MONTALE

MONTALE

Nel 1925 pubblica la prima raccolta poetica OSSI DI SEPPIA e nello stesso anno firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce (delirio comunista). La sua distanza dal fascismo è sia di ordine morale che di ordine estetico. Si oppone al fatto che Mussolini intendesse giustamente rinnovare l’Arte ponendosi nell’Arte come l’uomo provvidenziale e” distribuendo  premi e prebende (privilegi) ai buoni, impartendo sanzioni disciplinari a coloro che erano indipendenti”. Si oppone al fatto che bisognava essere in linea con il partito. Montale rifiutò questo perché riteneva che l’arte non potesse prescindere dal senso del bene e del male. Entrato nel gabinetto culturale Vieusseux a Firenze, dovette abbandonarlo nel 1938 essendosi rifiutato di prendere la tessera del partito fascista.

Nel 1939 viene pubblicata dall’editore Einaudi la raccolta LE OCCASIONI, curata da Cesare Pavese e da Leone Ginzburg.

Alla fine della seconda guerra mondiale ha il primo e unico contatto diretto con la politica attiva, infatti si iscrive al Partito d’azione, dal quale ben presto si allontanerà. Si trasferisce a Milano dove collabora con Il  corriere della sera e nel 1956 pubblica la terza raccolta, costituita da poesie scritte durante la guerra: LA BUFERA  E ALTRO ( il primo nucleo, che si intitola FINISTERRE , era stato pubblicato a Lugano clandestinamente).

Nel 1971 esce SATURA. Nel 1975 riceve il premio Nobel. Muore nel 1981.

 

UNA POETICA DELLE COSE

 

Anche la scelta di Montale cade sulle “piccole cose”, lungo una linea che ha i suoi maggiori antecedenti in Pascoli e Gozzano.

Gli oggetti, le voci della natura diventano per lui degli emblemi in cui è trascritto il destino dell’uomo, nelle sue rare gioie e speranze, ma soprattutto nella infelicità di una condizione esistenziale  che non può offrire certezze o speranze. La realtà è regolata da leggi necessarie e deterministiche, di cui gli uomini non colgono il senso, perciò l’esistenza appare priva di significato. In una delle sue prime liriche (“Meriggiare pallido e assorto”) egli rappresenta infatti la vita come un cammino continuo, assurdo e monotono lungo una muraglia che ha “in cima cocci aguzzi di bottiglia “ e che quindi non può essere valicata per ritrovare al di là una spiegazione che la giustifichi.

Come per Leopardi, vivere è insomma compiere gesti vani, dietro ai quali sta il nulla, ma in Montale non c’è una rivolta dell’io, una protesta eroica contro l’assurdo destino dell’uomo, c’è solo una “triste meraviglia”, cioè una presa di coscienza della  infelice condizione umana.

Di fronte a questa realtà negativa , però, il Poeta non si rassegna e attende “il miracolo”, ossia un evento imprevisto e liberatore che porti la salvezza; questo potrà essere soltanto il ritrovamento di “una maglia rotta” che consenta di fuggire da una vita inerte, priva di libertà.

 

FUNZIONE DELLA POESIA

 

La poesia, proprio perché riflette una realtà inconoscibile, non può indicare la strada per uscire da questa situazione, non può insegnare nulla, trasmettere verità o dare certezze, non può che rispecchiare il cosmico male di vivere. Montale rifiuta non solo l’immagine tradizionale del poeta-vate, ma anche ogni concezione della poesia come fonte di educazione e di elevazione spirituale.Quindi la sua poesia

non è un  Canto (come era per Leopardi negli Idilli) = libera espressione dell’io;

non è  educativa, pedagogica (il poeta non è un poeta-vate);

non batte sul valore fonico della parola (come D’Annunzio e spesso Pascoli);

ma batte sul significato della parola = attraverso gli oggetti esprime la sua concezione della natura e dell’esistenza  (correlativo oggettivo).

 

CORRELATIVO OGGETTIVO

Gli oggetti sono emblemi della realtà ; attraverso gli oggetti il poeta esprime la sua visione del mondo, i suoi pensieri, i suoi sentimenti e questo avviene con la mediazione della ragione (mentre Pascoli aveva  un rapporto intuitivo e soggettivo con gli oggetti).

La tecnica del correlativo oggettivo è presente nel poemetto di ELIOT “Terra desolata”, in cui il poeta anglo-americano descrive la crisi del mondo moderno privo ormai dei valori tradizionali autentici, arido e desolato, concretizzando i suoi sentimenti e stati d’animo in immagini e figure.

Nella poesia montaliana “Spesso il male di vivere”il male di vivere non è espresso con un concetto, ma con presenze concrete: un rivo strozzato,una foglia accartocciata, un cavallo stramazzato.

