DANTE ALIGHIERI VITA E OPERE

DANTE ALIGHIERI VITA E OPERE

La Vita

Nacque a Firenze da una famiglia guelfa della piccola nobiltà nel 1265. Frequentò nella sua giovinezza Brunetto Latini il cui insegnamento politico e civile era molto influente a Firenze. Fu amico di Guido Cavalcanti e di altri Poeti stilnovisti con i quali condivise l’ideale di una cultura aristocratica e di raffinata poesia.

In questo periodo egli scrisse delle rime in onore di Beatrice la donna che amò fin dalla adolescenza. La morte di Beatrice avvenuta nel 1290 fa cadere Dante in una profonda crisi spirituale e nello stesso tempo rappresenta il suo inserimento nella vita politica del comune fiorentino.

Dopo la morte di Beatrice Dante si dedica agli studi di filosofia e alla composizione della “Vita Nuova”, in cui racconta la storia del suo amore per Beatrice, comincia a scrivere rime morali e allegoriche. Per partecipare alla vita politica del suo comune Dante si iscrisse alla corporazione dei Medici e degli Speziali nel 1295 in ossequio agli ordinamenti di giustizia di Giano della Bella.

Quest’ultimi erano rivolti contro i nobili i quali venivano esclusi dal governo del comune e favorivano coloro che erano iscritti a una corporazione di arti e mestieri. La carriera politica di Dante vide il suo culmine nel 1300 quando fu nominato priore. In questo periodo Firenze era dilaniata dalle lotte tra due fazioni guelfe: i Bianchi più accetti al popolo e i Neri più vicini alla classe nobiliare.

Anche il Papa Bonifacio VIII si inserì nella lotta con lo scopo di estendere il proprio dominio sulla Toscana con l’aiuto dei Neri. Nel 1301 il Papa inviava a Firenze il fratello del re di Francia con la scopo in apparenza di portare la pace, ma in realtà per sconfiggere i Bianchi e assicurare il trionfo dei Neri. Dante in questa occasione fu prescelto fra i tre ambasciatori inviati dal comune a Roma con lo scopo di placare il Papa.

Durante la sua assenza i Neri conquistarono il potere tra violenze, uccisioni e saccheggi. Dante in un processo indetto dai Neri contro gli avversari politici fu condannato ad una multa, all’esilio per due anni sotto le false accuse di baratteria, cioè di appropriazione indebita di denaro pubblico, di azione ostile al Papa volte a turbare la pace della città. Non essendosi presentato a discolparsi fu condannato a essere bruciato vivo se fosse caduto nelle mani del comune.

Tra il 1304 e il 1307 durante l’esilio forse per mostrare il proprio prestigio, la propria cultura, e la propria elevatezza morale scrisse il “Convivio” e il “De vulgari eloquenzia”. Le due opere rimasero incomplete.

Nel 1310 durante la discesa in Italia di Arrigo VII imperatore del Sacro Romano Impero che voleva affermare la sua autorità sull’Italia scrisse la “Monarchia”, trattato politico in cui Dante esprime le sue concezioni politiche. Dante dopo la vittoria dei Neri sui Bianchi non rivide più Firenze perché rifiutò una amnistia concessa agli esuli nel 1314 e nel 1315 perché accettarla significava una ammissione di colpevolezza contraria alla sua dignità.

Dante trascorse gli ultimi anni della sua vita ospite di Cangrande della Scala a Verona e di Guido Novello da Polenta a Ravenna dove morì nel 1321.

 

La Vita Nuova

E’ un’antologia che raccoglie le rime giovanili di Dante con i capitoli in prosa che le commentano. Tema dell’opera è la storia del suo amore per Beatrice. Il poeta racconta di aver visto Beatrice per la prima volta all’età di nove anni e di ricavare da quell’incontro un’immagine indimenticabile di lei. La rivide dopo nove anni ed ella lo salutò. Quest’incontro costituì per Dante la rivelazione dell’amore che egli nutriva per Beatrice.

In seguito mentre pensava a Beatrice ebbe un sogno in cui il Dio amore aveva Beatrice in braccio mentre dormiva. Il Dio amore dopo aver fatto presente a Beatrice di essere il suo signore la svegliò, le fece mangiare il cuore del poeta e dopo stringendola fra le braccia e piangendo se ne andò con lei verso il cielo.

