BONIFACIO VIII CHIESA E STATO MODERNO
BONIFACIO VIII CHIESA E STATO MODERNO
A cavallo tra il XIII e il XIV secolo si gioca una partita decisiva per la storia. I protagonisti sono un papa, Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, dal temperamento duro e focoso, e un re, Filippo IV di Francia, detto il Bello, che sta dando un nuovo volto al suo Regno. È una partita decisiva perché sono di fronte due diverse concezioni del potere: quella medievale e quella che, sviluppandosi, darà forma all’Età moderna. Non mancano certo le ambizioni e gli obiettivi politici. Bonifacio governa lo stato pontificio con mano forte, entra nel gioco dei conflitti per il predominio della Sicilia, media nel contrasto tra Inghilterra e Francia per il controllo delle province inglesi sul continente, lotta contro la famiglia nemica dei Colonna sino alla distruzione della loro roccaforte di Palestrina, interviene nelle divisioni interne di Firenze parteggiando per i neri. Ne fa le spese Dante, il quale, condannato all’esilio dopo la vittoria dei neri, si vendicherà da par suo destinando il papa – ancora vivente – all’inferno. Filippo non ha una personalità meno forte. Ha ereditato dai suoi predecessori la corona più salda d’Europa e intende renderla ancora più accentrata e potente. Lo scontro tra i due inizia quando nel 1296 il clero sia di Francia sia di Inghilterra protesta per l’imposizione di tasse senza la necessaria approvazione della curia pontificia. Bonifacio appoggia le proteste con una bolla, la Clericis laicos, registrata significativamente come “Proposizione sulla libertà della Chiesa”.
Le sue conseguenze nei due paesi sono diverse. In Inghilterra essa provoca il riaprirsi di un contrasto tra monarchia, da una parte, e clero e nobili dall’altra, che porta al rinnovo della Magna Charta Libertatum del 1215, considerata dalla tradizione storiografica il fondamento giuridico del sistema costituzionale e parlamentare; in Francia incontra invece una diffusa opposizione che trova un’importante espressione in alcuni opuscoli nei quali si contesta la superiorità del potere spirituale su quello temporale e si sostiene un processo di spiritualizzazione della Chiesa. Ma, per il momento, tra Bonifacio e Filippo non si arriva alla rottura. Lo impedisce il rimescolarsi degli equilibri politici. È però ormai chiaro che la posta in gioco è ben più alta di una semplice questione di tasse. Si tratta, al fondo, di un problema cruciale: a chi spetta il giudizio ultimo sulla vita di quella realtà sociale che è la cristianità e di cui è parte anche il re? Il Medioevo conosce da sempre la distinzione tra i due poteri; ma non li concepisce se non all’interno di un medesimo orizzonte, qual è, appunto, la cristianità . La questione, spesso citata a sproposito, della teocrazia medievale sta tutta in questi termini.
Il conflitto si riaccende alla fine del 1301 a causa del processo intentato da Filippo contro il vescovo della diocesi di Pamiers, che si conclude con la condanna e l’incarcerazione. Bonifacio reagisce convocando a Roma la leadership della cristianità francese (vescovi, teologi e lo stesso re) per un sinodo speciale. Alla lettera del papa (Ausculta fili) Filippo risponde con una vera e propria campagna denigratoria: manipola la lettera così da renderne il contenuto eccessivo e inaccettabile, e diffonde una sua presunta risposta, che inizia con le famose parole “sappia la tua massima stoltezza…”, nella quale si sostiene che, negli affari temporali, il re non deve sottostare ad alcuna autorità . Convoca quindi l’assemblea degli Stati generali, ottenendo l’approvazione della sua posizione antiromana. Bonifacio, dal canto suo, riafferma il suo diritto di giudicare il re per ragioni di tipo etico (ratione peccati) e pubblica – è il novembre del 1302 – la famosa Unam sanctam, additata da una certa vulgata storiografica come il vertice dell’attaccamento al potere del papato medievale. In realtà la bolla non contiene nulla di nuovo rispetto alla dottrina più volte proclamata in precedenza dai pontefici: esiste un’unica Chiesa alla quale è necessario appartenere per la salvezza; essa ha un solo capo, Cristo, il cui vicario è il successore di Pietro; in essa vi sono due poteri (la spada spirituale e la spada temporale) che non sono sullo stesso piano essendo il potere spirituale superiore al potere temporale e perciò in diritto di istituirlo e giudicarlo. Persino la frase conclusiva, presentata spesso come una sorta d’abuso d’autorità (“è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al pontefice di Roma”) è ripresa da San Tommaso. Anche il resto della vicenda è noto. Filippo progetta un concilio per sottoporre a processo per eresia il papa e invia in Italia il suo uomo di fiducia, Guglielmo di Nogaret, che con Sciarra Colonna, della famiglia sconfitta dal papa, dà l’assalto al palazzo pontificio di Anagni, insulta e cattura Bonifacio, che si apprestava a pubblicare la scomunica al re (7 settembre 1303). Poco importa che egli venga subito liberato dalla popolazione: morirà pochi giorni dopo oppresso dal peso dell’umiliazione ricevuta.
Possiamo sbrigativamente considerare questo esito secondo gli schemi di una diffusa manualistica storica e cioè come la vittoria delle forze di progresso su quelle del retrivo e fanatico potere clericale? Evidentemente le cose sono più complesse.
Non è, in primo luogo, significativo che l’atteggiamento teocratico di Bonifacio VIII abbia di fatto rafforzato quella limitazione del potere regio in Inghilterra che è all’origine dello sbocco non assolutistico della storia inglese? L’idea di un’articolazione dei poteri all’interno di un contesto ideale comune è più interessante e – perché no – più attuale di molte letture preconcette del “buio” Medioevo e delle acritiche esaltazioni dello stato moderno.
È degno di nota, in secondo luogo, il fatto che il potere statale, per affermarsi sulla Chiesa, insiste perché questa si “spiritualizzi”. Ma tutta l’ambiguità di un tale progetto si era manifestata proprio con il predecessore di Bonifacio, il “papa angelico” Celestino V, personalmente assai devoto e irreprensibile, ma non certo in grado di guidare la Chiesa e salvaguardare la sua indipendenza dalla pesante tutela di Carlo d’Angiò, re di Napoli, che aveva influenzato il conclave e manovrava Celestino a suo piacimento. Sicuramente Bonifacio, papa meno ascetico e irreprensibile, ha meglio garantito e assicurato lo svolgimento della missione della Chiesa in quella situazione storica. Lo testimonia anche la proclamazione del Giubileo del 1300, nuova grande manifestazione sociale e popolare di fede. La sua sconfitta lascia via libera all’assoggettamento della Chiesa alla monarchia francese ad Avignone, con la conseguente dilatazione dell’apparato burocratico ecclesiastico e la perdita progressiva di autorevolezza sul popolo. Infine, questa vicenda segna l’inizio dell’affermazione del cosiddetto stato moderno, che è quello stato che si concepisce assoluto, sciolto cioè da ogni altra autorità . La storia dello stato assoluto e del suo rafforzamento è la storia moderna, ma va oltre anche alla storia moderna non finendo – contrariamente a quanto solitamente si pensa – con la Rivoluzione francese.