INFERNO CANTO 3 PARAFRASI VV 1-136
Virgilio e Dante giungono davanti alla porta dell’Inferno, che reca una minacciosa scritta: “Attraverso me si va nel luogo del dolore, dell‟eterna sofferenza, tra i dannati. Fui creata per una ragione di giustizia.A proposito della giustizia divina, si riporta un passo della Bibbia (Seconda lettera ai Tessalonicesi, I, 6-10):“È proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dioe non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando egli verrà per esser glorificato…”Fui creata dalla Trinità, vista nei suoi attributi di somma potenza del Padre, di somma sapienza del Figlio e di somma carità dello Spirito Santo. Le cose create prima di me sono solo quelle eterne(cioè angeli, cieli, materia pura), e io duro in eterno(l’Inferno fu creato prima dell’uomo, al momento della caduta di Lucifero). Perdete qualunque speranza voi che entrate(la vera pena dei dannati è la loro assoluta impossibilità di sperare nella salvezza della loro anima).
Dante rimane terrorizzato da questa scritta difficile a comprendersi; quindi ne chiede spiegazione a Virgilio, il quale lo esorta ad abbandonare qualunque paura e viltà d’animo e lo conduce al di là della porta. Così i due poeti si trovano all’interno del “Vestibolo” (siamo ancora nell’Antinferno). Qui Dante comincia a udire sospiri, pianti, urli che paurosamente risuonano in un’atmosfera di tenebre. Dante domanda che cosa sia tutto ciò che sta ascoltando e chi sono quelle anime sofferenti. Virgilio gli risponde che si tratta degli ignavi, i quali in vita rifiutarono ogni responsabilità, vivendo “sanza „nfamia e sanza lodo”, cioè senza ottenere dagli altri né biasimo né lode, quindi da vili. Gli ignavi sono collocati nel Vestibolo assieme a quegli angeli che nella grande battaglia avvenuta in cielo non si schierarono dalla parte di Lucifero, ma rimasero comunque imbelli, abulici, dubbiosi; questi angeli imbelli sono respinti sia dai cieli, che non vogliono perdere la loro bellezza accogliendo genti vili, sia dall’Inferno, perché i dannati proverebbero compiacimento per essere stati meno vili di loro. Proprio perché nella vita non presero mai una posizione, gli ignavi sono indegni sia delle pene dell’Inferno sia della misericordia di Dio.
A conclusione della sua spiegazione a Dante sulla natura e la condizione degli ignavi, Virgilio gli pronuncia questa frase che è uno dei versi più celebri della Divina Commedia. In questo verso si avverte il disprezzo di Dante per i vili, gente che non ebbe personalità alcuna e che non fu mai viva.
Dante vede che gli ignavi, che sono numerosissimi, sono costretti a correre, nudi,dietro a una bandiera (essi che in vita non ne seguirono mai una), mentre sono soggetti a una stimolazione fisica delle punture di mosconi e vespe (loro che in vita non vollero cedere ad alcuno stimolo, né nel bene né nel male). Il sangue, mischiato a lacrime, riga il volto di questi condannati, che poi è raccolto dai vermi (che sono il contrappasso della viltà). Tra essi Dante vede e riconosce l’anima “di colui che fece per viltade il gran rifiuto”. La maggior parte dei commentatori ritengono che si tratti di Pietro di Morrone. Nato a Isernia nel 1215, sentì profondamente la vocazione eremitica esi ritirò sul monte Morrone e sul massiccio della Maiella, in Abruzzo. Grazie alla creazione di un ordine religioso (i Frati Celestiniani) e attraverso la sua austera ed esemplare esistenza in una grotta della Maiella, ma soprattutto per il compimento di numerosi miracoli, era considerato un santo. Alla morte di papa Nicolò IV (4 aprile 1292), dopo due anni di inutili discussioni ed altrettanti conclavi, il 5 luglio 1294 ci fu la tanto attesa fumata bianca: Pietro di Morrone era il nuovo Papa, col nome di Celestino V. L’incoronazione con la tiara papale avvenne però a L’Aquila il 29 agosto dello stesso anno, davanti a una leggendaria moltitudine di fedeli accorsi da tutta l’Europa, tra i quali anche il giovane Dante Alighieri. Lo spirito ingenuo del Papa eremita mal si conciliava con quello della Curia romana, corrotta e litigiosa. Riservato e privo della sufficiente energia, Celestino V si trovò al centro di aspre contese senza riuscire a dominarle. Sempre più spesso arrivò a meditare l’idea di rinunciare al pontificato e finalmente indisse un Concistoro per il 13 dicembre 1294, durante il quale annunciò il suo atto di rinuncia, dopo soli cinque mesi di pontificato. Al suo posto fu eletto papa il cardinale Benedetto Cajetani, di Anagni (FR), che prese il nome di Bonifacio VIII. Quest’ultimo considerò l’esistenza di Pietro di Morrone una minaccia per il suo stesso pontificato; perciò lo fece rinchiudere nel castello di Fumone (FR), dove il 19 maggio 1296 moriva dopo dieci mesi di prigionia. Nel 1327 i Monaci Celestiniani riuscirono a portare la salma di Pietro di Morrone aL’Aquila, all’interno della Basilica di santa Maria di Collemaggio, dove tuttora si trova.