In quell’occasione Dante compose un sonetto nel quale si rivolse ai poeti, cioè ai fedeli d’amore chiedendo loro un’interpretazione del suo sogno. Gli rispose Guido Cavalcanti che da quel momento gli divenne amico. Nella parte iniziale il racconto procede secondo gli schemi del galateo cortese. Dante racconta lo sforzo che egli compiva per nascondere a tutti l’oggetto del suo amore e come successivamente per questo motivo finse di amare due donne dette dello “schermo”, perché servivano a nascondere il suo vero sentimento agli occhi degli indiscreti e dei curiosi.

Con la seconda donna Dante condusse tanto avanti la finzione che la gente cominciò a sparlare e Beatrice sdegnata gli tolse il saluto nel quale consisteva tutta la felicità del poeta. Ma attraverso la sofferenza l’amore di Dante per Beatrice si rafforza. Si tratta di un amore che non consiste nella ricerca dell’appagamento, ma nella contemplazione della bellezza e della virtù della donna amata, nella lode di lei. E’ questo il momento in cui Dante compone le “Rime della loda”, esaltazione della perfezione e della bellezza di Beatrice.

L’ultima parte della “Vita nuova” contiene l’oblio di Beatrice. Mentre dopo la morte dell’amata il poeta si aggira sconsolato tra le vie della città è attratto dallo sguardo di una giovine donna che mostra pietà verso di lui e il suo dolore. A poco a poco, il suo animo si inclina verso di lei e invano l’amore antico si sforza di contrastare quello nuovo.

Ma una visione in cui al poeta appare Beatrice come egli la vide la prima volta tronca il desiderio del nuovo amore per la donna pietosa. Poco dopo appare a Dante una mirabile visione di Beatrice, dopo la quale egli si propone di non parlare più di lei fino a quando non sarà capace di dire quello che mai non fu detto di alcuna. Dante in quest’opera non racconta la sua concreta biografia di quegli anni ma appare volto al raggiungimento di un ideale di amore e di poesia concepito come amore unico, totale.

Anche Beatrice non ha una consistenza narrativa. Di lei si nota soltanto un saluto, un sorriso, un viso color di perla. La sua bellezza non è descritta sensibilmente ma si coglie attraverso lo stupore che prova, che suscita nell’animo di Dante. Beatrice è una creatura che ha attinto la perfezione da Dio, per cui la sua bellezza è rivelazione del bene.

Si può dire che Beatrice è l’amore di Dante per lei sono prefigurazione della realtà ultraterrena che dà compimento al vivere. Anche l’amore è concepito in funzione ultraterrena in quanto è prefigurazione di un amore più alto quello di Dio. Si tratta di un amore che è superamento di superbia, ira, egoismo, amore di sé, è anelito verso il bene.

In questo libro Dante non descrive una storia d’amore, ma l’essenza di esso ossia, lo slancio della persona verso il bene e la felicità. L’opera ben si inserisce nella concezione medievale del mondo influenzata dal cristianesimo secondo il quale la creazione è un atto d’amore che si conserva in virtù di un istinto ad amare implicito in ogni essere.

L’opera rientra anche nell’ambito della poesia cortese stilnovistica infatti Dante nella prima parte del libro riprende la concezione dell’amore cortese, della teoria dell’amore come sconvolgimento o morte tipica del Cavalcanti fino ad arrivare al Guinizzelli di cui accoglie l’identificazione di amore e nobiltà, e l’idea dell’amore come mezzo di perfezione morale.

L’originalità della teoria che Dante ha sull’amore consiste nel fatto di affermare che il vero amore risiede nell’amare una persona non per un vantaggio che se ne può ottenere, ma per ciò che essa è. Si tratta di un amore disinteressato come quello divino volto alla scoperta nell’altro della dignità e della nobiltà di creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio.

Amare Beatrice significa dunque amare una perfezione che ne riflette una più alta.

 

Il Convivio

Fu scritto tra il 1304 e il 1307. E’ composto di quattro trattati. Nel primo il poeta esprime gli scopi e i caratteri della sua opera. Egli intende ímbandire un banchetto di sapienza rivolto a coloro che si sono allontanati dagli studi, cioè dalla conquista della filosofia e della sapienza che portano l’uomo alla perfezione a causa delle preoccupazioni della vita terrena.

