Enea sconfigge il giovane Lauso e gli rende onore

Enea sconfigge il giovane Lauso e gli rende onore

ENEIDE LIBRO 10 VV 789-832

(Eneide, 10, 789- 832)


Protagonista di questo passo è il giovane Lauso, figlio dell’etrusco Mezenzio, presentatoci così da Virgilio nel settimo libro (vv.647-654), al momento del catalogo degli alleati di Turno: Per primo entra in guerra l’aspro Mezenzio, proveniente dalle rive tirrene, dispregiatore degli dei, e arma le schiere.Gli è accanto il figlio Lauso, di cui non ci fu un altro più bello, se si eccettua il corpo del laurente Turno; Lauso, domatore di cavalli e cacciatore di fiere, guida mille uomini che lo hanno seguito invano dalla città di Agilla, lui, degno di essere più felice ai comandi paterni e di non avere Mezenzio per padre.

Di Mezenzio, il crudele ed empio re di Agilla, ci dà un tremendo ritratto Evandro, nell’ottavo libro (vv.478-496), quando racconta ad Enea che gli Etruschi sono tutti in rivolta contro Turno, perché ha dato ospitalità a questo infame re, che era stato scacciato dalla sua città per la violenta crudeltà della sua tirannia (legava ad esempio un vivo a un morto, e abbandonava la coppia, in modo che il vivo morisse così, condividendo la putrefazione del cadavere cui era legato).

Questo terribile padre ha però un figlio di tutt’altra natura, bellissimo e pio, che avrebbe meritato un altro genitore. Pure, come vedremo in questi versi, Lauso lo ama e offre la sua vita per lui. Pure, Mezenzio ama il figlio, e Virgilio concede anche a questo ignobile personaggio un momento di riscatto, al momento in cui apprende la nobile morte del giovane.

Ecco gli antefatti dell’episodio: Enea si è scontrato con Mezenzio, che, invocando la propria destra come suo unico dio (10, 773), fallisce tuttavia il colpo. Enea scaglia a sua volta l’asta, che trapassa lo scudo dell’Etrusco e gli si conficca nell’inguine. Il Troiano allora estrae la spada e insegue Mezenzio che, impacciato, cerca di fuggire. Ma a questo punto interviene Lauso.

Come vide, Lauso gemette dal profondo per amore del caro padre. Ora non tacerò, o giovane degno di essere ricordato, il caso della tua dura morte e i tuoi nobili azioni, non tacerò di te, se l’antichità è destinata a portar credibilità a un’azione tanto grande.

Mezenzio, trascinando il piede inutile e impacciato (dall’asta di Enea), si ritirava e cercava di strappare dallo scudo la lancia nemica: il ragazzo si precipitò e si gettò nella mischia, e si fa sotto alla lama di Enea che stava per sferrare il colpo con la destra alzata, e lui lo sostenne, ostacolandolo.

Gli alleati seguono con gran grida, finchè il padre se ne andasse, protetto dal piccolo scudo del figlio, e scagliano frecce e da lontano tormentano il nemico con armi da lancio. Enea infuria e si tiene coperto.

E come quando talora le nuvole si rovesciano (sulla terra), e la grandine si spande, ogni aratore e ogni contadino fugge dai campi, e il viaggiatore si nasconde al sicuro in un riparo, finché piove sulla terra, o sotto gli argini di un fiume, o sotto la volta di un’alta roccia, per potere continuare la giornata una volta riapparso il sole: così Enea, coperto da tutte le parti da dardi, sostiene il nembo della guerra, finché non si quieti tutta, e gridando si rivolge a Lauso e minaccia Lauso. “Dove mai corri, tu che sei destinato alla morte, e osi imprese troppo grandi rispetto alle tue forze? Il tuo amore di figlio ti porta ad una incauta caduta!” Nondimeno Lauso, fuori di sé, salta, e l’ira crudele si fa più profonda nella guida dei Dardani, e le Parche raccolgono per Lauso gli ultimi fili. E infatti Enea sfodera la potente spada e la spinge tutta nel mezzo del giovane; la lama attraversa lo scudo, arma leggera del giovane che minacciava, attraversa la tunica, che la madre aveva tessuto con oro delicato, e riempì il ventre di sangue. Allora la vita si ritirò triste attraverso l’aria verso i mani e lasciò il corpo. Ma invero quando il figlio di Anchise vide il volto e le labbra di lui che moriva, le labbra che straordinariamente impallidivano, gemette dal profondo, pieno di pietà, e tese la destra, e l’immagine dell’amore del padre gli offuscò la mente. “cosa mai ora, fanciullo degno di pietà, che cosa il pio Enea ti concederà, per queste azioni gloriose, degno di una natura così nobile? Tieni le tue armi, delle quali andavi fiero; ti riaffido ai Mani degli antenati e alla cenere, se una preoccupazione tale conta qualcosa. Tuttavia, sfortunato ragazzo, a questo pensiero potrai consolare la misera morte: muori per mano del grande Enea”. Poi è lui per primo a spronare gli alleati che stavano lì senza sapere che fare, e a sollevare da terra il cadavere, in cui il sangue sporcava i capelli ben acconciati.

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