WATT IL PRIMO MOTORE A VAPORE

WATT IL PRIMO MOTORE A VAPORE

WATT IL PRIMO MOTORE A VAPORE


Prima venne il motore a vapore, poi venne subito il resto … Diderot infatti consiglia per gli “umani” operai la “catena di montaggio”

1763 James Watt,  motore a vapore a condensatore.

1782 stabilisce la prima unità di potenza, da lui chiamata cavallo-potenza.

Watt era un giovane meccanico con una officina a Glasgow. Gli venne un giorno portato a riparare un motore di Newcomen, costruito nel 1712, il primo che produceva un movimento meccanico, basato sul moto alternativo di un pistone dentro una camera, un “su e giù” che trasferito a una barra oscillante azionava una pompa. Ma non operava a ciclo continuo, perchè ad ogni movimento del pistone bisognava riscaldare e raffreddare nuovamente la camera che ospitava il cilindro. Quindi il motore di Newcomen non ebbe un grande impiego, proprio per questa operazione che era molto lenta. Fu in alcuni casi usato per aspirare acqua in alcune miniere, poi anche da quelle quasi abbandonato. Finì per essere utilizzato nei giardini per azionare fontane decorative.
Per Watt quel giorno fu la sua fortuna. Si appassiona al marchingegno e non solo ripara la macchina, ma studiandola bene gli scocca la scintilla geniale, e forse gli appare perfino banale; alla macchina che ha una camera ne congiunge un’altra, (il condensatore), cioè fa scorrere il vapore in due camere, una sempre calda e l’altra sempre fredda: il vapore arriva nel condensatore dopo aver spinto il pistone ed essere stato aspirato da una pompa, mossa dallo stesso meccanismo. In questo modo non c’è più bisogno di riscaldare e raffreddare sempre il cilindro, come avveniva nella macchina di Newcomen, ottenendo un enorme risparmio di combustibile e una efficacia (*) maggiore.

Il condensatore permette inoltre di operare a ciclo continuo, mentre con il motore di Newcomen al termine di ogni movimento del pistone bisognava riscaldare nuovamente il cilindro. In altri termini, è con questo sistema che Watt realizza il primo motore a vapore che contiene in nuce tutti gli elementi ancora in uso.
(ciclo continuo – è difficile dire che un moto alternato è “continuo”; lo è invece nelle macchine rotanti come le turbine, nelle quali non c’è l’arresto del moto dovuto al “tornare indietro” –Tuttavia, guardando il moto delle ruote azionate dal motore, abbiamo questa impressione).

Le invenzioni a seguire

Watt il suo motore lo brevetta, ma l’idea è così banale (quella di raddoppiare la camera) che tutti in breve tempo fanno un motore uguale al suo. E gli impieghi saranno i più vari.
NICOLAS CUGNOT lo utilizzerà per costruire nel 1769 il primo veicolo a motore: a tre ruote con una grande caldaia di rame in testa, che raggiunge i tre chilometri all’ora, ma ogni quarto d’ora deve fermarsi per esaurimento del vapore.

Il battello a vapore

Maggiore impiego con risultati soddisfacenti è invece la realizzazione di battelli a vapore.

E’ CLAUDE d’ABBANS a realizzare il primo, nel giugno del 1778, ma con scarsi risultati, perché la spinta la ottiene con una serie di palette che schiaffeggiano l’acqua (l’elica non è ancora nata).

Meno di dieci anni dopo, 18 marzo del 1786, John FITCH brevetta uno strano battello: con un motore Watt muove sei coppie di grandi remi, incernierati in alto su due travi che si muovono avanti e indietro. Questo battello inaugurerà anche una vera e propria linea da Filadelphia a Trenton. Ma non ha molto seguito l’idea di Fitch; per la delusione l’inventore finisce prima alcolizzato, poi suicida.
Sarà ROBERT FULTON a realizzare il primo vero battello a vapore, nel 1807, con una ruota a pale. Il giorno 17 agosto 1807 il suo “Clermont” (con un motore di 18 CV costruito dallo stesso Watt, ma sembra trafugato da Fulton – muoveva una ruota a pale da 4,57 metri di diametro) compie il viaggio inaugurale da New York ad Albany, lungo il fiume Hudson: 150 miglia percorse in 32 ore (sei volte meno del tempo di navigazione a vela). Nell’arco di trent’anni i battelli con le ruote (a poppa, poi invece sui due lati) fanno la loro comparsa in molti fiumi americani (e ancora sono attivi sul Mississippi).
Soltanto nel 1837 un altro geniale inventore, ERICSON, applica al suo battello “Francis B. Ogden” una vera e propria elica sommersa sott’acqua. Il vantaggio appare subito evidente. Il sistema adottato è basato su due cilindri controrotanti a pale oblique. Ma altri tipi nei successivi anni vengono sviluppati e migliorati. A fornire il suo Great Britain con questo nuovo sistema di propulsione a elica è ISAMBARD BRUNEL; intento nel 1840 a costruire il transatlantico, lo modifica applicandovi un motore a vapore che fa girare delle eliche sommerse. Il principio di propulsione non cambierà più: si modificheranno il motore (turbina a vapore, motore Diesel) e cambierà il combustibile (petrolio o energia nucleare), ma ancora oggi si usa l’elica (**).

