il giorno il risveglio del giovin signore parafrasi
-Di Giuseppe parini-
Parafrasi
- Giovin Signore, sia che il tuo sangue purissimo
- e divino discenda da una stirpe di nobili antenati,
- sia che i titoli comprati e le ricchezze accumulate
- dal padre parsimonioso in pochi anni
- per terra o per mare correggano
- in te la mancanza di sangue nobile,
- ascolta me, Precettore di amabili maniere.
- Ora io ti insegnerò come trascorrere
- questi noiosi e lenti giorni della vita, che
- sono accompagnati da così lunga monotonia
- e insopportabile fastidio. Apprenderai quali
- debbano essere le tue preoccupazioni
- al mattino, quali al pomeriggio, quali alla sera,
- se nel tuo oziare ti resta tempo
- di tendere le orecchie ai miei versi.
- Già hai visitato attentamente gli altari
- consacrati al piacere amoroso e al gioco d’azzardo
- in Francia e in Inghilterra, e ancora porti
- impressi i segni del tuo impegno:
- ora è tempo di riposo. Invano Marte ti invita
- alla carriera militare; perché è ben folle colui
- che si guadagna l’onore mettendo a rischio la vita,
- e naturalmente a te disgusta il sangue.
- Né i tristi studi della dea Atena ti sono
- meno odiosi: te li resero troppo avversi
- le lacrimose aule dove le arti
- più eccelse e le scienze, tramutate
- in mostri ed evanescenti, orridi fantasmi
- fanno eccheggiare sempre le ampie volte
- di urla di giovani. Ora per prima cosa
- ascolta in quali piacevoli abitudini il Mattino
- ti debba guidare con mano gradevole.
- Sorge il Mattino in compagnia dell’Alba prima
- del Sole, che in seguito compare enorme
- sull’estremo orizzonte e porta beatitudine
- agli animali, alle piante, ai campi e alle onde.
- Allora il buon contadino si alza dal caro letto
- che la moglie fedele e i suoi figli hanno intiepidito
- durante la notte; poi, portando in spalla i sacri
- attrezzi che per prime scoprirono Cerere e Pale,
- si dirige verso i campi spingendo avanti il bue
- che procede lentamente, e lungo il piccolo
- sentiero scuote dai rami ricurvi la rugiada che,
- come fosse una pietra preziosa, riflette i raggi
- del sole nascente. Allora si alza l’artigiano,
- e riapre la rumorosa officina, e torna ai lavori
- non terminati il giorno prima, sia se deve fare
- chiavi complesse da eseguire e serrature
- ferrate che assicurino i forzieri del ricco
- tormentato, sia se vuole intagliare gioielli
- e recipienti d’argento e d’oro, ornamento
- per una novella sposa o per una tavola.
- Ma come? Tu inorridisci e drizzi sul capo
- i capelli come un istrice pungente,
- al suono delle mie parole? Ah non è questo,
- Signore, il tuo mattino. Tu col sole calante
- al tramonto non ti sei seduto a consumare
- una povera cena, e non andasti a coricarti
- su uno scomodo giaciglio alla luce del fioco
- crepuscolo, come è costretto a fare l’umile popolo.
- A voi, prole di origine divina, a voi, adunanza
- di Semidei in terra, altro concesse il benigno Giove:
- e con principi e regole diverse è meglio
- che vi conduca per una strada differente.
- Hai protratto la notte fino a tardi tra le feste,
- i melodrammi teatrali, i patetici giochi d’azzardo;
- e infine, stanco, in una carrozza dorata,
- con il frastuono di calde e veloci ruote
- e lo scalpiccio di cavalli assai veloci,
- hai turbato per lungo tratto la serena aura
- della notte; e hai diradato le tenebre
- con grandi torce, così come quando Plutone
- fece rimbombare la terra di Sicilia
- da una costa all’altra con il suo carro,
- innanzi a cui splendevano le fiaccole
- delle Furie con capelli di serpenti.
- Così tornasti a casa; ma qui ti attendeva
- con nuovi impegni la tavola,
- che era ricoperta da cibi saporiti
- e vini inebrianti dei colli francesi o di Spagna,
- o di Toscana, o il Tokai ungherese
- a cui Bacco concedette una corona
- di verde edera, e disse: “Siediti, regina
- delle mense”. Infine il Sonno in persona
- ti rassettò i morbidi materassi, dove,
- dopo che ti fosti coricato, il servo fedele
- chiuse le tende di seta:
- e a te dolcemente ha chiuso gli occhi
- il gallo che di solito apre quelli degli altri
La struttura e lo stile
Lo stile e la finalità del poemetto sono strettamente intrecciati: all’intenzione pedagogica del testo si affianca infatti l’impostazione ironica (e talora sarcastica) del Precettore. Quest’ultimo infatti cela la propria indignazione sotto l’apparente celebrazione della frivola aristocrazia cui si rivolge; in realtà, dietro all’accettazione e, in certi passaggi, all’esaltazione delle abitudini meschine del “giovin signore” si percepisce chiaramente un accento di critica e di commiserazione per un’esistenza inutile e dilapidata nella noia.
Il mondo della mitologia classica (da Cerere a Marte, da Venere a Pale fino addirittura a Giove) è evocato solo per sottolineare l’artificiosità e l’intima corruzione della società aristocratica, che ha ormai perso ogni possibile funzione storica o sociale (tanto da vivere ormai rinchiusa in palazzi, corti e sale da ballo). Lo stile classicheggiante del poeta, rintraccabile anche nelle Odi (basti pensare a La caduta), contribuisce a questo effetto ironico. Il poeta utilizza spesso una sintassi elaborata ed ipotattica, un lessico ricco di latinismi ed arcaismi e fa abbondante ricorso a figure retoriche per descrivere le imprese – assai poco eroiche e degne di nota – del suo protagonista principale
Metro: endecasillabi sciolti.