OMICIDIO DI PIER PAOLO PASOLINI

OMICIDIO DI PIER PAOLO PASOLINI

OMICIDIO DI PIER PAOLO PASOLINI


Pier Paolo Pasolini fu ucciso nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975, sul lungomare di Ostia. Il corpo fu ritrovato la mattina successiva, su una strada accidentata che portava ad un campo di calcio amatoriale. Fu chiaro da subito che il regista-poeta era stato vittima di un’aggressione particolarmente brutale: il corpo presentava ferite gravissime alla testa e al torace, ed inoltre erano evidenti i segni del passaggio di un auto; si scoprirà poi, tramite l’autopsia, che la morte era sopraggiunta per la rottura del cuore, in seguito al passaggio dell’autovettura sul torace, ma che le percosse subite avevano già provocato un’emorragia cerebrale. Inoltre, disseminati nell’area, si trovarono resti degli attrezzi usati per il pestaggio, o almeno di alcuni di questi (un paletto ed una tavoletta di legno, macchiati di sangue), e così pure si trovò la camicia dello scrittore (anch’essa imbrattata di sangue), ciocche di capelli eccetera: alcuni di questi reperti erano a 90 metri al corpo, e testimoniavano il disperato tentativo di fuga di Pasolini dal luogo dove aveva avuto inizio l’aggressione.

All’una e trenta di quella notte, quindi prima del rinvenimento del cadavere, i carabinieri avevano fermato il diciassettenne Giuseppe “Pino” Pelosi, contestandogli il furto dell’auto a cui era alla guida, un’Alfa 2000 risultata poi dello scrittore. Giunto in caserma, Pelosi ammise il furto, e chiese notizie di un anello di sua proprietà, che risulterà poi rinvenuto vicino al corpo di Pasolini. Si tratta della prima svolta nelle indagini: è la “firma” del delitto. Un primo segno di chiarezza in un’inchiesta che per molti altri aspetti, purtroppo, resterà comunque intorbidita dalla povertà delle indagini, probabilmente segnate dalla convinzione, maturata con eccessiva fretta, che si trattasse di un caso “già risolto”. L’avere a disposizione un cadavere ed un reo confesso viene purtroppo spesso considerato sufficiente a chiudere un’indagine; ma in questo caso, come vedremo in seguito, a questa considerazione se ne aggiunge un’altra ben più grave: gli inquirenti presero le deposizioni del giovane omicida senza fare nulla per scalfirne la reticenza o le contraddittorietà.

Le dichiarazioni di Pelosi andarono affinandosi col tempo, nel tentativo di rafforzare sempre maggiormente la tesi secondo cui il ragazzo avrebbe agito per legittima difesa. Per dovere di cronaca riportiamo a grandi linee la versione dell’imputato nella sua veste definitiva; nel capitolo successivo vedremo di fare emergere le contraddizioni e le gravi lacune nelle indagini.

Il ragazzo viene avvicinato da Pasolini nella tarda serata ed accetta di salire in auto con lo scrittore. Entrano assieme in un ristorante; poco dopo mezzanotte escono e si dirigono verso il luogo della tragedia. Appartati sul lungomare, secondo la versione dell’omicida sarebbe nata una discussione fra i due: Pelosi avrebbe sulle prime accettato e poi rifiutato di avere un rapporto sessuale con lo scrittore, e sarebbe sceso dall’auto, seguito da Pasolini che lo avrebbe minacciato e successivamente colpito con un bastone. A questo punto scatta la reazione del ragazzo che, affermò, non avrebbe investito volontariamente il corpo dello scrittore, ormai agonizzante.

Appena giunto in carcere Pelosi, in quel momento ufficialmente accusato SOLO di furto d’auto (il cadavere non era ancora stato ritrovato), si vantò però con un compagno di cella di aver ucciso Pasolini, dimostrando piena consapevolezza non solo del reato compiuto, ma anche dell’identità della vittima. Ad onor del vero questa circostanza, comunque dubbia, potrebbe essere spiegata con un altro episodio: quando ancora nel commissariato a Pelosi viene contestato il furto, un funzionario, dopo aver verificato la targa dell’auto, gli si sarebbe avvicinato dicendogli “l’hai fatta grossa; hai rubato l’auto ad una persona famosa: Pasolini”. Questo episodio sembrerebbe avvalorare la tesi che Pelosi abbia saputo l’identità della vittima solo successivamente… Ma, viceversa, risulta inspiegabile che proprio nel primo interrogatorio del 2 novembre Pelosi si riferisse a Pasolini chiamandolo più volte per nome (“Paolo”, “il Paolo”), dimostrando una conoscenza che, forse, non era neppure nata quella notte ma prima; negli interrogatori successivi, invece, Pelosi parlò di Pasolini con molto più distacco (“l’uomo”, “l’individuo”), ribadendo più volte di non averlo mai visto prima e di non essere stato a conoscenza della sua identità fino a quando non gli fu comunicata. La lunga lista di contraddizioni, che gli inquirenti non cercheranno di smontare, comincia qui ma si arricchirà di altri e più inquietanti episodi……..

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