APPUNTI LA RIVOLUZIONE RUSSA

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Fra tutti gli sconvolgimenti politici e sociali provocati dalla prima guerra mondiale, la rivoluzione russa fu non soltanto il più violento e traumatico, ma anche il più imprevisto, almeno nei suoi sviluppi. In realtà, già prima dello scoppio del conflitto, erano in molti a pensare che il regime assolutistico degli zar non potesse resistere a lungo e fosse destinato a essere sostituito da forme di governo più adeguate ai tempi. Pochissimi, però, immaginavano che la caduta della monarchia avrebbe dato luogo al più grande evento rivoluzionario mai verificatosi nel mondo dopo la rivoluzione francese. Quando nel marzo 1917, il regime zarista fu abbattuto dalla rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado, la successione fu assunta da un governo provvisorio di orientamento liberale. Obiettivo dichiarato del governo era di continuare la guerra a fianco dell’Intesa e di promuovere nel contempo l’occidentalizzazione del paese sul piano delle strutture politiche e dello sviluppo economico. Condividevano questa prospettiva non solo i gruppi liberal-moderati che facevano capo al partito dei cadetti, ma anche i menscevichi che si ispiravano ai modelli della socialdemocrazia europea, e i socialisti rivoluzionari, che avevano solide radici nella società rurale russa e interpretavano le aspirazioni delle masse contadine a una radicale riforma agraria. Rappresentanti di tutti e tre i partiti entrarono, nel maggio ’17, nel governo provvisorio. Gli unici a rifiutare ogni partecipazione al potere furono i bolscevichi, ma anch’essi, colti di sorpresa dallo scoppio della rivoluzione, assunsero sulle prime una posizione di attesa. Il consenso o la neutralità, di tutte le forze politiche antizariste non furono tuttavia sufficienti per fondare su solide basi il potere del governo provvisorio e per evitare che alla caduta del vecchio regime seguisse lo sgretolamento dell’autorità centrale. Come già era accaduto nella rivoluzione del 1905, al potere legale del governo si era subito affiancato e sovrapposto il potere di fatto dei soviet: soprattutto di quello della capitale, che agiva come una specie di parlamento proletario, emanando ordini spesso in contrasto con le disposizioni governative. Quello che la rivoluzione aveva ormai messo in moto era un movimento di massa che respingeva l’idea di un’autorità centrale, era favorevole a un diffuso potere dal basso, e, soprattutto, voleva porre fine alla guerra. Questa era la situazione nell’aprile del ’17, quando Lenin, leader dei bolscevichi, rientrò in Russia dalla Svizzera dopo un avventuroso viaggio attraverso l’Europa in guerra. Non appena giunto a Pietrogrado, Lenin diffuse un documento in 10 punti, le cosiddette tesi di aprile, in cui poneva in termini immediati il problema della presa del potere, rovesciando la teoria marxista ortodossa, secondo cui la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata prima nei paesi più sviluppati. Per l’immediato l’obiettivo era di conquistare la maggioranza dei soviet (riconosciuti come unica legittima fonte del potere) e di lanciare le parole d’ordine della pace, della terra ai contadini poveri, del controllo della produzione da parte dei consigli operai. Questo programma, che rispecchiava uno stato d’animo diffuso fra le masse operaie e contadine, portò molti consensi al Partito bolscevico, ma lo allontanò ulteriormente dagli altri gruppi socialisti e dal governo provvisorio. Il primo episodio di esplicita ribellione al governo si ebbe a Pietrogrado a metà luglio, quando soldati e operai scesero in piazza per impedire la partenza per il fronte di alcuni reparti. Ma l’insurrezione fallì per l’intervento di truppe fedeli al governo. Alcuni leader bolscevichi furono arrestati, o come lo stesso Lenin costretti a fuggire. Per i moderati fu questo l’ultimo successo. A settembre, infatti, un tentativo di colpo di Stato militare fu represso dal governo presieduto dal socialrivoluzionario Kerenskij, che fece appello alle forze socialiste, ma a uscire rafforzati dalla vicenda furono soprattutto i bolscevichi, principali protagonisti della mobilitazione popolare che conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca.

