PITAGORA APPUNTI SCUOLA

PITAGORA APPUNTI SCUOLA

PITAGORA APPUNTI SCUOLA


E’ considerato il primo matematico puro della storia. A differenza di altri matematici greci, dei quali sono noti sia i titoli delle opere che i contenuti, di Pitagora non ci è giunto alcuna opera scritta (e nemmeno eventuali titoli). Sembra addirittura che tutto il suo insegnamento abbia avuto un carattere completamente orale. La comunità scientifico-religiosa che egli guidò mantenne uno standard di segretezza elevato, tale da far considerare i suoi membri come componenti di una vera e propria setta, con connotazioni talmente elitarie da suscitare persecuzioni. Nella sua scuola si riscontra un evidente influsso di credenze e filosofie orientali. Oltre che di matematica, egli si occupò intensamente di magia, di astrologia, di filosofia, di musica, di astronomia, di riti occulti e pare anche di medicina, tutte cose che danno credito all’affermazione di suoi viaggi in Oriente.


Una delle prime notizie sulla sua vita, riguarda il fatto che suo padre, commerciante originario di Tiro (Si­ria), ottenne per riconoscenza dalla città di Samo la cittadinanza per aver portato colà un carico di grano, in tempo di carestia. Un’altra storia dice che durante la sua adolescenza Pitagora ricevette istruzione da tre filosofi, uno dei quali, Ferekides, è considerato il suo maestro. Gli altri due filosofi con cui secondo alcuni Pitagora fu in contatto, si dice siano stati Talete e Anassimandro
Nel 535 a.C. si ritiene che Pitagora abbia fatto un viaggio in Egitto, alcuni anni dopo che il tiranno Policrate prese il potere a Samo. Si dice anche che Pitagora e Policrate fossero stati amci in precedenza, e che quando si recò in Egitto, aveva con sé una lettera di raccomandazione di Policrate. Questo viaggio in Egitto e i contatti che Pitagora ebbe con sapienti del luogo possono essere indicativi di alcuni caratteri del suo insegnamento: la segretezza dei sacerdoti egizi circa le loro co­noscenze, il loro rifiuto di mangiare fagioli e men che meno carne di animali. I Pitagorici avevano ripreso dalla religione indiana la credenza nella trasmigrazione delle anime (metempsicosi, ossia che l’anima dopo la morte si trasferisce nel corpo di altri uomini o animali viventi) non mangiavano quindi carne di alcun genere, onde non correre il rischio di nutrirsi con un animale in cui si fosse reincarnato un amico o un parente. D’altro canto, l’affermazione di Porfirio secondo cui Pitagora apprese la geometria in Egitto appare poco probabile, perché doveva essere stato edotto sufficientemente in questa disciplina da Talete e Anassimandro. Giamblico dice che nel 525 a.C. in seguito alla conquista dell’Egitto da parte della Persia, Pitagora venne portato prigioniero a Babilonia, dove ebbe la ventura di venire a contatto con sapienti babilonesi che gli trasmisero molte delle loro conoscenze. Nel 520 a.C. fece ritorno a Samo.
Intorno al 518 a.C. Pitagora lasciò Samo perché, sempre secondo Giamblico, i cittadini di Samo non apprezza­vano che i suoi metodi di insegnamento riflettessero influenze egizie. Si stabilì nell’Italia meridionale, a Crotone, sulla costa orientale calabra, fondando la sua famosa scuola. Questa scuola, forse sarebbe più opportuno chiamarla setta, aveva un circolo interno di affiliati che erano detti “matematici”. Essi vivevano perma­nentemente nella setta, erano privi di possessioni personali e strettamente vegetariani. Della associazione facevano parte sia uomini che donne. I membri esterni alla setta erano detti akousmatici , vivevano nelle proprie case e non erano soggetti alle strette regole dei membri interni. Il carattere comunitario e la segretezza praticate dai membri della setta pitagorica, ha reso praticamente impossibile agli studiosi distinguere quali scoperte siano effettivamente attribuibili a lui e quali ai suoi di­scepoli. Per gli studiosi moderni è anche molto difficile riuscire a rendersi conto del grado di astrattezza dei problemi che i pitagorici dibattevano. Aristotele scrive: “. . I Pitagorici . . . pensavano che tutte le cose sono numeri . . . . e che l’universo è un regolo e un numero . . .”. Questo fascino per i numeri da parte di Pitagora si ritiene dovuto alle sue osservazioni su certi aspetti che legavano matematica, musica e astronomia. Egli aveva notato che le corde vibranti producevano tonalità armoniche se esisteva una certa legge tra lunghezza delle corde e nu­mero delle vibrazioni. In effetti le scoperte dei pitagorici sulla teoria musicale costituirono un notevole contributo allo sviluppo della teoria della musica. Il legame di queste osservazioni con l’astronomia era dato dal fatto che i pitagorici avevano sviluppato una teoria delle sfere armoniche, per la quale i pianeti emettevano dei suoni dipendenti dalla velocità con cui ruotavano intorno alla Terra.
Naturalmente oggi il nome di Pitagora è ordinariamente associato al teorema che porta il suo nome e del quale non si dispone di notizie che lo rendano a lui sicuramente attribuibile. Molti scrittori moderni attribuiscono a lui (o per lo meno alla sua Scuola), la scoperta di altre importanti nozioni matematiche. Tra queste, notevole, è quella dei numeri irrazionali. Si tende a ritenere che questa scoperta sia dovuta non a lui ma a qualche suo discepolo, perché si tratta di una scoperta che contrastava con la vi­sione di Pitagora secondo cui “tutte le cose sono numero” (è noto che per “numero” i pitagorici intendevano il rapporto tra due interi, e quindi non potevano concepire che potesse esistere qualcosa che si sottraeva a que­sta regola). Si usa dire che i pitagorici si “imbatterono” nei numeri irrazionali ma rifiutarono di accettarli. Una leggenda dice che trovandosi alcuni pitagorici in viaggio su una nave, uno di loro, Ippaso da Metaponto, dimostrò ai compagni che, quale conseguenza del teorema scoperto, si aveva che il rapporto tra l’ipotenusa di un triangolo rettangolo e uno dei due cateti dello stesso, conduceva a un valore (radice di 2) che non rientrava nella loro concezione di numero (cioè rapporto di due interi). La leggenda dice i pitagorici furono talmente sconvolti da questa affermazione da scaraventare in mare il malcapitato collega.

