DIVINA COMMEDIA INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI

DIVINA COMMEDIA INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI

INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI

FONTE: https://www.orlandofurioso.com/


Parafrasi

Il sole stava ormai tramontando e l’aria diveniva scura,
liberando tutti gli animali che ci sono sulla terra
dalle loro fatiche quotidiane, mandandoli a riposare; io da solo

mi preparavo invece a sostenere tutte le fatiche
tanto del lungo viaggio quanto delle scene compassionevoli
che la mente infallibile andrà poi a ricordare.

Oh muse, oh mio elevato ingegno, aiutatemi voi in questo;
oh memoria, che hai scritto in te fedelmente ciò che allora vidi,
qui si dimostrerà tutto il tuo valore.

Comincia a dire a Virgilio: “Poeta che mi guidi,
valuta tu se il mio valore è abbastanza,
prima di impegnarmi in questo difficile cammino.

Tu dici che Enea, padre di Silvio,
quando era ancora mortale, scese nei regni eterni,
e lo fece realmente, in carne ed ossa.

Però in quel caso, se Dio, avversario di ogni male,
gli concesse tanto, lo fece pensando alla nobile discendenza
che avrebbe dovuto nascere da lui, così che chi lui fosse e le sue condizioni

a nessun uomo ragionevole possono fare pensare ad una concessione non meritata;
poiché fu della madre Roma e di tutto il suo impero
destinato per volontà divina ad esserne il fondatore:

La quale Roma ed il quale impero, a voler dire il vero,
fu destinata a divenire il luogo santo
dove risiete il papa, successore del grande Pietro.

Grazie a questo suo viaggio negli inferi, da te cantato nell’Eneide,
poté apprendere segreti che favorirono poi
la sua vittoria contro Turno ed futuro del manto papale.

Andò anche nei regni eterni san Paolo, lo strumento eletto,
per trovare conferme per quella fede cristiana
che è principio fondamentale per l’eterna salvezza.

Ma io, perché dovrei andarci? Chi mi concede questo onore?
Io non sono Enea, io non sono san Paolo;
né io stesso né nessuna latro mi crede degno di ciò.

Perciò, lasciandomi condurre da te,
temo di commettere una follia.
Tu che sei saggio; puoi capirlo assai meglio di quanto io non possa spiegare.”

E come colui che non vuole più ciò che prima voleva
e cambia i propri propositi seguendo nuovi pensieri,
così che si distrae del tutto dal cominciare,

così feci io lungo quel pendio ormai buio,
perché con il pensiero mettevo già fine a quella impresa
che avevo accettato di intraprendere senza esitazioni.

“Se ho ben capito il tuo discorso”,
rispose lo spirito del generoso Virgilio,
“il tuo animo è in preda alla paura;

che molte volte ostacola talmente l’uomo
da distoglierlo dal compiere imprese tanto rispettabili,
simile in ciò ad una bestia che si nasconde quando crede di vedere un pericolo.

Affinché tu ti possa liberare dalla paura che ti prende,
ti dirò perché sono venuto da te e ciò che mi è stato detto
di te in quel primo momento, quando mi preoccupai per te.

Mi trovavo tra le anime del limbo, sospese tra dolore e felicità,
quando una donna beta, del paradiso, e di bella presenza,
tanto bella che mi offrii di ubbidire al suo comando.

I suoi occhi brillavano di Venere, stella del mattino;
ed in modo dolce e piacevole cominciò a dirmi,
con voce angelica, nella sua lingua parlata:

“Oh gentile anima mantovana,
la cui fama dura ancora nel mondo
e durerà a lungo quanto il mondo stesso,

il mio amico, ma non amico della fortuna,
lungo il pendio deserto viene tanto ostacolato
nel suo cammino da essersi infine voltato indietro per paura;

e tempo che sia già talmente smarrito,
da essermi mossa tardi in suo soccorso,
stando a quello che ho sentito riguardo a lui in cielo.

Muoviti adesso e con la tua elegante parola
e con quanto altro possa essere d’aiuto per la sua sopravvivenza,
dagli aiuto così che io possa essere avere sollievo.