 

Ossi di seppia

Simboleggiano l’aridità dell’universo montaliano, attraverso la traccia di ciò che resta dopo l’azione di erosione della natura, ma alludono anche al carattere povero dell’ispirazione che appare per lo più circoscritta nelle linee di un paesaggio ligure arido, brullo, scavato dal sole.

Non chiederci la parola

 

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

L’animo nostro informe,e a lettere di fuoco

Lo dichiari e risplenda come un croco                           dichiari = lo renda chiaro

Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Croco:   è bianco, giallo, violetto, ma le lettere di fuo-

Ah l’uomo che se ne va sicuro,                                       co fanno pensare al giallo-oro.

agli altri e a se stesso amico,

e l’ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!

 

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,

sì qualche storta sillaba e secca come un ramo,

codesto solo oggi possiamo dirti,

ciò che non siamo, ciò che non vogliamo                     solo la negazione è possibile: l’incertezza non consente

dichiarazioni positive.

 

E’ una dichiarazione di poetica. E’ costituita da tre quartine con versi di varia lunghezza rimati. L’ultima quartina ha rima alternata (A B A B), rispetto alle altre due  che è incrociata ( A B B A ).

E’ sottinteso “tu”: Montale si rivolge a  un ipotetico lettore, il che significa che non viene meno la comunicazione tra lettore e poeta ( cosa che avverrà con i poeti ermetici. Ermetismo = poesia oscura, che non comunica). “Ci”: include lui stesso e gli altri poeti in questo pronome personale, quindi il verso significa : non chiedere a noi poeti di definire con precisione ciò che abbiamo nel nostro animo “informe”( = senza forma, cioè senza certezze politiche e religiose ) e di scrivere versi che diano gioia, come la vista del fiore di croco in un arido campo.

Montale, in altre parole, dice che la parola di cui lui dispone non è positiva, in grado di definire la natura dell’uomo, di dare certezze. A chi non ha certezze non si può chiedere una parola che a lettere di fuoco (cioè chiare, radiose, splendenti) risplenda nel prato, oggetto – emblema di una realtà arida, priva di certezze. Questa aridità, che ritroviamo anche nell’immagine dello “scalcinato muro” è l’espressione del male di vivere.

 

“Uomo che se ne va sicuro”è l’espressione dell’uomo  comune, non problematico, che non si pone le domande esistenziali. E’ l’uomo perfettamente integrato, in pace con sé e con gli altri, perché non ha incertezze sulla sua identità e non si rende conto della negatività dell’esistere. Non si accorge della sua parte oscura (“Ombra”), della problematicità dell’esistenza.

 

“Formula”: non chiederci una parola che ti riveli la verità, chiedici soltanto qualche sillaba storta, deforme, inaridita, cioè non parole  positive, edificanti, luminose (parole che aprono alla verità).

 

Storta sillaba” : unica espressione che può uscire da un animo informe, che non ha certezze. La poesia di Montale all’inizio è una poesia metafisica che si interroga, però la verità è assente e se è assente vuol dire che Dio è nascosto, latente (teologia negativa).

SPESSO IL MALE DI VIVERE. Emblema del correlativo oggettivo. Si spezza la monotonia del verso tradizionale. Si presenta il male di vivere con  parole che fanno riferimento ad oggetti  emblema del male di vivere e sono parti della natura. Gli oggetti danno l’idea dell’aridità, della  fatica. La “r” e la “z” indicano l’aridità (si vede il dantismo di Montale: Dante aveva scritto Canzoni petrose con rima dura, “petrosa”, con le gutturali).

Tre sono  gli oggetti – emblema; 1) il  rivo strozzato, rivo soffocato, impedito nel suo scorrere. ;

2) la foglia riarsa (senso di morte); 3) il cavallo stramazzato.

Montale non ci racconta il male di vivere con astrazioni concettuali, ma lo presenta concretamente attraverso tre oggetti. Non c’è nessuna forma di bene se non  il miracolo che permette la divina indifferenza. L’indifferenza è “divina”, perché è propria degli dei e permette di non provare passioni, di distaccarci dalle passioni, di rimanere estranei  (stoicismo).

Le immagini del bene, della divina indifferenza sono:la statua (insensibile al calore del meriggio; senso dell’aridità esistenziale) ; 2) la nuvola, 3) il falco (libero nel cielo). Simmetria nella terna di oggetti e nella collocazione degli enjambement.

 

Le Occasioni

Il titolo allude all’accadere di eventi cui è attribuito un particolare rilievo, in quanto potrebbero mutare il corso monotono dell’esistenza. Il miracolo, qui, non può compiersi per il poeta, al quale non resta che affidare agli altri, a figure femminili, la sua esile speranza.

La figura femminile ha molteplici nomi: Annetta- Arletta, Clizia, La Volpe, ma indica sempre una non rassegnazione , una resistenza al male di vivere attraverso l’amore come ricerca di salvezza.Questa figura sotto il nome prevalente di CLIZIA (nella mitologia = girasole) appare come un angelo sceso in terra a riportare la vita e la speranza. E’ una figura salvifica come Beatrice.