La rivoluzione d’ottobre:

La decisione di rovesciare con la forza il governo Kerenskij fu presa dai bolscevichi in ottobre. Organizzatore e ente militare dell’insurrezione fu Lev Davidovic Bronstein, noto con lo pseudonimo Trotzkij, proveniente dalla sinistra menscevica, eletto in settembre presidente del soviet di Pietrogrado. La mattina del 7 novembre soldati rivoluzionari e guardie rosse (milizie operaie), circondarono il Palazzo d’Inverno, già residenza dello zar e ora sede del governo provvisorio, e se ne impadronirono la stessa sera, incontrando scarsa resistenza. L’attacco al palazzo d’inverno, destinata ad assurgere a episodio-simbolo della rivoluzione, come era stata la presa della Bastiglia del 1789- fu praticamente incruento: pochissime furono le vittime nei confusi che ebbero luogo nei corridoi e nei saloni dell’antica reggia. Nel momento stesso in cui cadeva l’ultima resistenza del governo provvisorio, si riuniva a Pietroburgo il Congresso panrusso dei soviet, cioè l’assemblea dei delegati dei soviet di tutte le province dell’ex Impero russo. Come suo primo atto il congresso approvò due decreti proposti personalmente da Lenin. Il primo faceva appello a tutti i popoli dei paesi belligeranti  “per una pace giusta e democratica senza annessioni e senza indennità”. Il secondo stabiliva in forma lapidaria che la grande proprietà terriera era “abolita immediatamente e senza alcun indennizzo”. Il nuovo potere tendeva così a garantirsi l’appoggio, o almeno la neutralità, delle masse contadine, accontentate nelle loro aspirazioni più elementari e immediate. Veniva frattanto costituito un nuovo governo rivoluzionario, composto esclusivamente da bolscevichi e di cui Lenin era presidente, che fu chiamato Consiglio dei commissari del popolo. La fulminea presa del potere da parte dei bolscevichi lasciò disorientate tutte le altre forze politiche. I menscevichi, i cadetti, e la maggioranza dei socialrivoluzionari protestarono vivacemente contro l’atto di forza, ma non organizzarono manifestazioni di aperto sabotaggio contro il governo rivoluzionario e preferirono puntare le loro carte sulla convocazione dell’Assemblea costituente, le cui elezioni erano state fissate per la fine di novembre. I risultati delle urne costituirono una gravissima delusione per i bolscevichi. Con circa nove milioni di voti, ottenuti per lo più nei grandi centri, essi ebbero infatti meno di un quarto dei seggi (175 su 707). Quasi scomparsi dalla scena i menscevichi e i cadetti, i veri trionfatori delle elezioni furono i socialrivoluzionari che si assicurarono la maggioranza assoluta con oltre 400 seggi, grazie al massiccio sostegno dell’elettorato rurale. Ma i bolscevichi non avevano nessuna intenzione di rinunciare al potere appena conquistato. Riunitasi per la prima volta in gennaio, la Costituente fu immediatamente sciolta grazie all’intervento dei militari bolscevichi, che ubbidivano a un ordine del Congresso dei soviet. Questo nuovo atto di forza era coerente con le idee espresse più volte da Lenin, che non credeva alle regole della “democrazia borghese” e riconosceva al solo proletariato il diritto di guidare il processo rivoluzionario, attraverso le sue repressioni dirette (soviet) e la sua avanguardia organizzata (il partito). Certo è che, con lo scioglimento della Costituente, il potere bolscevico rompeva definitivamente con le altre componenti del movimento socialista e con tutta la tradizione democratica occidentale, ponendo le premesse per l’instaurazione di una dittatura di partito.

Dittatura e guerra civile:

Se era stato relativamente facile per i bolscevichi impadronirsi del potere centrale, molto più difficile (per un partito che contava nel novembre ’17 circa 70000 iscritti su una popolazione di oltre 150 milioni di abitanti) si presentava il compito di gestire questo potere, di amministrare un paese immenso, di governare una società tanto complessa quanto arretrata, di affrontare i tremendi problemi ereditati dal vecchio regime, primo fra tutti quello della guerra. Convinti di poter conquistare in tempi brevi l’appoggio compatto delle masse popolari, i leader bolscevichi speravano di poter procedere rapidamente alla costruzione di un nuovo Stato proletario ispirato all’esperienza della Comune di Parigi, secondo il modello delineato da Lenin. Egli prevedeva che, una volta abbattuto il dominio borghese, lo Stato stesso si sarebbe avviato verso una rapida estinzione e le masse si sarebbero autogovernate secondo i principi di democrazia diretta sperimentati nei soviet. Per quanto riguardava la guerra, l’ipotesi su cui puntavano i bolscevichi era quella di una sollevazione generale dei popoli europei, da cui sarebbe scaturita una pace equa, “senza annessioni e senza indennità”. Ma questa ipotesi non si realizzò. E i capi rivoluzionari si trovarono a trattare in condizioni di grave inferiorità con una potenza che già occupava vaste zone dell’ex impero russo. La pace separata con la Germania, che fu conclusa il 3 marzo 1918 con la firma del durissimo trattato di Brest-Litovsk, era dunque per i bolscevichi una scelta realistica. Per imporla Lenin dovette tuttavia superare le perplessità di alcuni fra i suoi stessi compagni di partito e la violenta opposizione dei socialrivoluzionari. Le potenze dell’Intesa, da parte loro, considerarono la pace come un tradimento, per cui non solo appoggiarono le forze antibolsceviche, che si erano andate organizzando nel paese, ma inviarono contingenti militari al fine di alimentare la guerra civile. La prima minaccia venne dall’Est, dove l’ammiraglio zarista Kolciak assunse il controllo di vasti territori della Siberia: fu in questa circostanza che lo zar e tutta la sua famiglia furono giustiziati, nell’estate ’18, nel timore che fossero liberati dai controrivoluzionari. Altri focolai di ribellione si andavano frattanto sviluppando nel nord della Russia, dove più forte era la presenza di truppe dell’Intesa, e soprattutto nella regione del Don dove, oltre alle truppe dei monarchico-conservatori, i cosiddetti bianchi, era attivo un movimento di guerriglia guidato dai socialrivoluzionari. Per far fronte a tutte queste minacce, il regime rivoluzionario fu indotto ad accentuare i suoi tratti autoritari, lasciando da parte le utopie antimilitariste e i progetti di autogoverno popolare. Si era cominciato, già nel dicembre ’17 con la creazione di una polizia politica, la Ceka. Nello stesso periodo era stato istituito un Tribunale rivoluzionario centrale, col compito di processare chiunque disubbidisse al “governo operaio e contadino”. Nel giugno 1918 tutti i partiti d’opposizione vennero messi fuori legge e fu reintrodotta la pena di morte che era stata abolita subito dopo la rivoluzione d’ottobre. Si procedeva frattanto alla riorganizzazione dell’esercito, ricostituito ufficialmente nel febbraio ’18 col nuovo nome di Armata rossa degli operai e dei contadini. Artefice principale dell’operazione fu Trotzkij che , servendosi anche di ufficiali del vecchio esercito zarista, fece di quella che avrebbe dovuto essere una milizia popolare una potente macchina da guerra, fondata su una ferrea disciplina. La creazione di un esercito efficiente consentì alla Russia bolscevica di sopravvivere allo scontro con i suoi numerosi nemici. Nella primavera del’20, a parte qualche residua sacca di resistenza, le armate bianche erano sconfitte e la fase più acuta della guerra civile poteva considerarsi esaurita. Ma proprio nel momento in cui trionfava sui suoi nemici interni, il regime bolscevico dovette subire un inatteso attacco esterno. A sferrarlo, nell’aprile del 1920, fu la nuova Repubblica di Polonia, insoddisfatta dei confini definiti da Versasilles. La reazione dei bolscevichi fu rapida ed efficace tanto che l’Armata rossa giunse fino alle porte di Versailles. Ma, a fine agosto, una controffensiva polacca costrinse i russi a una precipitosa ritirata. Si giunse infine (dicembre 1920) alla conclusione di un armistizio e quindi alla pace, nel marzo 1921. La Polonia vide in parte accontentate le sue aspirazioni territoriali, incorporando ampie zone della Biellorussia e dell’Ucraina. La guerra contro l’aggressione straniera comunque accresciuto in Russia il senso di coesione nazionale, riavvicinando molti oppositori al regime sovietico, ormai identificato con una nuova “patria socialista”.