La locomotiva

L’applicazione del motore a vapore su una locomotiva era invece già avvenuta nei primi anni dell’Ottocento. L’idea è di RICHARD TREVITHICK, figlio del proprietario di una miniera, che installa su un carro il motore di Watt. All’inizio andava su strada, poi, applicando l’idea ai carrelli su rotaie, nelle sue miniere, il 21 febbraio del 1804 realizza la sua prima ferrovia (di 10 miglia da Penydaron a Abercynon nel Galles meridionale) con la locomotiva, che compie il primo viaggio della storia in quattro ore e cinque minuti trasportando 70 persone e 10 tonnellate di ferro.

Il cavallo-potenza

Inizia insomma un’altra epoca, addio cavalli, le macchine iniziano a fare il lavoro che prima svolgevano i quadrupedi; infatti alcuni indicando queste macchine, dicono che lavora come un cavallo, e quelle potenti come tanti cavalli. Ma quanti?
Watt, scippato della fama per averla concepita, si rifà e passa alla storia, fissando nel 1781, proprio questa unità di misura.

Stabilì questa prima unità di potenza, da lui chiamata cavallo-potenza, misurando l’altezza alla quale il più robusto cavallo di Glasgow riusciva a sollevare in un secondo il peso di 150 libbre.
Questa altezza è di quasi quattro piedi e così Watt determina il cavallo-potenza (HP, cioè horse-power) come una potenza di 550 piedi x libbra al secondo.
Questa unità di potenza verrà poi chiamata in suo onore “Watt”. 
L’unità HP corrisponde a 745,7 Watt.

(Il valore qui scritto si riferisce al cavallo vapore in unità di misura inglesi (non più legali neanche in Inghilterra da più di 15 anni): 1 HP = 745,7 W (HP = Horse Power); in Italia l’unità di misura si indica (anche qui è illegale da decenni!) con la sigla CV e vale: 1 CV = 736 W (CV = Cavallo Vapore); il Watt è l’unità di misura della potenza nel sistema internazionale e vale: 1 W = 1 N x m / sec (N = Newton, unità di misura della forza nel sistema internazionale).

La potenza vanità (quando arriverà anche la prima vettura) fra poco si esprimerà non più con i cavalli veri con i cocchi al tiro di 2, 4, 6 quadrupedi, ma con il numero di HP; rimase infatti l’anacronistico Horse Power = potenza di tot cavalli.

Il regolatore centrifugo

Ma vogliamo ricordare anche un’altra invenzione di Watt, sempre dentro il suo motore. E questa non fu un’idea tanto banale. Anzi alcuni la ritengono la prima applicazione di quella scienza oggi conosciuta con il nome “cibernetica” (il cui padre é Wiener). Cioè le macchine che applicano da se stesse il controllo automatico del proprio processo.
L’invenzione di Watt è il “regolatore centrifugo”. Il suo motore, una volta partito, aumentava sempre di più la propria velocità, fino al punto di rompersi, a causa delle forze di inerzia. Watt introdusse all’interno un regolatore di velocità geniale, collegato all’albero motore: due levette con alle estremità delle sfere; queste per forza centrifuga della stessa macchina, girando sempre più velocemente, si alzano, e chiudono proporzionalmente la valvola del vapore. Questo stesso principio è ancora oggi utilizzato in tutti i motori: per esempio nei motori a benzina si trova dentro lo spinterogeno.

E la cibernetica è proprio questa: studia la progettazione e la realizzazione di sistemi artificiali avendo come obiettivo la realizzazione di sistemi in grado di autoprogrammarsi, cioè di realizzare automaticamente delle finalità.
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(*) Efficace è ciò che raggiunge lo scopo per il quale viene adoperato: una paletta di plastica e una pistola sono efficaci per uccidere le mosche; efficiente è ciò che raggiunge ugualmente lo scopo, ma utilizzando un mezzo adeguato alla bisogna: se la mosca è appoggiata sul viso di qualcuno, la paletta è certo più efficiente della pistola.

(**)  Ci sono anche altri sistemi di propulsione: a getto d’acqua, a getto di gas, a ventilatore, a cuscino d’aria, ma l’elica (a pale fisse, a pale orientabili, singole, a coppie, laterali per le manovre di attracco, ecc.) è tutt’ora il modo principale per muovere le imbarcazioni.