Io che ti mando in suo aiuto mi chiamo Beatrice;
vengo da un luogo tanto felice e desidero tornarci;
è l’amore nei confronti del mio amico a farmi muovere ed a suggerirmi le parole.

Quando sarò tornata dal mio Signore,
spesso mi dirò contenta di te dinanzi a Lui.”
Smise allora di parlare e cominciai quindi io:

“Oh donna tanto virtuosa, unica grazie alla quale
il genere umano supera tutte le altre cose terrene contenute
sotto quel cielo, della luna, che ha minore circonferenza,

il tuo comando mi riesce tanto gradito,
che l’ubbidire ad esso, anche se già in corso, mi sembrerebbe comunque troppo lento;
Non ti occorre dire altro, manifestare oltre la tua volontà.

Dimmi soltanto il motivo per cui non ti preoccupa
il dover scendere qua giù, in questo inferno, centro
dell’Empireo, dove desideri ardentemente tornare.”

“Dal momento che tu vuoi sapere le cose tanto a fondo,
te lo dirò brevemente”, mi rispose Beatrice,
“perché non ho paura di venire qua dentro, dove ci troviamo.

Si deve avere paura solamente di quelle cose
che hanno il poter di ferire, far male agli altri;
delle altre cose non bisogna temere, giacché, in confronto, non sono tali da fare paura.

Sono stata creata da Dio, per sua grazie, tanto impassibile, salda nei sentimenti,
che il vostro misero stato non mi tocca,
e nessuna fiamma di questo incendio può assalirmi.

Un donna tanto gentile, Maria, si è impietosita lassù in cielo
per l’ostacolo incontrato da Dante e per il quale vi mando in suo soccorso,
e con le sue suppliche ha annullato la severa sentenza divina che abbandonerebbe invece Dante al suo destino.

Costei chiese di vedere Santa Lucia
e le disse: “Dante, tanto a te fedele, ha ora bisogno
del tuo aiuto, e lo affido quindi alla tua protezione.”

Lucia, sempre nemica di ogni forma di crudeltà,
si mosse e venne nel luogo dove io mi trovavo,
seduta insieme a Rachele dei tempi antichi.

Mi disse: “Beatrice, tu che rappresenti la vera lode a Dio,
perché non vai in soccorso di colui che ti ha amato tanto
e che, grazie a te, è riuscito ad uscire dalla comune gente?

Non senti la tristezza del suo pianto,
non vedi che la morte spirituale lo minaccia
con un impeto tanto travolgente che nemmeno le burrasche del mare possono eguagliarlo?”

Al mondo non ci furono mai persone tanto leste
a fare il proprio interesse o ad evitare un pericolo,
come lo fui io dopo che quelle parole furono pronunciate,

Venni qua giù da te abbandonando il mio beato stallo,
avendo fiducia nel tuo modo giusto di parlare, bello ed efficace,
che da onore a te ed a coloro che ebbero l’onore di ascoltarlo.”

Dopo che Beatrice mi ebbe detto questo,
mi lasciò con occhi lucidi per le lacrime,
e perciò mi fece venire da te ancora più rapidamente.

Giunsi quindi da te così come ella volle:
ti liberai dalla presenza di quella belva, dalla lupa,
che ti impedì di procedere verso la cima del monte lungo la strada più corta.

Dunque: cos’è che ti spaventa? Perché, perché esiti a seguirmi,
perché nutri tanta codardia nel tuo cuore,
perché non mostri invece coraggio e sicurezza,

dopo che queste tre donne benedette
si preoccupano e si prendono cura di te nella corte del paradiso,
e le mie parole ti promettono di poter ottenere un bene tanto prezioso?”

Come i fiorellini di campo a causa del gelo notturno
stanno chiusi e chini, ma dopo che il sole li illumina
tornano in vita aprendo i propri petali e drizzandosi sul loro stelo,

allo stesso modo feci io riprendendomi dal momento di sconforto,
e arrivò al mio cuore un coraggio tanto efficace,
che cominciai a dire, da persona sicura di sé:

“Oh misericordiosa Beatrice, venuta in mio aiuto!
E tu Virgilio tanto gentile da aver ubbidito subito
alla tanto efficaci parole che ti disse!

Mi hai tanto riempito il cuore,
con le tue parole, del desiderio di seguirti,
che io tornato a credere alla mia prima convinzione.

