Filosofia della stupidità

Filosofia della stupidità

Sulla scia di alcune osservazioni sparse di Gilles Deleuze, è possibile abbozzare il progetto di una “filosofia della stupidità”. Ma attenzione: va mantenuta tutta l’ambiguità del doppio genitivo contenuto nel titolo.

Infatti, fuorviati da una falsa interpretazione della tradizione (ricordate l’avvio dell’argomento ontologico che, nel Proslogion, Anselmo affida alla voce dello stupido? “Dicit stultus in corde suo: Deus non est…”) quando Deleuze parla della stupidità, per gli intelletti più ottusi sopraggiunge sempre il sospetto che egli si stia escludendo dal discorso. Così lo stupido ha subito voglia di interromperlo : “Ma chi si crede di essere? Per chi si prende?”.

Come se, parlando dell’imbecillità, il filosofo non parlasse, per una volta, anche di sé; come se la stupidità facesse eccezione alla regola secondo la quale, qualunque cosa si dice, non si parla mai d’altro che di sé. Ma come potrebbe la stupidità fare eccezione alla regola nella quale essa trova il suo fondamento?

La stupidità è, per l’appunto, quella parte di noi stessi che vede nell’altro uno specchio dal quale non può provenire nient’altro che la propria immagine. Il suo sguardo attraversa il mondo e finisce sempre per ritrovarvi, più o meno consapevolmente, un “alter ego”, la sua ombra, il suo riflesso. La stupidità è la riduzione del mondo all’ “io”, dell’altro allo stesso; è una sindrome di paranoia egotica che è difficile tenere a bada. Cede volentieri all’abbaglio dell’identico, come il politicante che inveisce esclamando: “Il nemico è uno stronzo. Crede che siamo noi, il nemico; mentre il nemico è lui!”.

La stupidità, come il pensiero unico, preferisce “riconoscere” piuttosto che incontrare: è cieca e sorda per l’evento, perché lo confonde con la futilità del nuovo e dello stravagante. E’ il contrario dell’eccezione, incline alle seduzioni del déjà-vu (del “mi sembra di ricordare”), amica del generale e nemica della differenza. La stupidità ci fa annegare nel gruppo dal quale più nulla ci distingue e nel quale conta solo la corrente che trascina.

O meglio, la stupidità galleggia nel vago, si spande sulle onde dei media, ed è spesso affabile, ospitale, accogliente. Tutti si orientano nella stupidità: è il luogo comune nel quale ci si esonera a vicenda dalla fatica di pensare. La si riconosce nei catechizzatori la cui condotta smentisce le parole, nei blasfemi che, come i superstiziosi, credono che Dio sia il Diavolo; o nell’edonismo del consumo, per il quale si gode non nell’essere felici, ma nel poter dimenticare che non lo si è mai stati.

La si riconosce in quelli che credono di riconoscerla nelle parole dell’altro, e che per questo, tuttavia, si assegnano comunque un ruolo di primo piano, ripetendo: “l’ho sempre detto anch’io…” oppure “è esattamente quello che ho sempre pensato”. Insomma, la stupidità ha sempre l’ultima parola, ha sempre ragione.

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