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Il motore a vapore e le fabbriche

Con l’utilizzazione del vapore fu trovato il modo di avere un’energia motrice potente, costante e utilizzabile ovunque. La macchina a vapore fu la prima macchina termica creata dall’uomo indipendentemente dalle fonti di energia primaria (mulini ad acqua e a vento) e controllabile con facilità e sicurezza. Essa trasformò rapidamente l’economia del paese e avviò un notevole sviluppo delle attività industriali. Inoltre l’uso sempre più crescente di macchine più grandi e complesse richiese la presenza di un numero sempre maggiore di operai concentrati nelle grandi fabbriche. Tutte queste persone avevano ruoli ben precisi, poiché l’industria adottò un nuovo metodo organizzativo (*) per mandare avanti la produzione: la divisione del lavoro. Molte erano le operazioni che l’operaio singolo doveva svolgere per produrre un qualsiasi oggetto e, il passare da un’operazione all’altra, comportava una grande perdita di tempo.

(*) Potrebbe sembrare un’idea (quella della “catena di montaggio”) degli industriali. Invece era quella degli “Illuministi”.

Leggiamo cosa suggeriva e scriveva Diderot sull’Enciclopedia alla voce Arte:

“La bontà della materie prime sarà il principale fattore della superiorità di una manifattura su un’altra, insieme con la speditezza del lavoro e con la sua perfetta esecuzione. La bontà dei materiali è questione di attenzione, mentre la speditezza e perfezione del lavoro sono soltanto in funzione del numero degli operai impiegati. Quando una fabbrica ha numerosi operai, ciascuna fase di lavorazione occupa un uomo diverso. Un operaio ha eseguito ed eseguirà per tutta la vita una sola ed unica operazione; un altro, un’altra; perciò ognuna è compiuta bene e prontamente, e la migliore esecuzione coincide con il minimo costo. Inoltre, il gusto e la destrezza (!) si perfezionano indubbiamente fra un gran numero di operai, poiché è difficile che non ve ne siano taluni capaci di riflettere, combinare e scoprire infine il solo modo che consenta loro di superare (!) i compagni: ossia come risparmiare il materiale, guadagnar tempo, o far progredire l’industria, sia con una nuova macchina, sia con una manovra più comoda”.

Sorge il dubbio che gli Illuministi “Non avevano compreso appieno il valore della rivoluzione industriale; non vedevano ancora i gravi conflitti economici che si sarebbero originati dalla nuova organizzazione della produzione; i problemi sociali non suscitano ancora un interesse molto grande nel Settecento, neppure fra i pensatori più progressisti; la preoccupazione fondamentale è, per il momento, un’altra: quella di agevolare l’iniziativa dei nuovi imprenditori di permettere che essi assumano in breve tempo una crescente forza economica”
Non si chiede per esempio Diderot, che interesse debba avere l’operaio – il quale non è proprietario o comproprietario dell’azienda, come lo era l’antico artigiano- a risparmiare il materiale, a guadagnar tempo o a far progredire l’industria; ne’ si rende conto della frustrazione psichica del lavoratore costretto a eseguire per tutta la vita una sola ed unica operazione (anche se “con maggior destrezza”).

Grazie alla divisione del lavoro, molti furono i vantaggi: innanzitutto un risparmio di tempo, perduto nel passare da una specie di lavoro ad un altro; secondo si riuscì ad aumentare l’abilità di ciascun operaio; terzo, ma non meno importante, l’invenzione delle macchine facilitò e abbreviò il lavoro.

Prima dell’avvio dell’industrializzazione la manifattura tessile inglese era di tipo artigianale e familiare. Si trattava per lo più di famiglie contadine che, nei mesi di pausa dai lavori agricoli, svolgevano semplici operazioni di filatura e tessitura, integrando i magri guadagni; la casa di queste famiglie fungeva da laboratorio, gli strumenti erano semplici, di legno, ma di proprietà del contadino-artigiano. L’incremento della popolazione fece crescere il fabbisogno di prodotti tessili, sia di lana, sia di cotone, che era il più economico. Per aumentare perciò la produzione occorreva introdurre nuove macchine e la concentrazione di lavoratori nelle fabbriche, dove la divisione del lavoro consentiva una più alta produttività. Una filatrice manuale poteva essere acquistata da un artigiano qualunque, poiché i costi non erano elevati, ma i nuovi macchinari, invece, avevano costi che nessuna famiglia di artigiani poteva permettersi. Solo i ricchi imprenditori, che avevano grandi capitali da impiegare, poterono sostenere la spesa per l’acquisto dei nuovi costosi macchinari e organizzare una fabbrica. Da ciò nacque il sistema fabbrica. Gli antichi artigiani, per sopravvivere, dovettero quindi abbandonare le campagne per andare a lavorare -spesso miseramente- nelle fabbriche della città.

A sua volta la sottrazione delle risorse umane nelle campagne, soprattutto nella miriade di piccoli poderi non ancora dotati di efficienti attrezzi e metodi di lavoro, causò una minore produzione agricola, e ciò -nelle grandi città – permise ai grandi latifondisti di trovare il modo più sbrigativo per soddisfare la domanda: l’aumento dei prezzi. Controllando bene i delicati equilibri, pur diminuendo la produzione, i profitti dei grandi latifondisti crescevano. Di proposito ma anche quando c’erano carestie, cattivi raccolti, guerre o catastrofi naturali come le alluvioni.

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