Lo scopo di Dante nello scrivere quest’opera è quello di fornire un contributo per lo stabilirsi nel mondo di una convivenza umana serena fondata sul culto della ragione, della giustizia e delle più alte virtù morali. Secondo Dante solo la filosofia, poiché ci spiega le ragioni della nostra vita, può avviarci su questa strada. Ma è necessario che la filosofia esca dal chiuso delle scuole dei religiosi e dalle solitarie meditazioni dei dotti per penetrare in strati sociali più vasti, fra i laici che componevano la classe dirigente del comune. Per questo motivo l’opera a differenza dei trattati filosofici e scientifici del tempo non è scritta in latino ma in volgare.

Nel secondo trattato Dante racconta come è nato in lui l’amore per la filosofia. Addolorato per la morte di Beatrice egli cercò conforto nella lettura dei libri di Cicerone e di Boezio, dalla quale scaturì un amore nuovo, quello per la filosofia vagheggiata come donna gentile che dona salute e felicità allo spirito. La donna gentile era apparsa anche nella “Vita nuova”, mentre là rappresentava un’infedeltà alla memoria di Beatrice, qui simboleggia un’ascesa dell’anima di Dante verso la verità e la perfezione morale.

Il terzo trattato contiene l’elogio della sapienza considerata come fine supremo dell’uomo e l’amore per la verità si afferma come uno degli ideali più alti insieme alla giustizia del poeta.

Nel quarto trattato Dante si allontana dalla meditazione dei problemi filosofici-teologici per dedicarsi ai principi di moralità. Argomento è la nobiltà, vista non più come aristocratico privilegio ma conquista individuale. In questo trattato appare una prima sistemazione del pensiero politico di Dante cioè l’esaltazione dell’impero voluto da Dio considerato come una società di uomini amanti della virtù necessaria per raggiungere una vita terrena perfetta ed ordinata.

Il trattato forse è rimasto interrotto per l’affermarsi di una nuova ispirazione, la composizione della “Divina Commedia”.

 

Il De vulgari eloquenzia

E’ contemporanea al “Convivio” e fu scritta allo scopo di offrire un trattato sull’arte dello scrivere in lingua volgare agli scrittori. E’ scritta in latino ed è composta di due libri. Nel primo Dante fa una distinzione tra la lingua volgare, variabile e mutevole soggetta al mutamento spazio-temporale e il latino la lingua dotata di regole fisse ed immutabili codificate nella grammatica. Dei due linguaggi il più nobile è il volgare perché è il più naturale. Secondo Dante esso originariamente era comune a tutti gli uomini ed era la lingua ebraica.

Dopo l’episodio della torre di Babele e la confusione delle lingue voluta da Dio per punire gli uomini si ebbero tre lingue diverse: la greca ad oriente, la germanica nell’Europa settentrionale ed una terza lingua nell’Europa meridionale, che ha dato origine a tre nuove lingue: quella d’oc o provenzale, quella d’oil o francese, quella del si o italiano.

Dopo aver indicato le somiglianze tra queste tre lingue che hanno una comune origine Dante restringe il discorso all’italiano e classifica quattordici dialetti ma nessuno dì questi è degno di essere considerato come lingua letteraria nazionale.

Il volgare illustre di cui parla Dante è un linguaggio nazionale capace di imporsi sul variare dei dialetti, non nel parlare quotidiano, ma nelle più alte espressioni di cultura e di arte. Questa lingua è stata creata secondo Dante dai poeti di Sicilia e di Toscana fino agli stilnovisti.

Il volgare è illustre perché racchiude in sé lo splendore dell’arte, è cardinale perché è come il cardine sul quale si fondano i volgari municipali, è aulico perché se noi italiani avessimo in Italia una corte sarebbe il solo degno dì essere parlato in essa, curiale perché è la lingua che si attua nella curia o nella corte, che rappresenta il centro di cultura e quindi l’anima della nazione.

Nel secondo libro Dante afferma che il volgare illustre deve essere usato per gli argomenti nobili cioè quelli che esprimono le più alte finalità dell’animo umano: prodezze d’armi, amore e virtù. A questi argomenti si addice lo stile elevato o tragico e la forma metrica della canzone.

