ROSA FRESCA AULENTISSIMA ANALISI

ROSA FRESCA AULENTISSIMA ANALISI

Autore Cielo D’Alcamo Anno tra il 1230 e il 1250


Forma metrica strofe di cinque versi, rimate secondo lo schema AAA BB. I primi tre versi di ogni strofa sono alessandrini (doppi settenari o ogni emistichio è costituito da un settenario, per cui 2 emistichi = verso alessandrino, il primo emistichio è sempre sdrucciolo, cioè la parola finale dell’emistichio ha l’accento tonico sulla terzultima sillaba. Es. aulentìssima, disìano, fòcora, mattutìna), gli altri due sono endecasillabi a rima baciata.
32 strofe. Ciascuna strofa corrisponde alla battuta di uno dei due protagonisti (tecnicamente questa forma poetica è detta “contrasto”).

Riassunto

La rosa con cui si apre il componimento è metafora della femminilità e dell’amore; inizialmente, la donna appare ritrosa e sprezzante; il primo cambiamento nel suo atteggiamento si nota ai vv. 66-70, in cui la donna si dichiara disposta a sposare l’uomo, purché lui la richieda ufficialmente in sposa ai genitori.

Parafrasi

Rosa fresca profumatissima, che compari verso l’estate, le donne ti desiderano, sia le ragazze, sia quelle sposate: toglimi da questi fuochi, se è nella tua volontà; per colpa tua non ho pace notte e giorno, pensando sempre a voi, o donna mia.

Se ti tormenti per me, te lo provoca la pazzia. Potresti arare il mare, seminare ai venti, accumulare tutti quanti gli averi di questo mondo; non potresti, invece, avere me in questo mondo; prima mi toglierei i capelli (mi farei suora).

Se ti tagliassi i capelli, vorrei prima morire, poiché con essi perderei la gioia e il piacere. Quando passo di qui e ti vedo, rosa fresca dell’orto, mi doni sempre un grande piacere: facciamo in modo che il nostro amore si congiunga.

Non voglio che mi piaccia che il nostro amore si congiunga: se ti trova qui mio padre con gli altri miei parenti, stai attento che non ti raggiungano questi veloci corridori. Come ti sembrò una cosa buona venire qui, ti consiglio di fare attenzione alla partenza.

Se i tuoi parenti mi trovano, che cosa mi possono fare? Vi assegno una multa di duemila augustali (In questa strofa l’autore si riferisce con ironia ad una legge emanata da Federico II nell’ambito di alcune norme dettate in favore delle donne. In particolare la disposizione stabiliva che una donna molestata non fosse obbligata ad un matrimonio riparatore (che in pratica, poteva ritenersi una condanna anche per la donna oltraggiata), ma doveva essere punito solo il molestatore col pagamento di un’ammenda. Lodevole iniziativa quella dell’Imperatore, dettata certamente da buone intenzioni e da una mentalità aperta e moderna, ma, di fatto, si rivelò una sorta di immunità per i cattivi soggetti, specie quelli abbienti. Essi potevano permettersi di pagare senza che la cosa pesasse sulle loro finanze, o, meglio, grazie alla loro influenza e potere, riuscivano a non farsi comminare neppure la multa): tuo padre non mi toccherebbe per tutti gli averi che possiede la città di Bari. Viva l’imperatore, grazie a Dio! Comprendi, bella, quello che io ti dico?

Tu non mi lasci vivere né alla sera né al mattino. Io sono una donna che possiede monete d’oro, d’oro massamotino. Se mi donassi tanti beni, quanti ne ha il Saladino, e in aggiunta quanti ne ha il Sultano, non potresti toccarmi su una mano.

Sono molte le donne testarde, e l’uomo con le parole le domina e le convince: tanto l’incalza tutto intorno, fino a che non ce l’ha in suo potere. La donna non può fare a meno dell’uomo: stai attenta, bella, di non doverti pentire.

Che io mi dovessi pentire? Possa io piuttosto essere uccisa che qualche buona donna sia rimproverata per causa mia. Tempo fa, sei passato di qui, correndo a gambe levate. Prenditi un po’ di riposo, canterino: le tue parole non mi piacciono per niente.

Quanti sono i dolori che mi hai messo nel cuore, anche solo a pensarci di giorno quando esco! Non ho ancora mai amato tanto una donna di questo mondo, quanto amo te, rosa desiderata: credo proprio che tu mi sia stata destinata.

Se ti fossi stata destinata, cadrei in basso, poiché con te le mie bellezze sarebbero sprecate, mal riposte. Se tutto questo mi succedesse, mi taglierei le trecce, e diventerei consorella in un convento, prima che tu tocchi il mio corpo.

