La Scoperta del DNA

La Scoperta del DNA

La genetica formale è un ampliamento della genetica di Mendel che studia la trasmissione dei caratteri ereditari senza porsi domande su cosa accada a livello molecolare.

Muller cerca di studiarlo attraverso i geni delle drosofile mutati ai raggi X ma molti esseri non sono vitali o le mutazioni vengono compensate dall’organismo.

Nella formazione delle larve delle drosofile le cellule non crescono in numero ma in dimensione e, visto che serve molto DNA, i cromosomi si duplicano e si fondono in cromosomi giganti. Nell’organismo adulto queste cellule sono state riciclate ma nelle ghiandole salivari ci sono ancora i cromosomi giganti e proprio questi vennero osservati al microscopio da Bridges. Notò la presenza di bande, se i cromosomi erano opportunamente colorati; vide inoltre che nei mutanti difettivi mancava una parte del cromosoma, proprio la banda dove si trovava il gene mutato.

Le domande “Che cosa sono i geni?” e “Esistono davvero?” non potevano trovare risposta incrociando le drosofile perché non si capiva le natura chimica dei geni.
Nel 1871 il brillante medico Miescher, studiando le ferite infette dei militari della guerra franco-prussiana, raccoglie pus e dal nucleo dei globuli bianchi estrae una molecola organica di cui non riesce a stabilire la natura chimica; la chiama nucleina.
Pochi anni dopo Kossel studia la nucleina e ne individua la natura acida; sarà poi chiamata acido nucleico da Levene.

Levene stabilisce che ogni nucleotide è composto da un gruppo fosfato, una base azotata e uno zucchero. Visto che ogni fosfato può legare due zuccheri e ogni zucchero può legare due fosfati, ipotizza la presenza di una catena fosfato-zucchero. Compie però un errore, che rallenta le ricerche successive. Non riesce a estrarre intera la lunga e sottile molecole di DNA, la rompe in pezzi e crede che sia un tetranucleotide formato in egual misura da adenosina, guanina, citosina e timina. Ritiene che nel nucleo la funzione del DNA sia solo quella di equilibrare con la sua acidità la basicità delle proteine.

Si credeva infatti che le proteine svolgessero tutte le funzioni, che generassero anche l’informazione erditaria. La teoria dell’informazione è stata proposta solo 20 anni dopo e negli anni ’20 non c’era il concetto di informazione come messaggio astratto che passa in forma arbitraria e viene poi interpretato. C’era una concezione più concreta, si pensava che una proteina nascesse già con la sua composizione ma non con la struttura tridimensionale, che copiava dalle proteine ereditate dai genitori come se fossero uno stampo. Il DNA viene quindi tralasciato.

Nel 1944 Schrödinger pubblica il libro “What’s life?” in cui si chiede se davvero è così. La teoria dell’informazione è stata proposta e pensa a una struttura regolare stabile come quella di un cristallo ma diversa in ogni sua parte perché porta informazioni diverse (lo chiama cristallo aperiodico). Questa descrizione però va bene sia per un polinucleotide che per un polipeptide.

Nel 1925-26 Griffith aveva messo insieme dei batteri patogeni che facevano venire la polmonite morti e dei batteri non patogeni vivi; aveva scoperto che la polmonite passava anche ai batteri non patogeni, trasformandoli (trasformazione batterica). Ciò significa che il fattore trasformante, anche se era una molecole semplice, ha depositato nei batteri non patogeni qualcosa di ereditario.