  

La Monarchia

E’ un trattato in tre libri scritti in latino composto al tempo della venuta in Italia dell’imperatore Arrigo VII tra il 1310 e il 1313 di argomento politico.

Nel primo libro Dante dimostra la necessità della monarchia universale. Solo un unico imperatore può assicurare al mondo la giustizia e la pace, la pratica delle qualità spirituali dell’uomo, meta del vivere terreno e premessa indispensabile alla beatitudine celeste. La monarchia universale non implica un assorbimento di tutti gli stati in uno solo, ma lascia sussistere tutte le organizzazioni politiche precedenti per cui compito dell’imperatore è quello di amministrare la giustizia fra i popoli attraverso una legge comune tratta dall’insegnamento dei filosofi.

Il secondo libro contiene la dimostrazione che la suprema autorità imperiale è da attribuirsi al popolo romano perché l’impero di Roma fu voluto dalla provvidenza divina allo scopo di garantire al mondo l’unità e la pace per fare in modo che gli uomini fossero meglio disposti ad accogliere la rivelazione cristiana. Ciò è attestato secondo Dante dagli esempi di virtù di cui è ricca la storia romana, dal fatto che il popolo romano prevalse sugli altri attraverso la lotta in cui si manifesta la volontà divina e infine dal fatto che Cristo accettò di nascere sotto il dominio romano e di essere condannato a morte dall’autorità romana.

Nel terzo libro Dante affronta il problema del rapporto che deve intercorrere tra le due supreme potenze terrene: imperatore e pontefice. Egli afferma che sia l’autorità imperiale sia quella pontificia derivano direttamente da Dio e quindi l’una non deve interferire nell’altra. Due sono le nature dell’uomo quella corruttibile rappresentata dal corpo e quella incorruttibile dall’anima quindi duplice è il fine dell’uomo: la felicità terrena e quella terrestre. Per questo motivo Dio ha voluto sulla terra due guide distinte ed autonome volte a condurre l’uomo ad uno stato di perfezione ciascuna nella propria sfera. Come il nostro destino terreno è legato a quello ultraterreno così le due guide sono complementari infatti se l’imperatore garantisce la pace e la concordia all’umanità, quest’ultima è meglio disposta ad accogliere l’insegnamento del pontefice che la conduce verso Dio. Anche l’imperatore in quanto uomo deve al Papa filiale riverenza.

  

Le Epistole

Vennero scritte in latino tra il 1304 e il 1319. Importante è quella inviata a Cangrande della Scala nella quale il poeta inviando in dono a quel signore il Paradiso esponeva la struttura, il significato allegorico e le finalità della Commedia, commentava l’inizio della terza cantica.

Importanti sono anche le lettere politiche di cui le più notevoli furono scritte durante il tentativo di restaurazione dell’autorità imperiale compiuto da Arrigo VII tra il 1310 e il 1313 in Italia. In quest’occasione Dante invio una lettera ai re, principi e popoli di Italia affinché accogliessero Arrigo VII e lo riconoscessero come loro imperatore, una seconda fu inviata ai fiorentini che si opponevano ad Arrigo VII; una terza all’imperatore affinché portasse a compimento l’impresa.

 

 Le Rime

Contengono la raccolta delle liriche non comprese nella “Vita nuova” e scritte dal poeta lungo tutto l’arco della sua vita. Non costituiscono un canzoniere unitario né sul piano tematico né su quello formale. Si possono dividere in quattro gruppi:

  1. comprende le rime di natura cortese e stilnovistica;
  2. comprende le rime allegorico-dottrinali e morali;
  3. comprende le rime vicine allo stile comico di Cecco Angiolieri;
  4. comprende le rime che sono dette “Petrose” perché scritte in uno stile aspro e difficile volto ad esprimere la violenza dell’amore passionale. Si oppongono alle rime stilnovistiche e sono così dette dal nome della donna Pietra che resistette all’amoroso desiderio del poeta.

  

La Divina Commedia

La Divina Commedia è un poema in terzine di endecasillabi suddiviso in tre cantiche “Inferno, Purgatorio, Paradiso”, ciascuna di trentatré canti, tranne la prima che ne ha un trentaquattresimo che è il prologo generale.

