EPISODIO DELLE ARPIE NELLA DIVINA COMMEDIA

EPISODIO DELLE ARPIE NELLA DIVINA COMMEDIA

Nell’Inferno della Divina Commedia la visione di Dante delle Arpie è tutta ispirata all’Eneide. Esse vivono e nidificano, infatti, nella selva dei suicidi, che avendo fatto violenza su se stessi in modo innaturale “sradicandosi” dalla vita, nell’inferno dantesco, sono condannati a sopportare la condizione innaturale di uomini-albero. Condizione, questa, che Virgilio aveva invece riservato a Polidoro, per non aver ricevuto degna sepoltura dopo essere stato ucciso.

Anche la descrizione è molto simile a quella dell’Eneide:

“Non fronda verde, ma di color fosco;

non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;

non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco:

non han sì aspri sterpi né sì folti

quelle fiere selvagge che ‘n odio hanno

tra Cecina e Corneto i luoghi cólti.

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,

che cacciar de le Strofade i Troiani

con tristo annunzio di futuro danno.

Ali hanno late, e colli e visi umani,

piè con artigli, e pennúto ‘l gran ventre;

fanno lamenti in su li alberi strani.” (Inferno, XIII canto, 4-15)

Da segnalare:

  • L’aggettivo “brutte”riferito non alla bruttezza delle Arpie, ma alla bruttura di cui sono sozze e del bruttare che fanno, è reminiscenza del racconto virgiliano.
  • “… con tristo nunzio di futuro danno…”: si accenna qui alla profezia presente nell’Eneide, fatta da Celeno ai troiani, annunziando loro la fame crudele che doveva travagliarli.
  • Ali hanno late…”: Dante riprende qui qualche spunto della descrizione virgiliana.
  • “… alberi strani.”: ricordando i clamori delle Arpie virgiliane (vox dira), l’aggettivo “strani”è da intendersi con ogni probabilità riferito non agli alberi, ma ai lamenti, con il significato di “terrificanti”.
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