Nel 1944 Avery, insieme a McLeod e McCarty, sfrutta la scoperta di Griffith: fa un estratto con batteri patogeni, li tratta con enzimi diversi che idrolizzavano il DNA, l’RNA e le proteine e poi li mette a contatto con dei batteri non patogeni. La trasformazione avviene sempre tranne quando il campione è trattato con DNA-asi. Avery capisce che il fattore trasformante è il DNA, riesce a isolarlo e capisce che l’informazione genetica si trova proprio su di esso.
Il suo lavoro però lascia perplessi e viene trascurato per molto tempo perché si pensava che i batteri con cui aveva lavorato fossero organismi troppo complessi.
Derel 20 anni prima aveva scoperto che anche i batteri potevano prendere malattie virali; i batteriofagi o fagi sono i virus che si riproducono a carico dei batteri. Si decise di usare i fagi perché i virus sono organismi più semplici, in quanto non sono cellule, non hanno membrana o citoplasma, sono aggregati (desossi)ribonucleoproteici, cioè sono formati solo da DNA o RNA e proteine (al contrario degli organismi viventi, hanno o DNA o RNA, non entrambi). Sono formati da una capside, una struttura quasi poligonale proteica contenente DNA, da un collo che collega la testa alla coda e delle fimbrie, delle zampette che usano per riconoscere le proteine presenti ui batteri e per aggrapparsi ad essi. I virus non hanno un metabolismo proprio, ma si riproducono a carico della cellula ospite. Per riprodursi, si attaccano a una cellula, inniettano il loro DNA e inducono così la cellula a produrre altri virus, che vengono poi liberati nella lisi, il processo di rottura della cellula; i virus fuoriusciti possono così legarsi ad altre cellule.
Nel 1952 Alfred Hershey e Martha Chase eseguirono uno degli esperimenti più belli della storia della biologia, che riportò l’attenzione sul DNA.
Costituirono due ambienti con un terreno minimo con glucosio come nutrimento, sali minerali e acqua. Nel primo ambienti inserirono del fosforo radiattivo e dello zolfo normale, nel secondo zolfo radioattivo e fosforo normale. Li fecero crescere dei batteri: quelli nell’ambiente con il fosforo radioattivo avevano DNA e RNA radioattivo, quelli nell’ambiente con lo zolfo radioattivo avevano invece le proteine radioattive. Fecero infettare questi batteri radioattivi dai fagi studiati da Luria e Delbruch. Con i fagi T2 radioativi infettarono due colonie di batteri sani,misero tutto in un frullatore per staccare i virus attaccati ai batteri. Poi misero tutto in una centrifuga: i batteri, più pesanti, si depositarono sul fondo, i virus, più leggeri, restarono nel surnatante. Misurano se la radioattività si trovava sopra o sotto: se c’era il fosforo radiattivo tutta la radioattività era nel precipitato, se invece c’era lo zolfo radiattivo era nel surnatante. I virus quindi inniettano nel batterio qualcosa che contiene il fosforo, DNA. Questo esperimento quindi ha dimostrato che i virus hanno DNA; se però poi i batteri creano altri virus, significa che riescono a interpretare l’informazione data dai virus e quindi il DNA.
L’esperimento venne ripetuto e riprodotto anche per le cellule eucariotiche. Fu evidente che tutte le forme viventi hanno DNA come materiale genetico.
L’ipotesi del tetramero di Levene era quindi sbagliata. Rimanevano ancora dei problemi irrisolti:
-Come fa il DNA a garantire le funzioni che deve svolgere il meteriale ereditario?
-Come si riproduce il DNA?
-Come sono codificate le informazioni?

Dopo questa scoperta, ci fu una corsa di molti gruppi, che cercavano di scoprire come era fatto il DNA prima degli altri. I primi che scoprirono la struttura a doppia elica furono Watson e Cick nel 1953. Poco prima della pubblicazione dell’articolo su Nature, un gruppo aveva pubblicato un articolo in cui si diceva che il DNA era fatto da due catene avvitate con all’interno i fosfati e all’esterno le basi azotate. Spaling propose una struttura del DNA a tripla elica, come quella del collagene, ma la ritirò.

Insieme a Watson e Cick ha vinto il premio Nobel anche Wilkins, citato nella bibliografia come fonte; in realtà le ricerche fondamentali erano state fatte da Rosalind Franklin. La ricercatrice non condivideva i suoi risultati perché era diffidente e temeva potessero rubarglieli, lavora isolata; era sulle tracce della doppia elica, ma morì di cancro perché aveva lavorato con materiale radioattivo.
La cristallografia è un processo che consiste nel far attraversare un cristallo da raggi X; in base alla disposizione delle fibre, i raggi X vengono diffratti e impressionano una lastra fotografica. La Franklin estrae il DNA e fa evaporare l’acqua non scaldandolo troppo per non danneggiarlo; ottiene un cristalloide che tratta come un cristallo, facendolo attraversare dai raggi X. Sulla lastra ci sono alcune macchie più scure sparse con un ordine preciso. Da questo inizia a dedurre la struttura elicoidale.
/ 5
Grazie per aver votato!