L’Orlando Furioso Analisi

L’Orlando Furioso Analisi

Nel progetto di stesura del Furioso, l’intento di Ariosto era quello di proseguire le vicende dell’Orlando Innamorato scritto da Boiardo. Quest’ultima opera era stata pubblicata una prima volta nel 1483 in 60 canti, poi una seconda edizione del 1495 si interrompeva all’episodio di Angelica affidata in custodia da Carlo Magno al duca Namo di Baviera e destinata a finire in sposa a chi tra Orlando e Rinaldo, avesse ucciso più nemici in battaglia. Come nell’Innamorato, nel Furioso la cornice narrativa è fornita dalla leggendaria guerra tra i paladini cristiani di Carlo Magno e gli Arabi musulmani detti mori o saraceni. Ai temi epici delle canzoni di gesta si intreccia il gusto per l’avventura, per il magico e il fiabesco del romanzo cortese. Elementi ricorrenti nel ciclo bretone, a loro volta provenienti dalle antiche leggende celtiche, sono le foreste e le fontane incantate, i prodigi, gli oggetti magici, ecc. Il tema principale del romanzo è l’amore, e l’amore è il motore del fittissimo intreccio del Furioso. Alle due grandi matrici letterarie del poema (bretone e carolingia), si aggiungono fonti di derivazione classica, a testimonianza della grande cultura umanistica dell’autore.

Nell’intrecciarsi di diversi fili narrativi, che si interrompono e poi riprendono, formando un arazzo multicolore, variegato eppure rigoroso nella sua struttura, perfettamente coerente nei riallacci, si inserisce il racconto di altre storie, narrate dai personaggi in primo piano in quel momento, secondo la tecnica della narrativa boccacciana. Vi sono inoltre riflessioni morali, per lo più all’inizio di ogni canto, dove il narratore, nel riprendere il filo del racconto, coglie l’occasione per esprimere considerazioni sul comportamento umano; vi sono spunti fantastici per celebrazioni encomiastiche agli Estensi (Ruggiero e Bradamante). Se però il Furioso nasce come “gionta” all’Innamorato, grande è la differenza circa la mentalità e la visione del mondo che sono alla base delle due opere. L’epoca del Boiardo era ancora pervasa dall’ottimismo e dalla fiducia dell’uomo in sé stesso. L’intento del poeta era quello di divertire il pubblico di corte e di presentare, tramite la narrazione di imprese meravigliose ed eroiche, cavalieri e dame come modelli di comportamento perfetto.  L’Ariosto invece si trovò a vivere e operare in un’epoca decisamente cambiata: le tre edizioni del Furioso (1516-21-32) comportano profonde rivisitazioni, in particolare la terza del 1532 significò variazioni:

  1. Sul piano della lingua: Ariosto eliminò tutte le inflessioni dialettali presenti nelle prime due edizioni per elaborare una lingua modellata sul toscano letterario del Trecento, secondo i canoni stabiliti dal Bembo nelle Prose della volgar lingua (1525): l’obiettivo era far diventare il Furioso un’opera che uscisse da Ferrara e si rivolgesse a tutti gli “italiani”.

 

  1. Sul piano dei contenuti: nuovi episodi portatori di nuove tematiche (il ruolo della fortuna, l’inganno, la violenza, il desiderio di potere e di conquista) furono aggiunti per illustrare la crisi delle vicende italiane di quegli anni di lotta tra Francia e Impero di Carlo V, che stava dividendo l’Italia e preparando il dominio straniero della penisola.

 

Nell’affrontare la lettura del poema, quindi, dobbiamo tenere conto che lo stiamo studiando nella sua terza edizione, quella a cui l’autore pose mano in un’atmosfera culturale non più caratterizzata dalla fiducia dell’uomo in sé, ma intrisa di pessimismo, dovuto alla constatazione del fatto che la volontà umana nulla può contro i colpi della sorte avversa, e di sfiducia nella natura dell’uomo, rivelatasi debole e incapace di controllare i propri istinti distruttivi nonostante i supremi ideali di equilibrio, compostezza e armonia della civiltà rinascimentale.

A questa riflessione sull’incapacità dell’autocontrollo e sul venir meno dell’ideale della virtù, corrisponde la scelta narrativa di fare impazzire d’amore Orlando, il paladino che nelle canzoni di gesta era il più austero e ligio al dovere di difensore dei valori cristiani e di fedeltà al sovrano. La follia di Orlando è nel poema il simbolo principale della decadenza dell’ideale rinascimentale di equilibrio e armonia: ma tutti i personaggi sono chi in un modo e chi in un altro, schiavi delle proprie passioni e quindi tutti rompono il proprio equilibrio interiore. Tutti i personaggi del Furioso si muovono incessantemente per realizzare il loro desiderio: questo è il cosiddetto motivo bretone della “queste” (“ricerca”), motivo conduttore di molti romanzi, il più famoso legato certamente alla ricerca del Santo Graal.

