L’INDUSTRIALIZZAZIONE

L’INDUSTRIALIZZAZIONE

L’INDUSTRIALIZZAZIONE


La crescita del sistema industriale vive tre fasi che corrispondono ai tre grandi scenari mondiali.


SCENARIO

Condizioni socio-culturali, ambientali ed economiche in Inghilterra.
Tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, in un’area dell’Inghilterra centro-settentrionale compresa tra le città di Liverpool, Birmingham, Manchester e Leeds, cominciarono a definirsi i primi tratti del processo di espansione dell’economia inglese, che vengono ricordati come “Rivoluzione Industriale”. Alle origini di tale processo vi fu l’eccezionale sviluppo che discipline come la chimica, la fisica, la mineralogia, l’idraulica, la meccanica conobbero durante il secolo dei Lumi, ma la nascita dell’industria in Inghilterra fu favorita dalla mentalità anglosassone, che valutava
positivamente le attività imprenditoriali, e che ne teorizzò l’assunto del liberismo attraverso lo scozzese Adam Smith (1723-1790), dall’istruzione diffusa, dalla mancanza di barriere sociali rigide e dalle istituzioni politiche, schierate a favore dei nuovi ceti industriali. La stessa etica protestante considerava la ricchezza un segno tangibile del favore celeste.
Dal punto di vista delle condizioni ambientali, circostanze favorevoli furono le grandi riserve di carbon fossile e di ferro di cui l’Inghilterra disponeva, la facilità nei trasporti, dovuta alla vicinanza del mare e alla mancanza di alte montagne, l’abbondanza di corsi d’acqua da utilizzare per il rifornimento delle fabbriche uniti alla lungimirante apertura di oltre 1000 canali navigabili e ad una profonda ristrutturazione del sistema stradale.
Esistevano infine in Inghilterra condizioni economiche favorevoli legate al forte incremento della popolazione (dal 1760 al 1821 la popolazione passò da 7 a 12 milioni), un tasso doppio paragonato alla media europea, e al conseguente aumento della domanda e alla disponibilità di capitali, proveniente dal settore della media borghesia.


La grande crescita industriale

Fino alla metà dell’Ottocento l’Inghilterra, culla della “rivoluzione industriale”, ne rimase protagonista assoluta, con l’industria cotoniera a fare da battistrada al processo di trasformazione, grazie alla progressiva meccanizzazione dei processi di filatura e tessitura. Nella macchina a vapore, la “epocale” invenzione perfezionata da James Watt nel 1769,
erano condensati tutti i requisiti dell’industrialismo: la presenza nel processo di strumenti meccanici in grado di compiere lavori fino ad allora svolti dall’uomo, l’uso di fonti energetiche svincolate dalle forze animali e naturali, la subordinazione del lavoro umano alle regole imposte dal ciclo industriale, la titanica capacità del sistema di fabbrica di produrre ingenti quantità di merci. Intanto nascevano le prime grandi fonderie di ferro, di ghisa e di acciaio, per fornire materia prima all’invenzione
della locomotiva, perfezionata da George Stephenson nel 1829, che avrebbe dato la spinta al moltiplicarsi delle reti ferroviarie, fittamente districate in Europa già negli anni Ottanta. Tra il 1830 e il 1850 sono già presenti gli elementi della seconda fase di industrializzazione, che investirà la società mondiale agli inizi del XX secolo. Il cambiamento si manifesta non solo nei sistemi produttivi e tecnologici, ma anche nelle forme di aggregazione degli uomini e nelle condizioni della vita quotidiana. La metalmeccanica assumeva un ruolo di guida nel lavoro di fabbrica, imponendo il graduale passaggio alla catena di montaggio, foriera per l’operaio del distacco
dal processo produttivo, della sua dequalificazione e conseguente riduzione del salario, ma per l’imprenditore di un amento vertiginoso della produttività. Andava diffondendosi il termine “proletariato”, riferendosi a quanti non avevano altro
patrimonio che la prole che dovevano sfamare, e su questo terreno comune seppero organizzarsi con sindacati ed associazioni politiche operaie, un movimento di crescente auto-coscienza, sul quale intellettuali borghesi formularono le
prime teorie del socialismo (emblematici Robert Owen “padre del socialismo”, Charles Fourier e le teorie di Marx ed Engels).
L’inarrestabile progresso tecnico assumeva intanto un ritmo incalzante, quando le nuove fonti di energia diedero una spinta propulsiva alla produzione. Fondamentali furono la produzione e la trasmissione a distanza dell’energia elettrica e l’invenzione del motore a scoppio, affiancate dallo sviluppo della chimica e dei nuovi processi per la produzione dell’acciaio. Con il ramificarsi delle reti di comunicazione (ferrovie, navi, telegrafi), i meccanismi di mercato si erano perfezionati
in modo da alimentare il gioco della concorrenza e configuravano una mappa del mondo su nuovi criteri, ancora oggi considerati parametri di sviluppo: reddito nazionale, produzione industriale, livello tecnologico, stabilità monetaria. Ai vertici si ponevano Gran Bretagna, Germania, che dal 1870 cominciò ad aumentare il volume delle esportazioni nei
settori industriali più moderni (acciaio, attrezzature elettriche, produzioni chimiche), Stati Uniti e Giappone, protagonista di una incalzante trasformazione dopo la caduta dello shogunato.


