CHI ERA EPICURO

CHI ERA EPICURO

CHI ERA EPICURO


1. Vita di Epicuro – 2. Gli scritti.

1. – Epicuro era figlio dell’ ateniese Neocle, che fu uno dei coloni mandati da Atene nel 352 nell’isola di Samo. E pare che a Samo nascesse Epicuro nel 342 o 41 a. C., ma fu cittadino ateniese, del demo di Gargetto: Lucrezio celebra Atene come la sua patria: cum yenuere virum tali cum corde repertum. La famiglia era in condizioni molto modeste; pare che il padre, non bastandogli il campicello • che gli era stato assegnato come colono, facesse il maestro di scuola, e la madre Cherestrate andava, dicono, per le case a fare delle purificazioni per scongiurare la cattiva sorte o le malattie. E si pretende che il figlio l’accompagnasse aiutandola in questo mestiere ; leggeva le formule di purificazione ; il che gli avrebbe dato occasione di conoscere da vicino le superstizioni popolari e la credulità umana. Probabilmente sono storie inventate. I lettori di Demostene si ricorderanno che un mestiere simile avrebbe esercitato la madre di Eschine. Epicuro ebbe a Sanno la sua prima istruzione.

Ci è raccontato che leggendo col suo maestro di grammatica quel luogo di Esiodo in cui è detto che in origine era il caos, e che dal caos sono nate la terra e tutte le altre cose, il ragazzo si sarebbe fermato a domandare : e il caos da che cosa è venuto? Difficoltà alla quale il maestro non seppe rispondere e gli disse che bisognava rivolgersi ai professori di filosofia. Di filosofi ne avrebbe uditi due: un Panfilo platonico che insegnava a Samo, e più tardi, con più profitto certamente, un Nausifane democriteo, che secondo alcuni sarebbe stato anche scolaro di Pirrone, e insegnava nell’isola di Teo.

Cicerone ci dice che Epicuro si gloriava di non aver avuto maestri e voleva passare per autodidatta. Da un’ altra fonte ci è detto che Epicuro si diè con passione alla filosofia quando gli capitarono i libri di Democrito. Certo egli dovette avere un grande concetto dell’ originalità della sua dottrina, e non avrà avuto una grande stima dei filosofi suoi predecessori e specialmente dei contemporanei. All’ età di diciotto anni Epicuro venne una prima volta in Atene ed ebbe compagno nell’ efebia il suo coetanee Menandro, che gli fu amico e del quale ci è rimasto un epigramma, dove Epicuro è paragonato a Temistocle, il cui padre si chiamava pure Neocle : « dei figli di Neocle il primo ci liberò la patria dalla servitù, l’altro ci liberò dalla stoltezza, dalla demenza (acppoalSvoq) » riferendosi agli insegnamenti di Epicuro. Il quale, dopo questa breve dimora in Atene, tornò dal padre che scacciato da Samo con gli altri coloni s’era dovuto rifugiare a Colofone; più tardi fondò una scuola a Mitilene e poi a Lampsaco, dove raccolse un certo numero di amici che gli rimasero fedeli per tutta la vita.


VITA DI EPICURO

Nel 306 ritornò in Atene, comprò per il prezzo di ottanta mine una casa con un giardino, e stabilì ivi la sua scuola che diresse per trentasei anni, fino alla morte. Non si può dire che, finchè visse, sia stato un professore alla moda. I filosofi più in voga erano allora Teofrasto che aveva, secondo Diogene Laerzio, 2000 scolari, e Stilpone il megarico. Altri, come i cinici, davano nell’occhio per la loro singolarità e le loro stranezze. Zenone, lo stoico, godeva l’amicizia del re di Macedonia; altri erano adoperati nelle ambascerie : tutti più o meno personaggi in vista. Epicuro se ne stava tranquillo, appartato, alieno dalla politica, quasi sconosciuto alla città, filosofando nel suo giardino coi suoi discepoli, che del resto non erano pochi. Più che una scuola era una compagnia di amici, una specie di confraternita tenuta insieme dagli studi e dalla fede comune e più ancora dalla simpatia e venerazione che il maestro ispirava.