Procedi quindi oltre, poiché ora ci unisce la stessa volontà:
sarai la mia guida, il mio signore ed il mio maestro.”
Dissi queste parole; e dopo che ebbe ripreso il cammino,

mi inoltrai con lui per la strada aspra e selvaggia dell’inferno.

Schema canto II:

LUOGO: Selva
PERSONAGGI: Dante / Virgilio / Vergine Maria / Lucia / Beatrice
TEMPO: Sera dell’8 aprile (venerdì santo)

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INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI

INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI

INFERNO CANTO SECONDO PARAFRASI


Parafrasi:

Il giorno si avviava alla fine, e l’imbrunire
sottraeva tutti gli esseri viventi
dalle loro fatiche quotidiane; e io unico fra tutti
mi accingevo a sostenere le fatiche
sia del cammino e sia della compassione,
che la memoria conserva con esattezza.
O muse, o mio ingegno, aiutatemi;
o memoria che scrivesti quello che io vidi
qui si rivelerà la tua eccellenza.
Io cominciai: “Poeta che mi guidi,
giudica se la mia virtù è adeguata
prima che tu mi affidi a questo difficile cammino.
Tu stesso scrivi (nell’Eneide) che il padre di Silvio (=Enea),
ancora in vita si recò nell’aldilà, e ci andò con il corpo.
Ma se Dio, nemico di ogni male,
fu benevolo con Enea, questi non potrà non apparire degno di tanta benevolenza
a un uomo d’intelletto, che ricordi l’importanza degli eventi,
di cui egli sarà protagonista;
poiché egli fu prescelto da Dio
nel cielo empireo della nobile Roma e del suo impero:
la quale Roma e il quale impero, a voler dire la verità,
furono stabiliti dalla divinità
per fare di quella città il luogo santo dove ha sede il successore del grande Pietro.
Per questo viaggio del quale tu nel tuo poema
gli dai onore, gli furono dette cose che lo incoraggiarono
alla vittoria (sui Latini), da cui poi conseguì l’autorità papale.
Vi andò poi San Paolo (detto “l’urna dell’elezione”)
per portare in tutti gli uomini la fede,
che è principio obbligato della salvezza.
Ma io per quale motivo dovrei venirci? Chi mi concede questo privilegio?
Io non sono né Enea, né san Paolo:
nessuno può credere che io sia degno a questa impresa.
Perciò, se mi lascio andare a questo viaggio,
temo che la mia venuta sia temeraria.
Sii saggio: comprendimi meglio di quanto
io sappia esprimermi”.
E come un uomo che non vuole più ciò che prima ha voluto,
e per il sopraggiungere di nuovi pensieri cambia il suo proposito,
tanto che si distoglie da ciò che aveva appena cominciato,
così mi comportai io in quell’oscuro fianco di colle, perché,
a forza di pensare, annullai quell’impresa
che avevo cominciato così prontamente.
“Se ho ben capito quello che intendi”,
rispose il mio maestro,
“la tua anima è colpita da pusillanimità, che
spesso impedisce all’uomo il suo cammino,
opponendo un ostacolo, al punto che lo fa tornare indietro
da un’impresa onorevole, come avere l’impressione di vedere
qualcosa che non c’è fa tornare indietro un animale quando si adombra.
Affinché tu ti liberi da questa paura, ti dirò perché sono venuto,
e ti dirò quello che ho sentito nel momento in cui provai
dolore per te.
Ero tra coloro che sono sospesi (nel Limbo)
e una donna beata e bella mi chiamò, che
non potei fare altro di chiederle di comandarmi quello che desiderava.
I suoi occhi splendevano più delle stelle; e cominciò a parlare
con voce molto dolce e angelica;
“O cortese anima mantovana, la cui fama
ancora perdura nel mondo,
e resisterà a lungo nel tempo,
un mio amico, e non di quelli che mutano secondo la fortuna,
è ostacolato nel suo cammino nella selva
al punto che si è volto indietro per la paura;
e temo che si sia già tanto smarrito, che io mi sia
mossa tardi per aiutarlo,
secondo quanto ho sentito dire di lui in cielo.