Il suo argomento, stando alla lettera di Dante a Cangrande è “la condizione delle anime dopo la morte”. L’opera fu scritta a partire dal 1306 e conclusa verso la fine della vita del poeta. Dante chiamò il suo poema con il nome di commedia, i posteri vi aggiunsero l’epiteto di divina.

Il termine commedia indicava secondo la cultura del tempo di Dante una forma di narrazione che da un inizio turbato pervenisse a un finale lieto. Nel caso dell’opera di Dante infatti dall’Inferno si passa al Paradiso. Il sostantivo commedia presupponeva anche che il poema fosse scritto in uno stile “umile”, opposto a quello “alto” della tragedia, il componimento caratterizzato dal finale triste e dall’alto livello formale.

Nell’epistola inviata a Cangrande Dante spiega che l’umiltà dello stile consiste nel fatto che la lingua usata nel poema è il volgare della comunicazione quotidiana. La struttura del poema è quella del viaggio-visione da cui il protagonista trae ammaestramenti scientifici, morali e religiosi.

Si usa chiamare questi poemi didattico-allegorici, il termine didattico allude all’insegnamento dottrinale, il secondo al fatto che questo insegnamento non è presentato direttamente ma attraverso una rappresentazione fantastica o favolosa che in apparenza significa un’altra cosa. Ad esempio nel primo canto dell’Inferno Dante parla dell’assalto recatogli da una lupa magra e famelica che lo spinge verso le tenebre. Ma non si tratta di un animale reale ma la lupa impersona il peccato della cupidigia cioè il desiderio di ricchezza e dominio che porta all’offuscamento della ragione spingendo l’uomo verso l’inferno.

Altri momenti allegorico sono rappresentati dai tre regni dell’oltretomba. Infatti l’inferno rappresenta lo smarrimento della grazia, il Purgatorio il cammino per ritrovarla e il Paradiso la piena fruizione di essa.

 

Inferno

Il viaggio di Dante inizia nel venerdì santo del 1300 l’anno in cui il Papa Bonifacio VIII aveva indetto un grande Giubileo cioè un rituale di purificazione dell’umanità.

Nel giorno della morte di Cristo, Dante si trova nella selva del peccato, cerca di imboccare la via di un colle che rappresenta la vita virtuosa, ma ne è impedito da tre fiere la lonza, il leone e la lupa che rappresentano tre peccati: la superbia, la cupidigia e la violenza. Queste tre fiere spingono Dante verso la tenebra. Mentre egli sta per abbandonarsi alla disperazione lo soccorre Virgilio il grande poeta latino mandato da Beatrice che gli rivela che per la salvezza sua e di tutti gli uomini egli dovrà percorrere i tre regni dell’oltretomba guidato da lui nell’Inferno, nel Purgatorio fino al Paradiso terrestre e poi da Beatrice. Virgilio rappresenta la ragione umana, Beatrice la fede che perfeziona e completa la ragione dell’uomo.

Nel secondo canto dell’Inferno il poeta presenta il suo viaggio straordinario come terzo dopo quello di Enea agli Inferi di cui parla Virgilio nel VI libro dell’Eneide e quello di San Paolo al Terzo Cielo raccontato dall’apostolo stesso. Il viaggio di Enea servì alla fondazione dell’impero romano che ebbe la funzione di garantire al mondo la giustízzia e la pace. Il viaggio di San Paolo servì a fondare la fede cristiana, quindi la chiesa. Il viaggio di Dante serve a far ritrovare alle due guide decadute cioè alla chiesa e all’impero la coscienza delle loro funzioni e della loro complementarità.

L’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso hanno nel poema una precisa struttura geografica. Inferno è una voragine che si apre in un punto indeterminato dell’emisfero Boreale, unica parte del globo abitata, secondo la cultura del tempo, e giunge al centro esatto della terra, dove sta conficcato nel ghiaccio, simbolo di assenza totale di vita, Lucifero, un mostro gigantesco con tre teste e sei ali. Ognuna delle sue bocche lacera un peccatore: Bruto e Cassio, traditori di Cesare e quindi dell’impero, e Giuda traditore di Cristo.