 La Terza Internazionale:

L’inattesa vittoria dei bolscevichi russi nella guerra civile rese possibile l’attuazione di un progetto che Lenin aveva concepito fin dall’inizio della guerra mondiale: sostituire alla vecchia internazionale socialista una nuova Internazionale “comunista”, che coordinasse gli sforzi dei partiti rivoluzionari di tutto il modo e rappresentasse, anche nel nome, una rottura definitiva con la socialdemocrazia europea, colpevole di aver tradito gli ideali internazionalisti. Già nel 1918, del resto, i bolscevichi avevano abbandonato l’antica denominazione di Partito socialdemocratico, a lungo contesa con i menscevichi, per quella di Partito comunista (bolscevico) di Russia. La riunione costitutiva dell’Internazionale comunista, o Terza Internazionale, come venne subito chiamata, ebbe luogo a mosca ai primi di marzo del 1919. La struttura e i compiti dell’Internazionale comunista furono fissati soltanto nel II congresso, che si tenne, sempre a Mosca, nel luglio del 1920. Il problema centrale fu rappresentato dalle condizioni cui i singoli partiti avrebbero dovuto sottostare per essere ammessi a far parte dell’Internazionale. Fu lo stesso Lenin a fissare le condizioni in un documento in ventuno punti. Vi si affermava fra l’altro che i partiti aderenti al Comintern avrebbero dovuto ispirarsi al modello bolscevico, cambiando il proprio nome in quello di Partito comunista, difendere on tutte le sedi possibili la causa della Russia sovietica, rompere con le correnti riformiste espellendone i principali esponenti. Condizioni così pesanti e ultimative suscitarono in seno al movimento operaio europeo accesi dibattiti e gravi lacerazioni con conseguenti scissioni.Fra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 fu comunque raggiunto quello che era stato lo scopo principale del secondo congresso: creare in tutto il mondo una rete di partiti ricalcati al modello bolscevico e fedeli alle direttive del partito-guida; fare della Russia un modello che avrebbe influenzato tutto il mondo, per sconfiggere definitivamente il capitalismo.

Gli scontri interni

Nel 1922 Stalin fu nominato segretario generale del partito comunista, pochi giorni prima dei primi sintomi di malattia di Lenin, che lo avrebbe presto portato all’inattività e poi alla morte. Dopo l’allontanamento forzato di Lenin cominciarono i primi problemi, riguardo la centralizzazione e la burocratizzazione del partito e del potere che si stava accentrando velocemente nelle mani del nuovo leader. A mettere un freno a questa rapida presa di potere di Stalin fu Trotzkij, che era, al tempo, il secondo capo bolscevica dopo Lenin, ed aveva avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione. Gli altri leader non appoggiavano la figura di Trotzkij, perché era “solamente” il secondo di Lenin, e non sembrava che questa figura potesse giovare ai propri partiti. Inoltre la figura di Trotzkij era associata ai massacri che avvenivano ai danni delle minoranze etniche asiatiche, accusandolo di capeggiare dei clan di estremisti razzisti russi (vedi). Quindi opposero a Trotzkij proprio Stalin, dando origine alla propaganda della figura del segretario.

Lo scontro tra Trotzkij e Stalin si fece più vivo dopo la morte, non solo riguardo la burocratizzazione, ma anche riguardo l’arretratezza industriale che, secondo Trotzkij, non aiutava a diffondere un’immagine che funga da modello per le altre rivoluzioni; bisognava, pertanto, accelerare i ritmi di industrializzazione, e favorire le rivoluzioni nell’occidente. Questa tesi fu definita rivoluzione permanente, e fu contrastata da Stalin stesso, forse anche per sminuire la figura di Trotzkij, che si era mostrato più volte un avversario scomodo. Stalin sosteneva che non ci fosse bisogno di diffondere subito il comunismo in tutto il mondo, e che per il momento sarebbe stata sufficiente l’Unione Sovietica per contrastare il capitalismo che occupava l’Occidente. Questa teoria, del socialismo in un solo paese, pur andando contro i principi bolscevichi, rappresentava i problemi interni reali che per primi andavano affrontati. L’idea di Stalin riscosse maggior successo, anche presso le nazioni europee, e Trotzkij si trovò sempre più emarginato.

