liberali e il fascismo Tre interviste a Benedetto Croce
da B. Croce, Pagine spinse, voi. II, Ricciardi, Milano. 1953
Croce, pubblicando nel 1953 tre interviste sul fascismo da lui concesse tra il 1923 e il 1924, premetteva ed testo una breve nota che qui riproduciamo: «Questa e le seguenti due interviste si riferiscono a un periodo nel quale da non pochi uomini della mia generazione si credeva o si sperava che la crisi politica fosse più blanda di come si è poi dimostrata nel fatto, e, insomma, si giudicava allora con la mente adusata ai placidi decorsi delle lotte e crisi parlamentar i. L’autore le ristampa, perché non intende punto sottrarsi alla taccia, che per esse gli può essere data, di facile ottimismo e di non sufficiente preveggenza politica”.
Riproponiamo queste pagine come una testimonianza dell’atteggiamento, controverso e discusso, della classe dirigente liberale di fronte al fascismo, ed anche come una non superflua introduzione alla lettura del Manifesto con cui Croce, nel maggio 1925, chiamerà gli intellettuali all’opposizione contro il fascismo (lett. 18).
Fino a tutto il 1924, comunque, anche dopo il delitto Matteotti e nel corso della lunga crisi che lo segui, quando già in Italia si levava l’aperto dissenso di «Rivoluzione liberale» di Piero Gobetti e del «Caffi» di Ferruccio Parri, i vecchi esponenti del liberalismo dell’Ottocento svolsero, nel Parlamento e sulla stampa, un ‘opera di appoggio e di fiancheggiamento nei confronti del fascismo. Nelle sue affermazioni e argomentazioni, Croce riconosceva al fascismo dei primi anni (benché lo ritenesse privo di un solido impianto ideologico) il merito di essere riuscito a dare una scossa salutare -al tradizionale indifferentismo italiano- e la capacità di rispondere -a seri bisogni- e di -fare molto di buono-; ancora nel 1924 egli sottolineava che «bisognava dar tempo allo svolgersi del processo di trasformazione- perché il fascismo divenisse «un ponte di passaggio per un più severo regime liberale-; affermazioni – queste – non dissimili da quelle di Giolitti, di Orlando, di Salandra, di Albertini. Per tutti costoro, dopo la svolta autoritaria del 3 gennaio 1925, verranno l’ora del ripensamento, l’esplicito distacco dal fascismo, la «salvazione d’anima-, o meglio l’inizio d’una nuova fase di critica e di opposizione.
1) Nessuna contraddizione tra liberalismo e fascismo (dal «Giornale d’Italia», 27 ottobre 1923)
– … Ma voi, personalmente, accettate o no l’idealità liberale;
- Non so quanto possa importare di conoscere quel che io accetto (io che ho Aristotele e non Achille in seno) nelle cose della politica. Ma, se vi fa piacere saperlo, vi dirò che io, personalmente, sono e non saprei non essere liberale. Perché? Non per deduzioni filosofiche o teoriche che ho già escluse dalla considerazione politica; ma, direi, allo stesso modo che mi sento napoletano o borghese meridionale. Tutto il mio essere intellettuale e morale è venuto fuori dalla tradizione liberale del Risorgimento. E come può non sentirsi liberale chi si è formato nel primo cinquantennio della nuova Italia unitaria e liberale, e ha respirato in quell’aria, e si è giovato di quelle iniziative, di quei contrasti, di quel rapido accrescimento e ammodernamento della vita italiana? Sicché io, rinunziando a difendere il liberalismo (come qualsiasi altro partito politico) con argomenti teorici, tanto più lo asserisco come una mia realtà di sentimento e di volontà. Anzi, non ho bisogno, per mio conto, di difenderlo, cioè di appoggiarlo a cattivi ragionamenti e sofismi. E auguro di cuore che i liberali italiani ripigliando coscienza della loro migliore tradizione, restaurino il partito liberale, ridandogli quell’elevato carattere etico, che ebbe nella sua forma originaria; e in questa esigenza etica, nella devozione alla patria, trovino il modo di risanare le scissioni, che non solo li indeboliscono, ma li pervertono.
– Non c’è contraddizione tra questa vostra fede liberale e l’accettazione e giustificazione che mi avete data del fascismo?
– Nessuna contraddizione. Se i liberali non hanno avuto la forza e la virtù di salvare l’Italia dall’anarchia in cui si dibatteva, debbono dolersi di sé medesimi, recitare il «mea culpa», e intanto accettare e riconoscere il bene da qualunque parte sia sorto, e prepararsi per l’avvenire. Questo è il loro dovere. Ma non credo che essi abbiano l’altro dovere di diventare «fascisti», cioè di vestire la personalità di uomini che hanno altro temperamento, hanno percorso diversa esperienza, e appartengono in gran numero alla generazione più giovane. Sarebbero cattivi fascisti, perché fascisti in cattiva coscienza, laddove possono essere buoni liberali e rendere utili servigi all’Italia nel presente e nell’avvenire.