La voragine infernale ha forma di imbuto ed è suddivisa in nove cerchi ognuno dei quali accoglie un tipo di peccatore. Da prima c’è una specie di vestibolo, la riva dell’Acheronte, dove si radunano i dannati per essere condotti dalla barca del demonio Caronte al luogo del giudizio, poi nove cerchi. Il primo è il Limbo e comprende coloro che non conobbero Cristo nel senso che non furono battezzati perché vissuti prima dell’avvento del cristianesimo, il secondo è il cerchio dei lussuriosi, il terzo dei golosi, il quarto degli avari e dei prodighi, il quinto formato dalla palude del fiume Stige è il cerchio degli iracondi e degli accidiosi.

A parte il primo cerchio che accoglie i pagani negli altri si punisce il peccato di incotinenza cioè dell’amore esagerato ed esclusivo dei beni terreni. Segue poi la città di Dite dalle mura infuocate, in cui le Furie cercano di impedire il cammino di Dante e di Virgilio ma vengono disperse da un messo celeste. All’interno della città di Dite ci sono i rimanenti cerchi infernali, prima quello degli eretici, poi quello dei violenti e infine i due cerchi dei frodolenti che si suddivide in Malebolge dove si punisce il peccato della frode contro chi non si fida e quindi lusingatori, ladri e falsari, e quello della frode contro chi si fida o tradimento.

Giunti al fondo dell’Inferno Dante e Virgilio discendendo e poi risalendo lungo il corpo di Lucifero giungono alla montagna del Purgatorio situata nell’emisfero Australe occupato per la parte restante dalle acque.

Per quanto riguarda i peccati va rilevato che il loro ordinamento segue un’idea organica della vita morale. Quindi nella cantica sono poste in ordine degradante incotinenza, violenza e frode. L’incotinenza è un cattivo uso dell’amore naturale per il bene, la violenza nega l’amore, la frode aggiunge alla negazione dell’amore quella dell’intelligenza cioè della facoltà che rende maggiormente l’uomo simile a Dio in quanto la rivolge al male e cioè alla negazione totale dell’umano.

 

Purgatorio

La montagna del Purgatorio è divisa in sette corone circolari, luogo dì espiazione dei peccatori, secondo i sette vizi capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola e lussuria. Anche qui c’è un vestibolo o Antipurgatorio, dove sono in attesa coloro che furono lenti a convertire a Dio la loro vita.

All’ingresso del Purgatorio vero e proprio, un angelo incide sette P, uno per ogni peccato o vizio capitale sulla fronte dell’anime purganti, che poi espiano nei vari cerchi tutte le loro colpe compiendo una liturgia di pena del tutto volontaria, nel senso che rimangono in ogni cerchio fino a quando non avranno cancellato ogni memoria del peccato, ogni deformazione prodotta da esso nella loro anima.

Quando avranno ritrovato la totale purezza si muoveranno verso l’alto senza attendere ordini. Il primo luogo d’arrivo è il Paradiso terrestre, la spianata posta alla cima del monte, dove l’uomo ritrova la condizione in cui viveva appena creato cioè prima del peccato originale.

Dante compie anche egli con le anime un cammino di pena ed espiazione e con una di esse, finalmente libera, il poeta latino Stazio giunge al Paradiso terrestre custodito da Matelda simbolo della condizione nativa dell’anima umana. Qui ritrova Beatrice, mentre Virgilio lo lascia per tornare nel Limbo dopo aver proclamato la liberazione dell’intelletto e della volontà del discepolo.

Il poeta viene tuffato da Matelda nel fiume Letè che gli dona l’oblio totale del peccato e nell’Euno è che gli ridona la memoria del bene. Diviene cosi pronto per salire alle stelle e quindi con moto spontaneo dalla cima della montagna salirà verso, il Paradiso.

 

Paradiso

Dante sale per i nove cieli che costituiscono il Paradiso. Si tratta di cerchi che circondano la terra e le mandano degli influssi che garantiscono la conservazione e lo sviluppo costante della vita. Il loro movimento è regolato dalle intelligenze motrici, cioè dalle nove gerarchie angeliche che seguono un piano provvidenzialistico.