Ma questa non fu l’unica diatriba che coinvolse Stalin prima del suo totalitarismo. Nel ’25 Zinov’ev e Kamenev espressero l’opinione che l’esperimento della NEP andasse interrotto, perché portava lentamente ad una rinascita del capitalismo. Queste teorie erano già state avanzate da Trotzkij, che però non ricevette attenzione. Stalin mise presto a tacere queste teorie, ed isolò i due, che presto si unirono a Trotzkij, per costituire un’unica opposizione (vedi manifesto). I leader dell’opposizione furono espulsi dal partito, con l’incarcerazione dei loro seguaci.

Così Stalin si ritrovava, non per caso, ad avere l’intero partito (l’unico) a suo favore, e poté così cominciare la scalata verso il potere assoluto.

 I Personaggi della rivoluzione

Lenin (Nikolaj), pseudonimo di Vladimir Il’ic UL’JANOV, uomo politico russo (Simbirsk 1870 – Gorkij 1924). Figlio d’un ispettore scolastico e di Marija Berg. Si laureò in legge a Pietroburgo (1891), e si iscrisse a un circolo marxista. Le sue energie migliori furono attratte sempre più dallo studio dei problemi politici ed economici dall’angolo visuale marxista. Redasse numerosi scritti polemici, come l’opuscolo Che cosa sono gli «Amici del popolo» e come lottano contro i socialdemocratici (1894). Lenin si pose un triplice obiettivo: unificare i marxisti e diffondere la loro dottrina, mantenere l’ortodossia delle teorie marxiste, impedire al movimento operaio di orientarsi verso un tipo di azione puramente corporativa e non politica per il conseguimento di vantaggi immediati tramite accordi con padroni. Arrestato, fu condannato a tre anni d’esilio in Siberia (1897-1900). Scontata la pena (gennaio 1900), rifugiatosi in Svizzera (1900), vi fondò il giornale Iskra. Nell’opera Che fare? (1902) egli precisò la tattica rivoluzionaria: la lotta politica doveva essere condotta dal proletariato con la prospettiva d’imporre la sua dittatura per un tempo indefinito. Al congresso socialdemocratico di Bruxelles, trasferito poi a Londra (1903), Lenin riuscì a far approvare di stretta misura le sue tesi, ma ne derivò una scissione tra i bolscevichi (maggioritari), e i menscevichi (minoritari). Da allora ebbe contro di sé i principali capi socialisti russi e stranieri. Dopo aver riorganizzato clandestinamente la frazione bolscevica, collaborò al giornale Pravda (La verità) di Pietroburgo. In questi anni scrisse una delle sue maggiori opere dottrinarie: Materialismo ed empiriocriticismo (1909). Durante la prima guerra mondiale denunciò la guerra come una lotta tra imperialismi rivali per la spartizione del mondo, non per la difesa della patria o dei valori morali (Imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1917). Bisognava trasformare la guerra imperialista in guerra civile. Quando in Russia scoppiò la Rivoluzione del 1917 (febbraio-marzo), Lenin si trovava in Svizzera. Sin dal suo arrivo in patria (3-16 aprile 1917) prese decisamente posizione contro il governo provvisorio e pubblicò le cosiddette Tesi di aprile. Queste chiedevano: pace immediata, tutto il potere ai Soviet, fabbriche agli operai e terra ai contadini. Sventati dal governo provvisorio i tentativi di sommossa di Pietrogrado del 4 maggio, Lenin che ne era stato l’ispiratore, fuggì in Finlandia, dove scrisse Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917). Poiché la situazione politica si deteriorava, tornato in segreto dalla Finlandia, egli spinse il comitato centrale del partito alla decisione di ritentare il colpo di forza. Assunse così con Trotzkij la guida dell’insurrezione che doveva concludersi vittoriosamente (8 novembre o 26 ottobre, secondo il vecchio calendario, da cui l’espressione «Rivoluzione d’ottobre»). Trasferiti la capitale e il governo da Pietrogrado a Mosca (12 marzo 1918), inaugurò la politica del «comunismo di guerra», con l’obiettivo di riorganizzare e migliorare il rendimento delle industrie. Poi fece approvare dal 5° congresso dei Soviet, la prima costituzione della Repubblica Federativa dei Soviet di Russia. Ma intanto a Mosca il malcontento esplodeva assumendo le proporzioni di una sommossa (primi di luglio del 1918). Lenin fece ricorso a drastiche misure. Nelle campagne i contadini risposero diminuendo la produzione, e Lenin si convinse allora della necessità di imporre una pausa al comunismo di guerra e di adottare una nuova politica economica (la NEP), basata su concessioni temporanee all’iniziativa privata. Il 30 dicembre 1922 il problema della nazionalità in Russia fu risolto con la trasformazione dell’antico Impero russo in Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Ma Lenin aveva già cessato di dirigere l’opera rivoluzionaria iniziata nell’ottobre 1917. Colpito da emiplegia, morì il 21 gennaio 1924. 