I Pitagorici, come già i Babilonesi, ritenevano che alcuni numeri fossero sacri. Il più perfetto era il 10. Anche altri numeri possedevano un loro magico significato. Ad esempio, l ‘ 1 era considerato il numero della ragione ed il “generatore di tutti i numeri”. Il 2 era il numero “femminile” per eccellenza. Il 3, all’opposto, era il numero “maschile”. Il 4 il “portatore di giustizia”. Il 5 era il numero dello “sposalizio”, perché formato dalla unione del 2 con il 3 In astronomia è attribuita a Pitagora l’affermazione secondo cui la Terra ha forma sferica, e che anche l’orbita della Luna era inclinata rispetto all’equatore celeste.

Giamblico dice che nel 513 a.C. Pitagora ritornò in Grecia, a Delo, per assistere il suo antico maestro Fe­rekides, prossimo a morire. Pochi mesi dopo la morte del suo maestro fece ritorno a Crotone. Nel 510 a.C. si ebbe uno scontro militare tra Crotone e la vicina Sibari e si hanno indicazioni che Pitagora abbia avuto a che fare con la disputa. Quindi, sempre Giamblico ci informa che, avendo la società pitagorica subito un attacco da parte di Cilone, un nobile di Crotone, Pitagora fu costretto a fuggire a Metaponto dove morì (alcuni dicono che commise suicidio). Ma lo stesso Giamblico prende le distanze da questa versione affermando che Pitagora da Metaponto ritornò a Crotone e che la sua società riuscì a prosperare ancora per parecchi anni. Questa versione concorda con le affermazioni di altri autori secondo cui Pitagora riuscì a raggiungere un’età prossima ai cento anni, e addirittura ad avere tra i suoi discepoli Empedocle da Agrigento. Ma in genere si tende a porre la data della morte di Pitagora intorno al 500 a.C.
Sicuramente le circostanze della morte di Pitagora sono avvolte nella leggenda. Sicuro è comunque che la società pitagorica si espanse molto dopo il 500 a.C., che assunse connotazioni politiche e che si scisse in numerose fazioni. Nel 460 a.C. si ebbe un violento episodio di persecuzione contro i Pitagorici a Crotone. Molti loro luoghi di riunione vennero assaltati e dati alle fiamme. Si cita in particolare la “casa di Milo”, a Crotone, dove una cinquantina di Pitagorici fu assassinata. I sopravvissuti trovarono rifugio a Tebe e in altre città.

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