Vai dunque e con le tue efficaci parole,
e con quello che è necessario per la sua salvezza,
aiutalo, in modo che io possa essere rassicurata.
Io, che ti invito a muoverti, sono Beatrice;
vengo da un luogo dove desidero tornare (il Paradiso):
mi mosse l’amore, che mi fa parlare a te.
Quando sarò davanti al mio Signore,
gli farò spesso le tue lodi”.
Poi tacque e io dissi:
“O signora di tutte le virtù,
grazie alla quale soltanto l’umana specie trascende
ogni cosa contenuta in cielo con la circonferenza minore di tutti,
il tuo ordine mi è tanto gradito che,
se già mi fossi mosso a ubbidire,
mi sembrerebbe già tardi: per essere ubbidita,
non hai bisogno di altro che di espormi il tuo desiderio.
Dimmi piuttosto il motivo per cui non esiti
a scendere quaggiù, in questo centro della Terra (Inferno),
dal più ampio cielo (Empireo), nel quale desideri tornare con ardore”.
Mi rispose: “Poiché desideri tanto conoscere i miei pensieri,
ti dirò brevemente perché io non temo di venire quaggiù.
Si devono temere solo le cose che ci possono nuocere;
non le altre, perché quelle non sono tali da far paura.
Io sono stata creata da Dio, per grazia sua,
tale che non posso essere toccata dalla miseria di voi dannati,
né attaccata dal fuoco dell’inferno.
In Cielo c’è una donna gentile (rif.: Vergine Maria),
che si duole, provando compassione,
di questo insormontabile ostacolo che io ti mando
a rimuovere, al punto tale che infrange lassù in paradiso
la vera sentenza divina.
Questa donna chiamò presso di sé Lucia e le disse:
“Il tuo fedele ora ha bisogno di te, ed io te lo affido”.
Lucia, nemica di tutte le crudeltà, si mosse al
luogo dove io stavo, seduta presso l’antica Rachele.
Disse: “Beatrice, tu sei una vera lode di Dio, perché
Non soccorri colui che ti amò tanto, da uscire, per amore tuo
dalla schiera del volgo? Non senti l’angoscia del suo pianto,
non vedi il rischio mortale che egli corre,
sull’orlo del tempestoso flutto delle passioni
del quale il mare non è più terribile?”.
Al mondo non ci furono mai persone così veloci
a fare il proprio vantaggio o a fuggire il proprio danno,
come fui io, dopo che furono pronunciate tali parole,
a venire quaggiù dalla mia sede beata, confidando
nel tuo parlare dignitoso e nobile,
che onora te e quelli che lo hanno ascoltato”.
Dette queste parole, rivolse gli occhi indietro,
divenuti ancora più lucenti per le lacrime,
e con questo gesto mi spinse a muovermi
ancora più velocemente.
E venni a te così come volle lei: ti tolsi dal confronto con quella fiera,
che ti impediva di salire in cima al colle per la strada breve.
Dunque, cosa succede?
Perché stai fermo, perché accogli nel tuo cuore tanta viltà,
perché non hai coraggio e franchezza
dopo che tre donne sante di tale importanza
hanno cura di te nella corte del cielo,
e le mie parole ti promettano tanto bene?”.
Come i fiori piegati e chiusi dal gelo notturno,
quando il sole li illumina con la luce bianca dell’alba,
si sollevano aperti sul loro stelo,
così divenni io, nella mia debole forza
e il mio cuore fu pieno di tanto buon coraggio,
che gli dissi con franchezza:
“Oh, quanto è ricca di pietà colei che mi soccorse!
E quanto cortese sei tu, che hai subito ubbidito
alle parole veritiere che ti ha detto!
Tu, con le tue parole, hai reso il mio cuore così doveroso di venire,
che io sono tornato al mio primo proposito.
Vai pure avanti che abbiamo entrambi uno stesso volere.
Tu mia guida, tu mio signore,,
tu mio maestro”.
Così gli dissi; e quando si mosse, entrai nel cammino profondo e selvaggio.

Schema canto II:

LUOGO: Selva
PERSONAGGI: Dante / Virgilio / Vergine Maria / Lucia / Beatrice
TEMPO: Sera dell’8 aprile (venerdì santo)

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