RIASSUNTO ADELCHI

RIASSUNTO ADELCHI

RIASSUNTO ADELCHI
Alessandro Manzoni


Compiuto Il conte di Carmagnola, dopo un esperimento con l’Ataulfo ambientato nella Gallia meridionale, Manzoni iniziò nel 1820 una nuova tragedia, l’Adelchi, che pubblicò a Milano nel 1822. Come Il Carmagnola, è in cinque atti e in endecasillabi. E’ preceduta da Notizie storiche, nelle quali Manzoni chiarisce le sue libertà poetiche nei confronti della verità storica. Afferma inoltre che interamente da lui creato è il protagonista, Adelchi. L’opera fu rappresentata a Torino nel 1843, dunque molti anni dopo la sua pubblicazione e, come afferma Vittorio Bersezio, si salvò a stento, grazie alla bravura degli attori e alla notorietà di cui Manzoni godeva. L’Adelchi è più adatto come lettura che per la scena.

Rappresenta l’ultimo atto della storia longobarda in Italia settentrionale, una storia che Manzoni interpreta e chiarisce in un’altra premessa all’opera, il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia. In questo saggio Manzoni, contrariamente a quanto affermava la critica storica, sostiene che i Longobardi, in due secoli di dominazione, non si erano fusi con gli Italici che continuavano a considerarli quali erano, cioè oppressori crudeli e spietati. Il primitivo intento di Manzoni, di vedere in Adelchi un possibile unificatore dell’Italia, muta sostanzialmente nella tragedia.

La vicenda ha una durata storica di tre anni e ha inizio nella reggia di Pavia, dove sono Desiderio re dei Longobardi e suo figlio Adelchi, associato al regno. Lo scudiero Vermondo annuncia la venuta di Ermengarda che il marito Carlo ha ripudiata. Questo è l’antefatto: i due figli di Pipino, Carlo Magno e Carlomanno, avevano sposato le due figlie di Desiderio, Ermengarda e Gerberga. Morto Carlomanno, il primogenito, a cui toccava il regno secondo la legge dei Franchi Salii, la moglie e i due figlioletti, di cui Carlo era tutore in attesa che salissero legittimamente al trono, furono da questo rimandati a Desiderio. Carlo si impadronì del regno, quindi ripudiò la moglie Ermengarda e sposò Ildegarde.

All’inizio della tragedia Desiderio, che ha già occupato alcuni territori del papa, vorrebbe costringerlo ad ungere re dei Franchi i suoi nipoti, mentre Adelchi preferirebbe fare pace con il pontefice ed evitare la guerra con i Franchi. Carlo è in Val di Susa e, non riuscendo a trovare un passaggio per il suo esercito, si accinge a tornare indietro. Aveva deciso di venire in Italia, chiamato dal papa Adriano I contro i Longobardi. Giunge da Carlo il diacono Martino che indica un passaggio segreto, per il quale una parte dell’esercito franco potrà passare inosservata e prendere alle spalle i Longobardi. Alcuni duchi longobardi intanto, in casa di un oscuro soldato, meditano di tradire Desiderio e di accordarsi con Carlo. Nello scontro decisivo i Longobardi sono sconfitti. Ermengarda muore delirando nel convento di S. Salvatore a Brescia, di cui è badessa sua sorella Ansberga. Desiderio, tradito da uno dei suoi, è prigioniero di Carlo. Adelchi, trafitto a morte, catturato e poi condotto alla tenda dove è rinchiuso il padre, lo conforta della comune sventura, indicandogli quel Regno dei Cieli, al quale non aprono le porte onori e potenza sulla terra. Egli afferma che amara legge della storia è fare il torto o subirlo. Aldilà di questa legge è solo pace nella volontà di Dio.

La tragedia presenta personaggi psicologicamente ben definiti e ricchi di sfumature. Da un lato sono i potenti, accecati dalle passioni, dal desiderio di vendetta (Desiderio) e dalla brama di potere (Carlo); dall’altra gli uomini dal grande animo, come Adelchi, che riconosce di non avere alcun diritto sull’Italia: ma egli deve combattere per conservare il dominio, come longobardo e re. Altrettanto ben delineato è il personaggio di Ermengarda, nel cui animo, nell’ora della morte, si aggrovigliano il ricordo di gioie passate, la sofferenza per l’offesa fattale dal marito e un bisogno di pace. Ella morirà come vittima innocente che paga le colpe della sua gente. Altri personaggi costituiscono la massa degli umili, cioè di coloro che subiscono dolorosamente gli eventi voluti dai grandi. Tra questi si distingue Anfrido, lo scudiero di Adelchi, fedele incondizionatamente al proprio signore fino al sacrificio. La tragedia ha due Cori. Il primo

Dagli atri muscosi, dai fori cadenti

presenta gli Italici che si illudono di raggiungere con un nuovo Signore la libertà soffocata dai Longobardi e non si rendono conto che, accordatisi Longobardi e Franchi, si ritroveranno soggetti a due padroni. Un popolo _è questa la tesi di Manzoni _non può ricevere la libertà da altri: il riscatto è solo nella difesa della propria dignità e nell’impegno ad affermarla. Il secondo coro

Sparsa le trecce morbide

rappresenta il travaglio di Ermengarda agonizzante ed espone con estrema chiarezza la concezione manzoniana della provvida Sventura.

Te collocò la provvida

sventura in fra gli oppressi


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