per 100.000 abitanti nel 1866, a 29,2 nel 1932”. Il numero totale delle morti perciò “è aumentato da 15 nel 1866 a 2.116 nel 1932”.
Il rapporto continua dicendo che “ …un aumento distinto nel numero di morti per diabete si sta verificando non solo al Nord Ovest, ma in tutti gli Stati Uniti, come dimostrano le statistiche di mortalità delle altre città”

http://lasuposta.altervista.org/

In poco meno di sessant’anni perciò, dal 1866 al 1932, i pochissimi e sporadici casi di diabete sono diventati qualche migliaio solamente nella città di New York per diventare, con una terribile accelerazione negli ulteriori 70 anni, 1 morto ogni 10 secondi!
Questi sono dati epidemiologici importanti che inquadrano una crescita esponenziale del fenomeno.
Cos’è successo nella società tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo per aggravare così drasticamente la situazione?
Le due guerre mondiali certamente non hanno giovato al benessere psicofisico e sociale di centinaia di milioni di persone ma non ne sono state la vera causa.

I grassi idrogenati

Molti medici e grandi ricercatori sono concordi nel ritenere la degenerazione dello stile di vita, nonché l’industrializzazione dell’alimentazione, cause principali delle malattie diabetiche. La nascita e la commercializzazione dei grassi idrogenati infatti è avvenuta proprio agli inizi del XX secolo.
Senza dover richiamare alla memoria ciò che hanno detto importanti medici del passato, anche nella recente storia della medicina moderna numerosi sono i personaggi che hanno collegato l’attuale stile di vita alla manifestazione di tale malattia.

Tra questi medici igienisti quali Isaac Jennings (1788-1874), Sylvester Graham (1794-1851), Russell Trall (1821-1877) e John Tilden (1851-1940). Anche l’infermiera londinese Florence Nightingale (1823-1910), nota come la signora della lanterna, era solita dire: “Non è forse il continuo vivere sbagliato che porta la gente ad ammalarsi?”.
Si possono ancora ricordare grandi personalità quali il chimico tedesco Max Joseph von Pettenkofer (1818-1901), il medico tedesco Louis Kuhne (1844-1901), il medico svizzero Max Bircher-Benner (1867-1936) precursore della scienza della nutrizione moderna, il medico tedesco Max Gerson (1881-1959), e moltissimi altri ancora.
Questi grandi uomini nonostante siano sconosciuti alla maggior parte delle persone, hanno lasciato un segno indelebile nella storia della medicina.

Alla dottoressa russa Chaterine Kousmine (1904-1992) va il merito di aver compreso che gran parte delle malattie croniche erano conseguenza indiretta di un’alimentazione degradatasi progressivamente negli ultimi decenni, soprattutto a seguito dell’introduzione nella catena alimentare dei grassi idrogenati.
La dottoressa Kousmine, era dell’opinione che il ritorno ad una alimentazione sana si sarebbe rivelato un’efficacissima arma terapeutica.
All’inizio del secolo scorso, sono stati creati questi nuovi grassi. Per motivi economici sono presentati con un aspetto solido ed hanno caratteristiche che li rendono adatti alla grande industria alimentare giacché risultano inalterabili dall’ambiente esterno, non irrancidiscono e durano a lungo nel tempo.
La tecnica dell’idrogenazione, che dà il nome a questi grassi, venne introdotta nel 1912 proprio allo scopo di renderli solidi e commerciabili.

Tra i grassi idrogenati estremamente pericolosi per la salute, vanno annoverate le margarine, gli oli industriali prodotti ad alte temperature che trasformano il loro acido linoleico, uno dei due acidi grassi essenziali, da cis-cis a cis-trans come vengono chiamati. La prima (cis) é una forma utilizzabile per l’organismo umano, la seconda (trans) una forma non utilizzabile o utilizzabile con danni.
I grassi idrogenati sono ancora permessi nell’industria alimentare e si trovano in abbondanza in tante merendine che consumano i bambini, nei prodotti da forno di tipo industriale quali pastine, biscotti, dolcetti, ecc., pietanze precotte, pollo o pesce impanato, patatine fritte, pizze già pronte, minestre in scatola, miscele per torte e tantissimi altri prodotti.
Riportiamo la quantità espressa in grammi per porzione di grassi cis-trans che si possono ingerire comunemente con alcuni prodotti venduti e consumati quotidianamente:

– Prodotti da forno: 1-4 grammi
– Cornetti: 2 grammi
– Snacks (pop-corn, chips di patate o mais): 1-8 grammi
– Fast food (patatine fritte o altri prodotti fritti): 1.5-2.5 grammi

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S. o W.H.O.) una persona adulta dovrebbe ingerire meno di 2 grammi al giorno di grassi cis-trans, ma come visto sopra, il rischio di superare la soglia di sicurezza è altissimo.
Le conseguenze per la salute pubblica sono molto gravi: disturbi cardiocircolatori, obesità, danni alle cellule con rischio di tumore, malattie autoimmuni e diabete.
Secondo il dottor Filippo Ongaro “…i grassi idrogenati non vengono riconosciuti dal corpo, richiedono tempi lunghissimi di smaltimento, fino a 51 giorni per smaltire la metà, e sono letteralmente tossici“.
Questi grassi fanno diminuire le H.D.L., il colesterolo cosiddetto buono, e alzano quello cattivo (L.D.L.).
Inoltre: interferiscono con l’insulina aumentando il rischio diabete, interferiscono con il sistema immunitario e la detossificazione epatica, aumentano le patologie infiammatorie. E’ da notare come addirittura interferiscono con l’insulina aumentando il rischio diabete e agiscono negativamente sulla membrana cellulare.
Quest’ultimo punto, data la sua importanza, verrà ripreso nel corso della trattazione.

Grassi utili alla salute invece sono, ad esempio, l’olio extra vergine di oliva, purché sia spremuto a freddo. Poiché però é privo di Omega-3 ed é scarso di acido linoleico, essendo quest’ultimi due degli acidi grassi essenziali, si dovrebbe integrare l’alimentazione con olio di girasole o sesamo o lino o cartamo, purché siano sempre di prima spremitura a freddo.
Utilissima è anche la frutta con guscio e i semi oleosi quali noci, mandorle, nocciole, zucca, sesamo, semi di girasole ecc. però non tostati.

FONTE.

http://www.disinformazione.it/diabete_dati_ufficiali.htm

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