SENECA La giustizia umana V

SENECA La giustizia umana V

La natura non costringe l’uomo a peccare

La natura non costringe l’uomo a peccare, ma gli ha dato l’inclinazione a peccare; la natura non dà né la sapienza né la virtù. Si diviene saggi, non si nasce saggi: e diventare buoni è un’arte che dipende dalla libera volontà nostra, nella quale risiede il merito ed il demerito della nostra vita. L’uomo malvagio vuole il male: lui l’ha scelto assecondando con la volontà la disposizione al male, riducendo volontariamente a peccato la inclinazione a peccare; e il peccato universale è una colpa universale .
La guerra dell’uomo all’uomo è un pericolo quotidiano contro cui bisogna sempre premunirsi e vigilare. La tempesta minaccia prima di scoppiare, l’edificio scricchiola prima di crollare, il fumo preannuncia l’incendio: la rovina che ci viene dall’uomo è improvvisa ed è tanto più nascosta quanto più è vicina. È un errore credere ai volti che ci si presentano: l’immagine è di un uomo, l’anima è di belva; ma delle belve è più pericoloso il primo assalto: una volta passate non ci ricercano più, e solo il bisogno le porta a nuocere costrette dalla fame e dalla paura. Per l’uomo è un piacere rovinare un altro uomo.
Non si può fare un passo senza che si veda una vergogna; non si esce di casa senza dover camminare in mezzo a scellerati, avari, prodighi, impudenti e perciò appunto felici. Quando vediamo il foro e i comizi e il circo zeppi di cittadini, possiamo dire che là sono riuniti tanti vizi quanti sono gli uomini. Fra codesti che si vedono in toga non è nessuna pace: l’uno è tratto da un meschino interessa per la rovina dell’altro, e nessuno guadagna se non c’è un altro che soffre; il felice è odiato, l’infelice è disprezzato, il maggiore è mal sopportato e il minore è oppresso; a una lieve voluttà, a una piccola preda si vorrebbe sacrificare ogni cosa. È una vota da gladiatori che si devono insieme e insieme si ammazzano. Si aggiungano gli orrori delle guerre, le infamie dei giovani, i tradimenti delle nazioni, le violazioni dei patti, le violenze della forza predatrice, i furti, le frodi; se il saggio dovesse adirarsi in proporzione della enormità dei misfatti, la sua non sarebbe più collera, ma pazzia.
Lo stimolo più potente di ogni infamia è il denaro: esso intossica le case, mescola i veleni, consegna le spade tanto ai sicari quanto alle legioni: ed è sempre macchiato del nostro sangue. Il denaro occupa tanti magistrati e tanti giudici, il denaro fa i magistrati e i giudici; dacché incominciò ad essere in onore, perì l’onore vero della vita: e fatti di volta in volta mercanti e mercanzie, noi ricerchiamo non già il merito, ma il costo delle cose. E i nostri costumi si sono ridotti a tal punto che la povertà si considera come una maledizione e una vergogna. Eppure di tutti costoro che le ricchezze e gli onori pongono in alto nessuno è grande. Perché dunque apparisce tale? Perché lo si misura con il suo piedistallo. Un nano non diviene grande per essersi collocato su una montagna e un colosso conserverà la sua grandezza anche nel fondo di un pozzo. Se vogliamo conoscere il valore giusto di un uomo guardiamolo spogliato del suo patrimonio, degli onori, delle altre false apparenze della fortuna; guardiamolo nell’animo per vedere s’egli è grande di suo o se ha una grandezza presa in prestito. Ciò che può toccare all’uomo più vile e spregevole non è un bene. Le ricchezze toccano pure ai leoni: e il denaro cade su certa gente come in una cloaca.

De Ira II, Epist. XC

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