Se tu diventi consorella, donna dal viso luminoso, vengo al convento e mi rendo un confratello: lo farei volentieri, per averla vinta su di te con una prova tanto notevole. Starei con te la sera e la mattina: bisogna che io ti tenga in mio potere.

Ahimè, povera infelice, com’è crudele il mio destino! Gesù Cristo, l’Altissimo è proprio arrabbiato con me: mi ha concepita per incontrare un uomo empio. Cerca in tutta la Terra che è molto grande, troverai una donna più bella di me.

L’ho cercata in Calabria, Toscana e Lombardia, in Puglia, a Costantinopoli, Genova, Pisa e in Siria, in Germania e a Baghdad e in tutto il Nordafrica: qui non ho trovato una donna altrettanto gentile, per cui ti ho assunta come mia signora.

Poiché ti sei tanto tormentato, ti faccio la mia preghiera di andare domani da mia madre e mio padre a chiedermi in sposa. Se degnano di darmi in sposa a te, portami in chiesa e sposami davanti a tutti; e poi obbedirò ai tuoi desideri.

Di ciò che tu dici, vita mia, niente ti serve, perché delle tue parole non ne parlo neanche più. Pensavi di mettere le penne, invece ti sono cadute le ali; e ti ho dato il colpo di grazia. Dunque, se puoi, rimani una contadina.

Non mi incuti timore di nessuna macchina da guerra: me ne sto in questa gloria di questo imponente castello; considero le tue storie meno di quelle di un bambino.

Se tu non ti levi di torno e te ne vai di qui, anche se tu giaci morto, ciò mi piace molto.

Ultime strofe non presenti nel vostro libro ma di fondamentale importanza


…Arcompli mi’ talento, [a]mica bella,
ché l’arma co lo core mi si ‘nfella.”

29… Esaudisci il mio desiderio, amica bella, perché l’arma mi si rattrista con il cuore.


“Ben sazzo, l’arma dòleti, com’omo ch’ave arsura.
Esto fatto non pòtesi per null’altra misura:
se non ha’ le Vangel[ï]e, che mo ti dico ‘Jura’,
avere me non puoi in tua podesta;
inanti pren[n]i e tagliami la testa.”

30. Questo lo so bene, l’arma ti duole, come l’uomo che arde. Questo non può essere fatto a nessun’altra condizione se non hai il Vangelo, affinché io ti dica “giura”, non puoi avermi in tuo potere; prima prendi e tagliami la testa.


“Le Vangel[ï]e, càrama? ch’io le porto in seno:
a lo mostero présile (non ci era lo patrino).
Sovr’esto libro jùroti mai non ti vegno meno.
Arcompli mi’ talento in caritate,
ché l’arma me ne sta in sut[t]ilitate.”

31. Il Vangelo, cara mia? io lo porto con me: l’ho preso in chiesa (non c’era il prete). Sopra questo libro giuro di non tradirti mai. Esaudisci il mio desiderio per carità, ché l’arma me ne se sta in consunzione.


“Meo sire, poi juràstími, eo tut[t]a quanta incenno.
Sono a la tua presenz[ï]a, da voi non mi difenno.
S’eo minespreso àjoti, merzé, a voi m’arenno.
A lo letto ne gimo a la bon’ora,
ché chissa cosa n’è data in ventura.”

32. Mio signore, poiché hai giurato, io ardo tutta quanta. Sono alla tua presenza, da voi non mi difendo. Se io ti ho disprezzato, mercé, a voi mi arrendo. Andiamo a letto alla fine, perché questa cosa ci è per nostra buona sorte.


Figure retoriche

Cablas capfinidas: ripresa, in apertura di strofa, di elementi che chiudono la strofa precedente (m’arritonno, v. 10 – aritonniti, v. 11; che s’ajunga il nostro amore, v. 15 – ke ‘l nostro amore ajungasi, v. 16; pur de repentere, v. 35 – pur repentesseme, v. 36; fosti destinata, v. 45; distinata fosseti, v. 46);
Apostrofe: “Rosa fresca aulentissima”, v. 1; “madonna mia” (v. 5); “rosa fresca de l’orto” (v. 13); “bella” (v. 25, 35); “canzonieri” (v. 39), “”rosa invidiata” (v. 44); “donna col viso cleri” (v. 51); “vitama”(v. 71);
Iperbole: “per quanto avere ha ‘n Bari” (v. 23); “Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino, / e per ajunta quant’ha lo soldano, / toc[c]are me non pòteri a la mano” (vv. 29-30); “Cercat’ajo Calabr[ï]a, Toscana e Lombardia, / Puglia, Costantinopoli, / Genoa, Pisa e Soria, /Lamagna e Babilonïa [e] tut[t]a Barberia (vv. 61-63);
Adynaton: “Lo mar…asembrare” (vv. 7-8)

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