2) Il fascismo ha sottoposto l’Italia a una benefica cura
(dal «Corriere Italiano», 1° febbraio 1924)
- … Ma, secondo Lei, può il fascismo creare un sistema politico nuovo?
- Le ho già detto che non fo previsioni ma auguri. Da parte mia, parlando da filosofo e da storico, non escludo in tesi generale che qualcosa di politicamente nuovo possa sorgere dal travaglio presente della vita italiana ed europea. Lo spirito umano è creatore, e non c’è schema intellettuale che possa restringere e imprigionare questa sua libera forza. Dunque, potrà ben darsi che il fascismo crei un sistema politico affatto diverso dal liberale. Ma, per ora, non ne vedo in modo determinato neppure le prime linee. Se qualcosa riesco a vedere, è invece lo spontaneo avviamento, mercé le elezioni politiche, a un ritorno, come si dice, alla legalità, cioè alla pratica costituzionale.
- Taluno potrebbe pensare che Ella, cosi parlando, ferisca al cuore il movimento fascista.
- Non al cuore, ma piuttosto, se mi permette la celia, alla testa. Il cuore del fascismo non credo che sia quello: è l’amore alla patria italiana, è il sentimento della sua salvezza, della salvezza dello Stato. E per questa parte ha prodotto, produce e produrrà i suoi effetti. Tra i quali io pongo non in ultimo luogo quello di accrescere il numero di coloro che, scotendo il tradizionale indifferentismo italiano, sentono la passione politica e prendono profondo interesse alle cose dello Stato. Anche il liberalismo (che non è democraticismo e demagogismo) ha per suo fondamento il concetto di uno Stato cosi saldo che possa accogliere in sé le tendenze antitetiche e permetterne lo sviluppo, mantenendo di continuo l’equilibrio tra esse e compiendo di continuo opera unitaria, d’interesse generale e nazionale. E stimo un cosi grande beneficio la cura a cui il fascismo ha sottoposto l’Italia, che mi do pensiero piuttosto che la convalescente non si levi troppo presto da letto, a rischio di qualche grave ricaduta.
- E la testa ?
- La testa è, nel caso presente, quello che noi studiosi di storia chiamiamo l’ideologia politica e alla quale diamo valore secondario. Dalla ideologia viene la parte utopica di ogni moto politico, quella che viene eliminata dal moto stesso. Nel corso del secolo decimonono, più volte si sono rivolti sospiri al passato, si sono vagheggiati sogni di restaurazione che riportano al periodo anteriore a quello liberale: teocrazie, imperi alla medioevale, leghe di comuni, rinnovate aristocrazie feudali, monarchie assolute alla Luigi XIV, e simili. Che cosa non è stato rimpianto e idoleggiato? Ebbene, niente di ciò si è mai attuato.
- Sicché, Ella è scettico rispetto all’ideologia fascista ?
- Veramente, di disegni politici, ossia di nuove costituzioni, pare che finora si siano messi innanzi scarsi e vaghi accenni. C’è piuttosto la formula gerarchica del «nuovo Stato fascista» e la richiesta di riempirla di un contenuto adatto. Odo parlare perfino del nuovo pensiero, della nuova filosofia, che sarebbe implicita nel fascismo: credo di aver letto parecchi articoli su questo argomento.
E mi sono provato, cosi per curiosità intellettuale, a cercar di desumere dagli atti del fascismo la filosofia, o almeno la tendenza morale nuova, che si dice implicita in esso, e, quantunque abbia qualche pratica e qualche abilità in coteste analisi e sintesi logiche, in coteste riduzioni ai principi, questa volta non sono venuto a capo di nulla. Temo che il nuovo pensiero non ci sia, e credo che non ci sia perché non può esserci.
- Insomma, Ella, piuttosto che alle ideologie, guarda alla novità dei fatti. E ciò particolarmente trattandosi di giovani…
- Proprio cosi. E la gioventù è bella e feconda di bene. Vorrei concludere: «Peccato non essere tutti giovani», se non avvertissi che questa sarebbe un’esclamazione retorica. Ci vuole, al mondo, il giovane e il non giovane: ci vuole l’impeto e la riflessione, e non bisogna temere che l’ima cosa sia per nuocere all’altra.
