DE BELLO CIVILI LIBRO 3

DE BELLO CIVILI LIBRO 3

DE BELLO CIVILI, libro III, paragrafo 83 (Cesare)

I pompeiani alla vigilia di Farsalo(II).

Iam de sacerdotio Caesaris Domitius, Scipio Spintherque Lentulus cotidianis contentionibus ad gravissimas verborum contumelias palam descenderunt, cum Lentulus aetatis honorem ostentaret, Domitius urbanam gratiam dignitatemque iactaret, Scipio affinitate Pompei confideret. Postulavit etiam L. Afranium proditionis exercitus Acutius Rufus apud Pompeium, quod gestum in Hispania diceret. Et L. Domitius in consilio dixit placere sibi bello confecto ternas tabellas dari ad iudicandum eis, qui ordinis essent senatorii belloque una cum ipsis interfuissent, sententiasque de singulis ferrent, qui Romae remansissent quique intra praesidia Pompei fuissent neque operam in re militari praestitissent: unam fore tabellam, qui liberandos omni periculo censerent; alteram, qui capitis damnarent; tertiam, qui pecunia multarent. Postremo omnes aut de honoribus suis aut de praemiis pecuniae aut de persequendis inimicitiis agebant nec, quibus rationibus superare possent, sed, quemadmodum uti victoria deberent, cogitabant.

Ben presto Domizio, Scipione e Lentulo Spintere, nelle quotidiane discussioni sulla successione al pontificato di Cesare, giunsero pubblicamente a gravissime ingiurie verbali: Lentulo ostentava il privilegio dell’età, Domizio vantava il favore e l’autorità di cui godeva a Roma, Scipione confidava nella parentela con Pompeo. Acuzio Rufo inoltre accusò, presso Pompeo, L. Afranio del tradimento dell’esercito, che diceva che egli aveva condotto con trascuratezza la guerra in Spagna. E L. Domizio in consiglio disse che era favorevole a che, una volta terminata la guerra, ai senatori che avevano partecipato con loro alla guerra venissero distribuite tre tavolette di voto, per esprimere singoli giudizi su chi era rimasto a Roma o chi, trovandosi nelle terre occupate da Pompeo, non aveva combattuto: una sarebbe stata la tavoletta per assolvere da ogni imputazione; un’altra per condannare a morte, la terza per infliggere multe. In una parola tutti discutevano o delle proprie cariche o delle ricompense in denaro o dei nemici da perseguire e pensavano non in che modo vincere, ma come mettere a frutto la vittoria.


DE BELLO CIVILI, libro III, paragrafo 94, frasi 5-6(Cesare)

Pompeo si ritira nella tenda.

Sed Pompeius, ut equitatum suum pulsum vidit atque eam partem, cui maxime confidebat, perterritam animadvertit, <sibi> allisque diffisus acie excessit protinusque se in castra equo contulit et eis centurionibus, quos in statione ad praetoriam portam posuerat, clare, ut milites exaudirent, “tuemini,” inquit, “castra et defendite diligenter, si quid durius acciderit. Ego reliquas portas circumeo et castrorum praesidia confirmo.” Haec cum dixisset, se in praetorium contulit summae rei diffidens et tamen eventum exspectans.

Ma Pompeo, quando vide la propria cavalleria respinta e si accorse che era in preda al terrore quella parte dell’esercito su cui sopra tutto confidava, e, non avendo inoltre fiducia negli altri, si allontanò dal campo di battaglia e subito si diresse a cavallo nell’accampamento e a quei centurioni che aveva posto di guardia presso la porta pretoria disse a voce alta in modo che i soldati lo udissero: “Proteggete e difendete con ogni energia l’accampamento, se le cose dovessero volgere al peggio. Io faccio il giro delle altre porte per rassicurare i presidi dell’accampamento”. Dopo avere detto queste parole, se ne andò nella tenda pretoria, persa la fiducia nell’esito finale, ma tuttavia attendendo gli eventi.


DE BELLO CIVILI, libro III, paragrafo 96 (Cesare)

Il campo pompeiano. La fuga di Pompeo.

In castris Pompei videre licuit trichilas structas, magnum argenti pondus expositum, recentibus caespitibus tabernacula constrata, Lucii etiam Lentuli et nonnullorum tabernacula protecta edera, multaque praeterea, quae nimiam luxuriam et victoriae fiduciam designarent, ut facile existimari posset nihil eos de eventu eius diei timuisse, qui non necessarias conquirerent voluptates. At hi miserrimo ac patientissimo exercitui Caesaris luxuriam obiciebant, cui semper omnia ad necessarium usum defuissent. Pompeius, iam cum intra vallum nostri versarentur, equum nactus, detractis insignibus imperatoris, decumana porta se ex castris eiecit protinusque equo citato Larisam contendit. Neque ibi constitit, sed eadem celeritate, paucos suos ex fuga nactus, nocturno itinere non intermisso, comitatu equitum XXX ad mare pervenit navemque frumentariam conscendit, saepe, ut dicebatur, querens tantum se opinionem fefellisse, ut a quo genere hominum victoriam sperasset, ab eo initio fugae facto paene proditus videretur.

Si  poterono vedere nell’accampamento di Pompeo dei pergolati fatti con frasche, gran lusso di vasellame d’argento, tende il cui pavimento era coperto con zolle erbose, alcune, come quelle di L. Lentulo e di diversi altri, protette dall’edera e inoltre molte cose che denotavano non solo eccessiva mollezza, ma anche troppa sicurezza di vittoria, tanto che si può arguire con certezza che questa gente che ricercava comodità non necessarie, non aveva avuto affatto dubbio sull’esito di quella giornata. Eppure questi individui rimproveravano il lusso al poverissimo e resistentissimo esercito di Cesare, al quale era sempre mancato tutto il necessario. Quando i nostri giunsero all’accampamento, Pompeo, toltisi i distintivi di comandante, montò sul primo cavallo che ebbe sotto mano e uscì fuori dall’accampamento per la porta decumana, dirigendosi a gran galoppo verso Larissa. E non si fermò qui, ma, avendo incontrato pochi dei suoi in fuga, accompagnato da trenta cavalieri con la stessa celerità, senza riposarsi neppure di notte, giunse al mare, si imbarcò su di una nave da trasporto, lamentandosi, come si diceva, di essersi ingannato tanto nel giudizio da sembrare ora quasi tradito proprio da quegli uomini da cui aveva sperato la vittoria e che invece avevano dato inizio alla fuga.

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