Assassinio di Tiberio Gracco

Assassinio di Tiberio Gracco

Come attuatori della riforma Tiberio scelse due persone di fiducia oltre a se stesso: il suocero Appio Claudio, e suo fratello Caio.

Minacciato di morte e dovutosi procurare una scorta armata (mentre già larga parte della popolazione era già disposta a venire alle mani con gli scherani foraggiati dai senatori più conservatori), TIberio propose di confiscare le entrate tirbutarie della nuova provincia d’Asia (l’ex regno di Pergamo annesso come provincia nello stesso anno) per sovvenzionare l’acquisto degli strumenti di lavoro per i proprietari meno abbienti (spesso i poveri indicati dalla legge erano in realtà del tutto nullatenenti).

Il limite di sopportazione del senato era sempre più esiguo. Il protagonismo e l’attivismo esasperato di Tiberio, la sua determinazione, rischiava di spostare gli equilibri politici a scapito dell’antica dirigenza.

Il culmine si toccò quando Tiberio volle forzare ancora una volta la prassi e presentarsi per la rielezione a tribuno dell’anno successivo. Sebbene in passato alcuni tribuni fossero stati eletti per due anni di fila, per contrastare il pericolo che costituiva Tiberio e la sua legge, il senato prese a pretesto il fatto per accusare il tribuno di tendenza alla tirannide.

L’aristocrazia senatoriale decise di passare alle maniere forti. Riuniti un gran numero di sostenitori sul luogo dove si tenevano le assemblee popolari e dove Tiberio doveva presentare la sua rielezione, riuscirono a rinviare di un giorno l’assemblea.
Il giorno dopo anche i partigiani di Tiberio si erano riuniti attorno al loro rappresentante. Mentre l’assemblea popolare era in corso di svolgimento, la folla che stava con gli aristocratici, fomentata dal pontefice Scipione Nasica (sacerdote di un tempio lì vicino dedicato alla dea Fides) si gettò su Tiberio e la sua fazione. Lo stesso Tiberio e 300 dei suoi uomini morirono e vennero gettati di notte nel Tevere (era il 133 a.C.).

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