IL VERISMO ITALIANO
IL Verismo nasce in Italia con le opere di tre autori siciliani, Giovanni Verga, Luigi Capuana e Federico De Roberto, che rappresentano le difficoltà patite dalla loro regione, la Sicilia, nel problematico processo d’integrazione con lo stato unitario.
Nata come parte integrante della Magna Grecia, cresciuta come crogiolo originale d’influssi disparati, provenienti dalle diverse popolazioni che l’hanno via via occupata (Arabi, Normanni, Spagnoli), e, ancora alla fine dell’Ottocento, legata ad un’economia rurale povera, basata sul latifondo e sulle grandi proprietà nobiliari, la Sicilia finisce per essere qualcosa di anomalo, quasi di avulso dal contesto unitario del Paese appena nato. Forse in nessun’altra regione come nella Sicilia borbonica la nascita dell’Italia unita pareva destinata a rivoluzionare tutto, e non solo da punto di vista politico.
Le attese erano enormi: si sperava in una ridistribuzione delle terre più giusta, in investimenti industriali che spazzassero via la povertà di un’economia contadina, in una burocrazia meno oppressiva e onnipresente di quella borbonica, in una crescita anche sociale che facesse fronte all’arretratezza di una popolazione in cui otto persone su dieci erano ancora analfabete. In una parola, ci si attendeva, anche con punte di ingenuità disarmante, una soluzione pressoché immediata della famosa “questione meridionale”, che in Sicilia aveva la sua rappresentazione più potente.
Ma mai come in questa regione le attese, così grandi, si rivelarono ben presto destinate ad essere disilluse. Le terre non vennero ridistribuite, e restarono in gran parte in mano agli stessi padroni di prima che avevano semplicemente cambiato “casacca” istituzionale, trasformandosi magari nel giro di una sola generazione da borbonici incalliti a “liberali” a tutto tondo.
In altri casi, invece, i vecchi baroni furono sostituiti da una nuova, rampante borghesia rurale. Ma tutto senza che la logica del latifondismo venisse spezzata, e, quindi, senza reali miglioramenti per i contadini, lo strato più largo e più povero della popolazione siciliana. E con questo anche il desiderio di giustizia andò sostanzialmente deluso. Se possibile, anzi, si acuì ancora di più, quando all’inefficiente amministrazione borbonica si sostituì una burocrazia sabauda altrettanto feroce e avida. L’economia, poi, restò arretrata, con un’industrializzazione pressoché inesistente e una mole di investimenti, pubblici e privati, scarsi rispetto alle attese e scarsissimi rispetto alle speranze. Ben presto la disillusione si tramutò in rifiuto, più o meno esplicito. E tale rifiuto fin’ per ostacolare ulteriormente l’integrazione, che divenne, appunto, ancora più difficile.
Uno dei meriti maggiori del Verismo è proprio quello di affrontare senza reticenze questa difficoltà di integrarsi con la cultura dell’Italia unita.
La diversità della Sicilia e, di riflesso, della sua letteratura spicca decisamente, poi, se si guarda ai soggetti scelti dal Verismo. L’ambientazione preferita è il mondo rurale e contadino, con le sue usanze immutabili, che si tramandano da una generazione all’altra, e con una mentalità, una ritualità e delle tradizioni ataviche, perenni. I veristi osservano questo ambiente con un interesse analogo a quello con cui gli scienziati accostano l’oggetto della loro analisi: studiano i paesi, si appassionano ai canti e ai racconti popolari, imparano i dialetti e i proverbi che si usano nelle campagne. Soprattutto, osservano personaggi e caratteri che si ripropongono quasi immutabili nelle loro caratteristiche esteriori: contadini affamati e massari a caccia di “roba” e di ricchezza; nobili arroccati nella decadenza loro e del loro mondo o capaci di ogni trasformismo per conservare il potere; canonici corrotti che temono soprattutto di perdere i loro privilegi; funzionari pubblici che quasi sempre presentano la faccia ambigua di un nuovo stato sentito da mezza isola come salvatore e dall’altra metà come invasore.
E poi, al di là dello sfondo politico ed economico, gelosie, passioni, odi viscerali capaci di suggerire a narratori capaci spunti per personaggi (soprattutto femminili) di una forza vivida. I veristi osservano, studiano, analizzano. E travasano tutto nelle loro opere,
trasformandole in qualcosa di assolutamente nuovo: ambiente, personaggi, persino il linguaggio, che persegue il tentativo di oggettività assoluta diventando al tempo stesso più scarno, essenziale, e più “basso”, senza classicismi e senza remore nell’uso di espressioni popolari e dialettali.