EPISODIO DELLE ARPIE NELL ENEIDE

EPISODIO DELLE ARPIE NELL ENEIDE


-Nell’Eneide si racconta che contro le Arpie lottarono gli Argonauti, i primi marinai mitici. Sconfitte da due di loro – Zeto e Calai, figli del vento di

Borea – si rifugiarono nelle Strofadi dove le incontra Enea, approdato su queste isole dopo tre giorni di naufragio (III, 209-262):

Servatum ex undis Strophadum me litora primum excipiunt. Strophades Graio stant nomine dictae Celaeno Harpyaeque colunt aliae, Phineia postquam

insulae Ionio in magno, quas dira

clausa domus mensasque metu liquere priores.

Tristius haut illis monstrum nec saevior ulla

pestis et ira deum Stygiis sese extulit undis.

Virginei volucrum vultus, foedissima ventris

proluvies uncaeque manus et pallida semper

ora fame.

Huc ubi delati portus intravimus, ecce

laeta boum passim campis armenta videmus

caprigenumque pecus nullo custode per herbas.

Inruimus ferro et divos ipsumque vocamus

in partem praedamque Iovem; tum litore curvo

extruimusque toros dapibusque epulamur opimis.

At subitae horrifico lapsu de montibus adsunt

Harpyae et magnis quatiunt clangoribus alas

diripiuntque dapes contactuque omnia foedant

immundo, tum vox taetrum dira inter odorem.

Rursum in secessu longo sub rupe cavata

arboribus clausam circum atque horrentibus umbris

instruimus mensas arisque reponimus ignem;

rursum ex diverso caeli caecisque latebris

turba sonans praedam pedibus circumvolat uncis,

polluit ore dapes. Sociis tunc arma capessant

edico et dira bellum cum gente gerendum.

Haut secus ac iussi faciunt tectosque per herbam

disponunt enses et scuta latentia condunt.

Ergo ubi delapsae sonitum per curva dedere

litora, dat signum specula Misenus ab alta

aere cavo. Invadunt socii et nova proelia temptant,

obscenas pelagi ferro foedare volucres.

Sed neque vim plumis ullam nec vulnera tergo

accipiunt celerique fuga sub sidera lapsae

semesam praedam et vestigia foeda relinquunt.

Una in praecelsa consedit rupe Celaeno,

infelix vates, rumpitque hanc pectore vocem:

“Bellum etiam pro caede boum stratisque iuvencis,

Laomedontiadae, bellumne inferre paratis

et patrio Harpyas insontis pellere regno?

Accipite ergo animis atque haec mea figite dicta,

quae Phoebo pater omnipotens, mihi Phoebus Apollo

praedixit, vobis Furiarum ego maxima pando.

Italiam cursu petitis ventisque vocatis:

ibitis Italiam portusque intrare licebit;

sed non ante datam cingetis moenibus urbem,

quam vos dira fames nostraeque iniuria caedis

ambesas subigat malis absumere mensas”.

Dixit et in silvam pinnis ablata refugit.

At socii subita gelidus formidine sanguis

deriguit; cecidere animi nec iam amplius armis,

sed votis precibusque iubent exposcere pacem,

sive deae seu sint dirae obscenaeque volucres.

Mi accolgono dapprima in salvo dalle onde le rive

delle Strofadi; sono denominate Strofadi, con nome greco,

le isole del vasto Ionio, che la crudele Celeno

e le altre Arpie abitano, dopo che la casa di Fineo

si chiuse, e per paura lasciarono le antiche mense.

Non v’è mostro più infausto di quelle; nessuna peste

più crudele o maledizione divina uscì dalle onde stigie.

Virginei volti su corpi di uccelli, nauseante profluvio

di ventre, artigli adunchi e pallida sempre

la faccia di fame.

Come, arrivati qui, entrammo nel porto, ecco

vediamo floridi armenti di buoi sparsi nei campi

e senza alcun custode un gregge di capre tra l’erba.

Assaliamo col ferro e chiamiamo a parte della preda

gli dei e lo stesso Giove; allora sulla curva spiaggia

disponiamo giacigli e banchettiamo con laute vivande.

Ma improvvise con orribile discesa dai monti compaiono

le Arpie e scuotono con grandi strida le ali,

ghermiscono i cibi e lordano tutto con immondo

contatto; s’odono lugubri strida tra il lezzo.

Imbandiamo di nuovo le mense in una profonda rientranza

sotto una cava rupe, racchiusa intorno da alberi

e da ombre emergenti, e riponiamo il fuoco sulle are:

di nuovo da una diversa parte del cielo, e da ciechi nascondigli,

vola la turba sonora intorno alla preda con unghie

adunche e insozza i cibi con la bocca. Allora ai compagni

ordino di prendere le armi e di combattere la crudele

genia. Fanno com’è comandato, e dispongono

le spade celate nell’erba e nascondono gli scudi.

Dunque, appena esse discesero per la curva spiaggia e produssero

strepito, Miseno dall’alta vedetta emette il segnale

con il cavo bronzo. I compagni assalgono e tentano

nuove battaglie, di ferire col ferro i sudici uccelli del mare.

Ma esse non ricevono offesa nelle piume, o ferite

sul dorso, e volate con rapida fuga alle stelle

lasciano la preda semidivorata e le sozze vestigia.

Sola si fermò su un’altissima rupe Celeno,

infausta profetessa, ed eruppe questa voce dal petto:

Guerra, anche, per la strage dei buoi e gli abbattuti

giovenchi, o figli di Laomedonte, guerra vi preparate a portare

e a scacciare dal patrio regno le innocenti Arpie?

Accogliete dunque nell’animo ed imprimete queste parole:

ciò che il padre onnipotente predisse a Febo,

e Febo Apollo a me, io, massima delle Furie, svelo.

Voi navigate verso l’Italia e la invocate seguendo i venti:

giungerete in Italia e potrete entrare in porto;

ma non cingerete di mura la città destinata

prima che una terribile fame e l’offesa fatta

con l’aggredirci vi costringa a consumare con le mascelle

le rose mense”.

Disse, e levatasi sulle ali, fuggì nella selva.

Ai compagni per l’improvviso terrore si rapprese gelido

Il sangue; caddero gli animi, e non più con le armi,

ma con voti e preghiere esigono di chiedere pace,

siano dee, o sinistri e sudici uccelli”.


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