RICERCA CRISI DEL 29

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Da Londra a New York

La Grande Guerra aveva cambiato le gerarchie internazionali, facendo degli Stati Uniti il primo Paese al mondo per
peso economico, mentre l’Europa abbandonava il suo millenario predominio mondiale, devastata dalla prima guerra
totale. La crisi dell’eurocentrismo non risparmiava certo gli equilibri mondiali dal punto di vista economico e l’asse si
spostò dalla City (Londra), quartier generale della finanza legato alla posizione di predominio industriale di tutto
l’Ottocento, a Wall Street (New York). L’Europa soffre di una crisi produttiva a causa della riconversione e non è
autosufficiente. Inoltre ha bisogno di enormi capitali per riavviare i cicli di produzione e di consumo, e si regge solo grazie
ai finanziamenti USA, che ben volentieri investono e si cautelano da rivoluzioni sociali che facilmente aprirebbero la
strada all’allargamento del comunismo.


Euforia economica

Gli Stati Uniti vivono negli anni Venti una stagione di enorme entusiasmo testimoniata dagli spettacolari grattacieli,
come l’Empire State Building di New York, la cui costruzione iniziò poche settimane prima del crollo di Wall Street. Anche
persone di ceto medio si lanciano negli investimenti in borsa, acquistando i titoli delle industrie produttrici di beni
acquistati dagli agricoltori. Il benessere parve alla portata di tutti gli statunitensi: il prodotto industriale raggiunse quasi la
metà dell’intera produzione mondiale, mentre i consumi privati poterono godere della motorizzazione di massa (nel 1929
la produzione di automobili raggiunse la straordinaria cifra di 23 milioni di esemplari) e della fornitura a basso costo di
servizi come la telefonia e l’energia elettrica.


Stallo e Grande Depressione

Nella seconda metà degli anni Venti progressivamente l’Europa si risollevò dalla crisi postbellica e conquistò una
propria indipendenza, soprattutto nel settore agricolo, riuscendo autonomamente a produrre generi alimentari in quantità
sufficienti, e iniziando a fare concorrenza alle esportazioni USA. Per l’agricoltura statunitense, che nel frattempo aveva
aumentato a dismisura la produzione per soddisfare non solo il fabbisogno crescente del Paese, ma per esportare in
Europa, si profilò una crisi di sovrapproduzione, con un conseguente brusco ribasso dei prezzi e un notevole
abbassamento dei redditi. Il simbolo di questa crisi, che vide tonnellate di grano e di caffè rovesciate in mare o date alle
fiamme nel disperato tentativo di far risalire i prezzi, fu il “venerdì nero” di Wall Street del 25 ottobre 1929.
La diminuzione del potere di acquisto degli agricoltori provocò una sovrapproduzione anche dei beni industriali.
Aumentarono i licenziamenti (l’apice della disoccupazione si raggiunse nel 1933, quando coinvolse circa il 30% della
popolazione attiva) e di conseguenza il ristagno dei mercati, mentre a Wall Street assistiamo ad una vendita
generalizzata dei titoli a qualsiasi prezzo.


Crisi a catena

Non ricevendo più capitali, la crisi rimbalzò in Europa, dipendente economicamente dai finanziamenti USA, ed i
provvedimenti protezionistici adottati dal governo americano provocarono le medesime contromisure europee, bloccando
il sistema degli scambi internazionali ed iniziando un pericoloso processo di nazionalismo economico. Aumentando
l’insoddisfazione per i regimi liberali europei, la crisi economica favorì il consolidarsi dei regimi dittatoriali nei Paesi in cui
la ripresa industriale non si era ancora affermata. Francia ed Inghilterra sopportarono meglio il contraccolpo, mentre la
Germania di Weimar, afflitta da milioni di disoccupati, ricevette una spallata decisiva a vantaggio del nazismo, così come
anche in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia si diffusero regimi autoritari.


Soluzione

I democratici al “laissez faire” repubblicano opposero un deciso mutamento di rotta rappresentato dalla politica del
New Deal di Roosevelt, basata sulle teorie dell’economista Keynes, la cui idea-forza consisteva nell’affermazione a livello
economico e sociale della preminenza del pubblico sul privato e nell’attribuzione allo Stato del compito di fronteggiare le
difficoltà sociali. Lanciato con determinazione nei primi mesi di presidenza (i “cento giorni”), fu articolato in interventi
finanziari (svalutazione del dollaro, riforma del settore bancario e della borsa), fiscali, economici (incentivi alla
concentrazione industriale, sostegno dei prezzi agricoli), in grandi opere pubbliche e in interventi specifici di
regolamentazione del mercato del lavoro (contratti collettivi, assicurazioni obbligatorie, minimi salariali). La ripresa
economica fu lenta e l’opposizione degli ambienti conservatori, che temevano che il New Deal alterasse il profilo storico
del liberalismo americano, ostacolò il programma. Dopo la clamorosa rielezione del 1936, Roosevelt rilanciò il New Deal
con l’espansione della spesa pubblica, l’introduzione di un sistema nazionale di previdenza sociale e una legge sindacale,
grazie alla quale fu fissato un orario di lavoro, vietato il lavoro minorile e offerta la pubblica assistenza nei casi di malattia
e vecchiaia.

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