Il primo cielo è quello della Luna e comprende le anime che non portarono a compimento i loro voti perché vittime della violenza altrui, segue il cielo detto Mercurio in cui si trovano le anime che operarono avendo di mira l’onore e la fama prima che l’amore dovuto a Dio. Terzo cielo è quello di Venere dove si trovano le anime che, prima di volgersi all’amore divino, si lasciarono vincere da quello terreno. Dopo c’è il cielo del Sole dove ci sono gli spiriti che amarono la sapienza, nel cielo di Marte ci sono i martiri della fede, coloro che unirono ad un voto la fermezza nel perseguirlo fino all’olocausto, nel cielo di Giove ci sono coloro che operarono per la giustizia nel mondo, in quello di Saturno gli asceti che si dedicarono al puro amore divino.

Poi si ha il cielo delle stelle fisse dove Dante assiste al trionfo di Maria e di Cristo, segue il primo mobile o nono cielo in cui Dante ha una prima visione del rapporto tra Dio e gli angeli. Giunto all’empireo vede tutti i beati seduti in un grande anfiteatro immersi nella contemplazione estatica.

Qui a Beatrice succede come guida San Bernardo che indirizza Dante alla contemplazione dei più alti misteri: quello della Creazione e dell’Unità del mondo in Dio, Essere supremo, quello della Trinità e dell’Incarnazione.

Modelli di Dante per la composizione dell’opera furono la Bibbia e l’Eneide. Il personaggio-poeta Dante nel suo viaggio nell’oltretomba non è statico ma compie un cammino di formazione che lo porta ad assumere atteggiamenti diversi per i tre regni. Nell’Inferno ad esempio Dante è deciso ad allontanare da sé il male ma tuttavia prova pietà nei confronti dei dannati. Nel Purgatorio vive la stessa esperienza di purificazione e di pentimento delle anime fino a giungere alla riedificazione morale di sé. Nel Paradiso Dante si ritrova nella gloria di Dio insieme ai beati.

Per quanto riguarda i personaggi va rilevato che per intensità drammatica colpiscono i dannati i quali non hanno possibilità di riscatto. Si parla dei condannati dell’Inferno che presenta le figure più celebri del poema: Francesca da Rimini, Farinata, Pier delle Vigne, Ulisse e Ugolino.

Secondo Dante l’uomo nato da un Dio che è sommo bene e sommo amore e creato a sua immagine e somiglianza deve nella vita terrena tendere al bene, all’amore e alla felicità, cioè a Dio. Il peccato nasce dal fatto che gli uomini non riconoscono in Dio la suprema felicità e tendono a sostituirlo con la passione per un oggetto terreno limitato e caduco.

Questa scelta condiziona per sempre l’uomo, lo costruisce per l’eternità, infatti terminata la vita l’uomo si identifica con il suo peccato. Nell’Inferno le pene hanno un rilievo morale, nel senso che ripropongono ai dannati il loro peccato oggittivato.

Ad esempio Francesca che ha ceduto a quella che si chiama tempesta della passione, è travolta in eterno dalla bufera ed è per sempre con quel Paolo che fu il suo sogno di felicità ed ora è una realtà di rovina comune. Si tratta della legge dantesca del contrappasso in nome della quale. la pena riflette per analogia o per contrasto il peccato. L’Inferno si ambienta nell’oscurità, dove i dannati riproducono modi e gesti della vita terrena simulando vitalità fisica e consistenza corporea. In questa cantica frequenti sono i dialoghi con i dannati i quali sono individuati e dotati di spessore notevole.

Nel Purgatorio il paesaggio muta non è più sommerso dalla tenebra ma presenta albe e tramonti primaverili. Al marcato individualismo dell’Inferno sì sostituiscono i valori della coralità e della solidarietà.

Il paesaggio paradisiaco è il meno realisticamente determinato. Conosce la musica, lo splendore il modo perfetto dei cieli degli astri, la pura armonia dell’essere. Le cose sono disposte in modo da riflettere l’unità di Dio mente creatrice e ordinatrice che crea e conserva con un atto d’amore l’universo e le cose che lo compongono sono partecipi della divinità. La persona tende a rarefarsi.

Il significato più profondo della commedia consiste nel mostrare come sia nella esistenza più umile che in quella più illustre, sia nella grande storia che nella vicenda più quotidiana, Dio è presente perché tutti gli uomini sono fatti a immagine e somiglianza di Dio per cui per tutti vale la redenzione di Cristo.

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