Nel poema dell’Ariosto la queste si spoglia del suo carattere sacro, per vestirsi di quello solo profano: questo rivela il punto di vista del poeta sulla vera natura del desiderio umano, che diventa forza distruttiva, annientamento della ragione, inganno dei sensi quando l’uomo ne è schiavo: allora non si accorge che l’oggetto desiderato non ha più valore di per sé, ma ne acquista tanto quanto più è intenso il desiderio di ottenerlo (Ex. Episodio del castello del mago Atlante, che imprigiona molti eroi attratti dal miraggio di ciò che desiderano di più).

Nelle avventure dei cavalieri, nel loro continuo errare (termine a doppio senso!), si proietta l’ombra del pessimismo e del disincanto dell’autore: l’uomo cinquecentesco ha perduto tutta la sua certezza e la sua fiducia nelle potenzialità e nella virtù, la sua vita è esposta ai capricci del caso e dominata da forze incontrollabili. Non è la prima volta che il motivo letterario della “selva” è portatore di un’immagine angosciosa della realtà (si pensi alla “selva oscura” di Dante), ma la selva di Ariosto non è immagine di un peccato dal quale l’uomo può redimersi, bensì l’immagine della condizione della vita dell’uomo, senza possibilità di uscita, un mondo intricato, mutevole, labirintico, imprevedibile.

L’azine del poema si svolge in un campo molto vasto, il cui cento inizialmente è la Francia di Carlo Magno, ma presto si sposta in Olanda, Scozia, Spagna, Africa, Italia, Medio Oriente… La critica ha individuato nel poema una concezione dello spazio puramente terrena e orizzontale, al contrario, per ex., della Commedia dantesca. Gli interessi dell’Ariosto, quindi, sono meramente umani, senza un “centro” dell’azione vero e proprio, ma i personaggi si muovono su linee centrifughe e circolari, spinti da un desiderio che non riescono a soddisfare, girano su sé stessi invece di proseguire, si contrano gli uni contro gli altri, danno vita a un labirinto di eventi.

Verso la metà del poema la struttura aperta che caratterizza la prima parte si modifica in una struttura chiusa, tipica dei poemi epici: gli eventi cominciano ad avviarsi verso la loro felice conclusione, trionfo dei valori di una civiltà: la guerra è vinta dai Cristiani, Angelica sposa Medoro e torna in Catai, Orlando riconquista la ragione, Ruggiero si converte e sposa Bradamante e i due fondano la dinastia Estense, ecc.

Questo cambiamento di struttura si spiega perché se è vero che la realtà è mutevole e incontrollabile, se è vero che l’uomo è subordinato alla fortuna e agli istinti, il letterato, creando un’immagine del mondo, può esserne padrone. Il letterato può tutto nella finzione: ordinare la realtà, trovarne un senso, agire sull’immagine di essa. L’onnipotenza del letterato sarebbe quindi una forma di riscatto dell’impotenza umana nel governare il proprio destino.

Nella scelta di proseguire le vicende dell’Innamorato, Ariosto abbassa i toni epici, spoglia i suoi cavalieri della solennità che li caratterizzava nelle canzoni di gesta, porta alla luce la loro vera natura, che è quella degli uomini comuni, gli uomini del suo tempo, i veri oggetti della sua riflessione. Ariosto osserva i suoi cavalieri con lucido distacco, ne indaga la psicologia, scopre il lato comico dei loro comportamenti, conduce la narrazione in modo tale da provocare nel lettore un distacco emotivo dalla vicenda (“straniamento”) e trasmettergli il suo stesso sguardo ironico sugli eventi. La lingua del poema risponde, come abbiamo detto, al principio di imitazione dei classici fiorentini del Trecento sostenuto dal Bembo. Il linguaggio del poema è stato definito un “impasto” di ingredienti fusi che generano una forma espressiva equilibrata e armoniosa, priva di dissonanze, urti e alternanze di registri espressivi. La complessità dell’intreccio risulta così racchiusa, ordinata, controllata da una lingua caratterizzata da unitarietà, armonia, compostezza. L’ottava, strofa tradizionale dei poemi epico-cavallereschi, nel Furioso è liberata dall’andamento solenne e monotono che aveva nelle canzoni di gesta, ed è resa elastica, adatta ad esprimere i toni più vari, dal drammatico all’ironico, dal patetico allo scherzoso. I versi endecasillabi presentano variazioni di accenti ritmici (da 3 a 5), le pause ritmiche spesso coincidono con quelle sintattiche di fine ottava.

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