SCENARIO Gli anni del taylorismo

Una seconda fase di industrializzazione si colloca all’indomani della Grande Guerra ed è caratterizzata dal taylorismo, dal nome di Taylor (1856-1915), ingegnere statunitense che si era applicato allo studio del maggior rendimento possibile della macchina, portando alle estreme conseguenze il principio della divisione del lavoro proclamato
da Adam Smith. Naturalmente, mentre l’Europa stentava a riprendersi dai problemi del dopoguerra, furono gli Stati Uniti a beneficiarne, entrando in un euforico decennio di straordinario benessere, che vide sorgere edifici sempre più alti, come
l’Empire State Building, il cinema conquistare il grande pubblico, con i primi grandi divi come Rodolfo Valentino e Charlie Chaplin. Egli già manifestava silenziosamente contro la perfetta applicazione delle teorie tayloristiche, che trionfavano nella catena di montaggio delle grandi fabbriche automobilistiche di Ford, capaci di immettere sul mercato un altissimo numero di macchine a basso prezzo.


SCENARIO Boom

Il secondo dopoguerra è caratterizzato da un’esplosione demografica e produttiva, da una fitta serie di innovazioni scientifiche e tecniche che hanno mutato i costumi e la qualità della vita dei nostri giorni, rendendoli profondamente diversi da quelli delle generazioni che ci hanno preceduto. Nel giro di mezzo secolo la popolazione è più che raddoppiata,non tanto per l’aumento del tasso di natalità, quanto per il drastico abbassamento della mortalità, dovuto ai progressi
della medicina e delle misure igieniche.A questa domanda l’industria ha potuto dare una risposta adeguata grazie alle larghissime disponibilità di una fonte
di energia, il petrolio, che il mercato offriva in quantità apparentemente inesauribili e a basso costo.
Lo sviluppo dell’Occidente industriale si è giovato delle nuove tendenze di politica economica che nel secondo dopoguerra, liquidando quel che sopravviveva delle strutture autarchiche e protezionistiche, hanno promosso la liberalizzazione degli scambi.


Mercati globali

La fine del XX secolo ha visto una terza fase di industrializzazione, dominata dall’introduzione dell’informatica e della robotica. La figura dell’operaio tende a sparire a favore di quella del tecnico specializzato che controlla i processi della macchina, mentre aumenta il settore dei servizi e del commercio, che rovescia numericamente a proprio favore il tradizionale prevalere del settore industriale. Naturalmente non tutti gli Stati vivono una crescita omogenea: ad un estremo le aree del benessere (Stati Uniti,Canada, Giappone, Australia e la quasi totalità dell’Unione Europea), protagoniste assolute della ricerca tecnologica nei
settori strategici quali l’elettronica, le telecomunicazioni, le biotecnologie, l’industria chimica; all’opposto quelle della povertà (il Centro e l’Est dell’ Africa, India, Cina) in cui rientrano i tre quinti della popolazione mondiale; in mezzo (America Latina, il Sud dell’Africa ed Estremo Oriente) una situazione di difficile lettura per Paesi in via di sviluppo.
Tuttavia l’aspetto dominante dei giorni nostri è la globalizzazione, una omologazione nelle scelte e nei consumi delle nazioni, e la diffusione di società multinazionali, organismi in grado di superare le barriere territoriali alla ricerca di manodopera a basso costo e nuovi mercati, ed affermate al punto di produrre un quinto del prodotto interno lordo mondiale.


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