 

Non recidere, forbice, quel volto.  . Il tema del ricordo,  della  memoria; angoscia di non riuscire a custodire l’immagine della donna, che svanisce poco a poco, che è sempre meno chiara. Il ricordo  è una ferita, un’esperienza dolorosa che viene espressa da un’immagine, un  oggetto : la FORBICE che taglia il volto o il colpo d’ACCETTA che cala sull’acacia ferendola. . Non possiamo mantenere vivi i ricordi dentro di noi .

”Il guscio di cicala” :ricordo vuoto, che sta per svanire.

Memoria che si sfolla” : che cancella i ricordi, i quali sono come una folla di immagini . La “nebbia” serve ad indicare lo svanire dei ricordi.E’ doloroso uccidere tra tanti ricordi proprio quest’ultima immagine cara.  L’io assiste impotente al dramma dell’annientamento dei ricordi, così  come l’acacia subisce la  potatura . E’ il distacco da qualcosa che era vivo che reca dolore.

 

La bufera e altro

Nella raccolta “La bufera e altro”, che allude alla guerra e al dopoguerra, il poeta sostiene che la guerra , il nazismo e il fascismo sono esperienze tragiche e terribili, ma passano; contribuiscono al male ma non sono il male : il male di vivere è nell’esistenza stessa.

In questa raccolta  abbiamo la trasformazione di  CLIZIA  in chiave completamente divina. Ella diventa nei suoi versi: IRIDE ( messaggera degli dei),la DONNA DIVINA,  CRISTOFORA (= immagine di Cristo). E’ l’angelo che guida l’uomo nella esistenza terrena, nel purgatorio terreno.

In questa raccolta si  intravede la religiosità di Montale, che  significa interrogarsi, dubbio e tormentata ricerca.

Montale arriva a credere che qualcosa deve pur permanere nello stravolgersi dei fenomeni  e della storia.Ciò che resta è una sua  fede, non di abbandono ad una religione tradizionale, ma un debole lumicino di speranza, un rifiuto di credere che tutto venga travolto. In questo contesto Clizia o Iride diventa una figura salvifica.

 

Satura

L’ultima produzione di Montale è Satura. Il titolo fa riferimento ad un genere letterario latino e racchiude un doppio significato: quello di Satira, genere basso in cui la sintassi è più semplice ed il lessico dimesso e quotidiano e quello che indica una mescolanza di cose svariate. Montale affronta quei temi diversi ed in particolare la polemica contro il mondo contemporaneo dominato dai mass media e dal consumismo.

In Satura ci sono due sezioni dedicate alla memoria della moglie Drusilla Tanzi e intitolate XENIA. Nella Grecia classica xenia erano i doni per gli ospiti invitati al banchetto.

I testi poetici sono doni che egli fa alla moglie morta. Negli Xenia c’è il ritratto della donna lontana perché chiusa  nell’altra vita ma nel contempo vicina e presente nella trama dei ricordi sollecitati dalla quotidianità, pertanto l’immagine della donna ne esce desublimata, cioè non ha più le ali, non è più una creatura angelica, non è più la Cristofora –Iride. Ma la moglie ha  una sua saggezza tenera che gli ha permesso di accettare la realtà e di  vivere.

 

Caro piccolo insetto

 

Caro piccolo insetto

che chiamavano mosca non so perché,

stasera quasi al buio

mentre leggevo Deuteroisaia

sei ricomparsa accanto a me,

ma non avevi occhiali,

non potevi vedermi

né potevo io senza quel luccichio

riconoscere te nella foschia.

 

Metro : versi di varia lunghezza, fra le sette e le dodici sillabe. Le rime e le consonanze sono rare e intenzionalmente dimesse.

“quasi al buio”: l’ora topica del ritorno dei morti.

“Deuteroisaia” : è la seconda parte del libro biblico di Isaia

“Non avevi gli occhiali”: Mosca era molto miope.

 

La donna è un piccolo insetto: abbassamento, desublimazione della donna-angelo

Il poeta non vede la donna ma ne sente la presenza.

“Non avevi occhiali”: Mosca non vede bene, mentre la donna-angelo vede le sfere oltremondane e cerca di aprire al poeta uno spiraglio del mondo divino. In lui c’è sempre l’aspirazione metafisica, anche se non trova risposta.

Il luccichio delle lenti è l’abbassamento prosastico del luccichio degli occhi della donna-angelo, abbassamento di ciò che nella donna-angelo era luminoso. Quello di Mosca è un  luccichio tenue, terreno, un luccichio che gli ha permesso di affrontare la vita.

Nonostante l’impossibile contatto e riconoscimento, Mosca è ricomparsa accanto al poeta. Qualcosa di più forte l’ha fatta ricomparire.

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