Trotzkij, pseudonimo di Lev Davidovic BRONSTEIN, uomo politico russo (Janovka 1879 – Coyoacán 1940). Arrestato dalla polizia zarista (1898) e deportato in Siberia (1900), riuscì a fuggire (1902) sotto il falso nome di Trotzkij (così si chiamava un carceriere della prigione di Odessa) e si trasferì a Londra. Scoppiata la rivoluzione del 1905, tornò in Russia e ricoprì diversi cariche direttive. Stipulò i negoziati di Brest-Litovski con la Germania e fondò l’Armata rossa. Sostenitore del dominio del proletariato si pose in contrasto con Stalin e fu esiliato. Fu ucciso in un attentato presso Città del Messico. 

Nicòla II (Carskoe Selo 1868 – Ekaterinburg 1918), ultimo zar di Russia (1894-1917), primogenito di Alessandro III e di Maria Fëdorovna (figlia di Cristiano IX di Danimarca). Nel novembre 1894 succedette al padre e poco dopo (nello stesso mese) sposò Alice d’Assia (che in Russia assunse il nome di Alessandra Feodorovna). Lo zar era di carattere debole, indeciso, facilmente influenzabile, persino travagliato da crisi mistiche che spesso lo ridussero in soggezione, oltre che della moglie, di ciarlatani vari (fra cui il monaco Rasputin). In politica estera N. II accentuò l’avvicinamento della Russia alla Francia e si rivolse a oriente in tentativi di espansione in Manciuria in contrasto con il Giappone. La successiva guerra russo-giapponese (1904-1905) si concluse in un disastro per la Russia. Una manifestazione di protesta sulla piazza di Pietroburgo fu repressa nel sangue (domenica rossa, gennaio 1905). Ne seguì un’ondata di rivolte e di scioperi che costrinse N. nell’ottobre 1905 a emanare un manifesto che annunciava la concessione di talune libertà costituzionali e di un’assemblea legislativa (duma), di fatto istituita l’anno successivo. La disastrosa condotta delle operazioni militari durante la prima guerra mondiale da parte dello SM russo e dello stesso zar costituì un’ulteriore occasione per l’acuirsi dei conflitti sociali sfociati nella Rivoluzione antizarista del marzo 1917, che costrinse N. II all’abdicazione. Con l’affermazione della Rivoluzione bolscevica, fu portato a Ekaterinburg dove, la notte del 16 luglio 1918, fu ucciso con tutta la famiglia nelle cantine della casa Ipat’ev, per iniziativa del locale soviet, forse in esecuzione di ordini superiori. 

Kerenskij (Aleksandr Fëdorovic), uomo politico russo (1881-1970). Avvocato, convinto assertore del revisionismo marxista, aderì al partito socialrivoluzionario e venne eletto alla duma del 1912. Fu tra coloro che convinsero il granduca Michele ad abdicare, dopo l’abdicazione di Nicola II, e divenne ministro della giustizia nel governo del principe L’VOV uscito dalla rivoluzione del febbraio-marzo 1917. L’ultima offensiva russa, detta «offensiva K.» (luglio 1917), fallì in seguito a un contrattacco tedesco e al rifiuto delle riserve di portarsi in linea. Dopo i disordini del luglio provocati da questa sconfitta, K. succedette a L’VOV come capo del governo provvisorio. Allo scopo di frenare la crescente pressione del movimento bolscevico, tentò di convocare un’assemblea costituente, ma, preceduto da Lenin, non fu in grado di prendere misure efficaci contro l’insurrezione d’ottobre. Fallito a Gatcina il tentativo di riconquistare la città, K. dovette fuggire (novembre 1917). Ritiratosi negli Stati Uniti, scrisse successivamente libri e articoli sui problemi politici della Russia, che in generale contengono sue autodifese, non sempre convincenti.


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