Ne facevano parte tre fratelli di Epicuro; poi i discepoli Metrodoro, Polieno, Ermarco: Metrodoro, forse il più amato dei discepoli, aveva conosciuto Epicuro a Lampsaco e non lo abbandonò più ; morì sette anni prima di lui, ed Epicuro si prese cura dei suoi figli. E nelle assenze più o meno brevi, e quando vivevano lontani, gli amici si scrivevano con la più grande affezione. Alla scuola erano ammessi anche degli schiavi come quel Mys, che Epicuro libererà nel suo testamento. La massima dei pitagorici () sembrava ad Epicuro una massima di diffidenza reciproca. La scuola viveva della sua proprietà e delle contribuzioni volontarie dei soci che potevano farne. C’erano anche delle donne, la più celebre delle quali era quella Leoutio, che osò scrivere un libro contro Teofrasto e di cui Cicerone loda lo stile (scito illo quidem sermone et attico). Ma ce n’erano altre, dai bei nomi: Hedia, Nikidion. Un filosofo stoico, Diotimo, trovò il modo di pubblicare una specie di libello, nel quale erano contenute cinquanta lettere scambiate tra Epicuro e le sue scolare, e questo con l’intenzione d’ infamare la società epicurea. Si può ritenere con certezza che erano calunnie.

Epicuro è stato uno degli uomini più vituperati e calunniati: credevano di combatterne la dottrina gettando fango sull’uomo ; ma della bontà del suo ‘carattere non è lecito dubitare, anche per la testimonianza di quelli che non gli furono amici. Cicerone che ha sempre combattuto la filosofia di Epicuro, attesta e riconosce esplicitamente la sua rettitudine, la probità disinteressata, la purezza del costume, la bontà generosa dell’ animo. Allo stesso modo Seneca che non è epicureo, e Plutarco che pure lo combatte. Diogene Laerzio celebra le sue virtù, specialmente l’inesauribile bontà e filantropia verso tutti. Doveva esercitare una grande attrattiva su quanti lo avvicinavano. Una certa simpatia umana e generosa, la mitezza del cuore, una saviezza temperata e riposata senza nulla di eccessivo, sembrano essere state le doti principali del suo carattere.

Anche la sua frugalità è fuori di dubbio. « Mandami un poco di quel formaggio di Citno – scrive a un amico – perchè possa darmi un po’ di lusso quando ne avrò voglia ». I pasti della scuola erano molto frugali. Altre scuole, diciamo così più spiritualiste, si trattavano meglio; la scuola peripatetica era celebre per il lusso dei suoi pranzi. Gli epicurei si contentavano del puro necessario. Al quale proposito ricordiamo anche che durante una terribile carestia, quando Atene fu assediata da Demetrio Poliorcete, Epicuro nutrì la sua scuola mettendo a razione se stesso e gli scolari con una piccola provvigione di fave che si trovava di avere. Egli diresse la scuola fino all’ultimo. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati dalla morte dei suoi scolari più devoti ed amati, Metrodoro, Polieno. Egli stesso, malato d’ idropisia e dissenteria, soffre pure del mal della pietra, con dolori atrocissimi. Cicerone ha tradotta totidem verbis la lettera scritta da Epicuro ad Ermarco, che gli successe nello scolarcato : « Epicuro ad Ermarco salute : Ti scriviamo queste cose nel giorno più beato, nell’ ultimo della nostra vita. Le nostre sofferenze sono tante che nulla potrebbe aumentarle.