3) Il fascismo ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto di buono (dal «Giornale d’Italia», 9 luglio 1924)
-Voi sapete – mi ha detto il Croce – che io ho sempre sostenuto che il movimento fascistico fosse sterile di nuove istituzioni, incapace di plasmare, come i suoi pubblicisti vantavano, un nuovo tipo di Stato. Perciò esso non poteva e non doveva essere altro, a mio parere, che un ponte di passaggio per la restaurazione di un più severo regime liberale, nel quadro di uno Stato più forte. Doveva rinunziare a inaugurare una nuova epoca storica, conforme ai suoi vanti: ma poteva ben soddisfarsi della non piccola gloria di ridare tono e vigore alla vita politica italiana, cogliendo, per merito dei già combattenti, il miglior frutto della guerra.
- Per altro, questo vostro giudizio fu vivamente contrastato.
- Già, e i giornali fascisti si misero alla ricerca di quello che era o doveva essere l’ideale proprio del fascismo, il nuovo Stato fascistico, le nuove originali sue istituzioni e via dicendo. Chiacchierarono molto, ma dettero, in via negativa, la conferma della giustezza del mio giudizio, che era poi il giudizio del buon senso.
- Cosicché voi ritenete che i recenti avvenimenti lo abbiano convalidato?
- È accaduto quel che dice il noto «latinorum», che voglio risparmiarvi: cioè che i fatti conducono il volenteroso e trascinano chi non vuole.
Quel che non era stato possibile iniziare con savia preveggenza e dando prova di moderazione, è stato imposto da una sollevazione della pubblica coscienza innanzi a un orribile delitto.
Delitto che, come gli altri delitti di quella sorta, sconvolge e ferisce il nostro cuore umano, ma che ha poi, come tutti hanno sentito, qualche cosa di specificamente politico, essendo significativo di un errato indirizzo, che nel suo estremo porta a conseguenze come queste.
- Come intendete questa concezione?
- In un modo semplicissimo. Poiché il fascismo non è in grado di creare un nuovo assetto costituzionale e giuridico che sostituisca l’assetto del liberalismo, deve reggersi con quegli stessi procedimenti violenti con cui è sorto, perpetuando ciò che doveva essere occasionale e transitorio. E nella serie di questi procedimenti violenti non si può determinare esattamente a qual punto ci si debba fermare. Le ingiurie e le violenze appartengono a una stessa serie e trapassano le une nelle altre per gradazioni più o meno sensibili. Abbiamo udito quel che dicevano alcuni fascisti: «Queste cose non sono certamente belle, appartengono alle passività del fascismo; ma di fronte c’è l’attività, il mantenimento del fascismo stesso come salute d’Italia».
- E vi sembra che vi siano segni di un ritorno al regime librale?
- Non si poteva aspettare, e neppure desiderare, che il fascismo cadesse a un tratto. Esso non è stato un infatuamento o un giochetto. Ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto di buono, come ogni animo equo riconosce. Si avanzò col consenso e tra gli applausi della nazione. Sicché, per una parte c’è ora, nello spirito pubblico, il desiderio di non lasciare disperdere i benefici del fascismo, e di non tornare alla fiacchezza e all’inconcludenza che lo avevano preceduto; e dall’altra c’è il sentimento che gl’interessi creati dal fascismo, anche quelli non lodevoli e non benefici, sono pur una realtà di fatto, e non si può dissiparla soffiandovi sopra. Bisogna, dunque, dare tempo allo svolgersi del processo di trasformazione. E’ questo il significato del prudente e patriottico voto del Senato.
- A proposito. C’è chi si dice alquanto meravigliato del voto, dato da voi, favorevole all’ordine del giorno dì fiducia, essendo noti i vostri convincimenti che anche ora riaffermate.
- Vi sono voti che si danno con slancio e altri che si danno dopo aver lungamente ponderato il pro e il contro: voti di entusiasmo e voti di dovere. Per me, e credo per moltissimi altri senatori, quel voto di fiducia è stato un voto di dovere. Anche i più gravi discorsi degli oppositori, come quelli dell’Albertini1, sembravano indicarci la via media, a cui ci siamo attenuti, reprimendo le nostre tendenze personali.
- Voi pariate di un processo di trasformazione del fascismo che si è iniziato e che la libera stampa deve spingere innanzi; ma non vi pare che, piuttosto che di trasformazione, si debba parlare, in questo caso, di dissoluzione del fascismo ?
- Ciò dipenderà dalla saggezza e dalla intelligenza dei migliori componenti del fascismo. Se essi comprenderanno l’ineluttabilità del ritorno al regime liberale, sapranno salvare il fascismo come un elemento forte e salutare dalla futura gara politica. E avranno distrutto un labile fascismo dittatorio, per crearne uno duraturo.
- Per !.. Albertini, antigiolittiano e antifascista, di tendenza liberal-conservatrice, che fu direttore del «Corriere della Sera» dal 1900 al 1921, vedi il capitolo I, lettura 33, nota 2.