Tuttavia i nostri dolori sono compensati dalla, letizia dell’animo che ci viene dalla memoria dei nostri ragionamenti e dei nostri trovati. Ma tu, come si conviene al tuo amore per me e per la filosofia che concepisti sin da giovinetto, abbi cura dei figli di Metrodoro ». Nel suo testamento, che ci è stato conservato in Diogene Laerzio, Epicuro dà delle disposizioni precise a favore dei figli di Metrodoro e di altri amici che sono invecchiati filosofando insieme con lui, si occupa delle offerte mortuarie da fare al padre, alla madre, ai fratelli che erano morti prima di lui; mette in libertà quattro schiavi e soprattutto si preoccupa di assicurare la perpetuità della scuola, legando la proprietà dei giardini ad Ermarco e dopo di lui a quello che gli succederà come scolarca; e dispone pure che vi saranno al ventesimo giorno di ogni mese delle riunioni periodiche e dei pasti in comune in memoria di lui e di Metrodoro, e una volta l anno sarà celebrata la data della sua morte, in modo che si mantenga viva l’amicizia che li unisce tutti. E difatti la scuola continua, per molto tempo, sempre più numerosa e senza dissensi. I una delle cose più caratteristiche che la distinguono dalle altre, dalla platonica o dalla stoica per esempio : la scuola epicurea non ha una storia interna, non si sviluppa, sta tutta nell’insegnamento di Epicuro, senza modificazioni nelle cose essenziali; gli scolari accettano docilmente le dottrine del maestro fissate una volta per tutte; non ci sono eresie; ed egli stesso è celebrato come il grande liberatore delle coscienze, colui che ha rivelato la via della vita, la via maestra della scienza e della beatitudine.

2. – Epicuro ha scritto molto, fino a 300 volumi. Diogene Laerzio ci ha conservato i titoli delle sue opere. La più importante era quella zep’c cptSasto;, in 37 libri, ora perduti salvo alcuni frammenti che si son potuti leggere nei papiri di Ercolano dov’ era una villa (dei Pisoni, dicono) con molti libri di Epicuro o di scrittori epicurei. Ma oltre l’opera maggiore c’erano anche dei riassunti, fra gli altri una (..), pure perduta e che si crede sia stata utilizzata da Lucrezio; e poi dei riassunti più brevi destinati a servire come vademecum agli scolari. Ne facevano parte le 5v5pcoa agal, o sentenze fondamentali, di cui abbiamo una scelta in Diogene Laerzio, insieme con tre lettere di Epicuro, una a Erodoto, ch’è anch’essa un riassunto delle dottrine principali della Fisica, un’ altra a Pitocle, che se non è di Epicuro, come alcuni hanno creduto, è compilata a ogni modo con estratti delle sue opere e tratta delle possibili spiegazioni dei fenomeni celesti,

SCRITTI DI EPICURO

astronomici e meteorologici, e infine una terza lettera a Meneceo, d’argomento morale. Tutto questo si trova, insieme con la vita, nel X libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, il quale dunque è la fonte più diretta che noi possediamo intorno ad Epicuro. Importantissimo poi è il poema di Lucrezio che espone principalmente la Fisica, e che aveva senza dubbio davanti a sè i libri di Epicuro. In alcuni libri di Cicerone (specialmente nel De finibus I e II libro, nel De natura deormn e in alcuni luoghi delle Tusculane) sono riferite e di solito combattute le opinioni di Epicuro. Così pure in alcuni opuscoli di Plutarco, come i due che s’ intitolano Adversus Colotem e Non posse suaviter vivi secundum Epicuri decreta, anche questi d’indole polemica. Sono importanti pure alcuni luoghi di Seneca, che cita e qualche volta accetta sentenze di Epicuro e poi una quantità d’ altre notizie e testimonianze che si trovano negli altri scrittori antichi. Tutte queste testimonianze e frammenti, compresi quelli che si trovano in Diogene Laerzio, sono raccolti nel volume dell’ Usener, Epicurea, il quale lascia fuori della sua raccolta soltanto i frammenti ercolanesi dai libri ,capì, (0=0;9 che sono stati studiati in parte dal Gomperz e da altri. Dopo il libro dell’Usener, pubblicato nel 1887, sono stati trovati altri frammenti originali di Epicuro, una raccolta di sentenze (alcune già note, del resto) scoperte da K. Wotke in un codice vaticano e pubblicate da Usener e Gomperz nel X vol. delle Wiener Studien, 1888; e poi più tardi, nel 1892, fu scoperta una grande iscrizione in una città oscura della Licia, Oinoanda, dove un Diogene

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