SVILUPPI DEL REGIME FASCISTA

SVILUPPI DEL REGIME FASCISTA

SVILUPPI DEL REGIME FASCISTA


In Italia, dopo l’ottobre 1922, Benito Mussolini, divenuto presidente del consiglio, avviò una politica di rafforzamento del fascismo e di preparazione di un regime autoritario.

In seguito a elezioni svoltesi nel 1924 sulla base di una nuova legge elettorale voluta da Mussolini (cosiddetta legge Acerbo, con la previsione dei due terzi dei seggi, alla Camera, per la lista che avesse ricevuto più suffragi) si affermò un raggruppamento composto da fascisti e moderati. Tali elezioni furono caratterizzate dalle violenze dello squadrismo fascista e dai brogli.

Questo successo segnò, peraltro, un momento di crisi nel fascismo avviato a diventare dittatura. Infatti il deputato socialista Giacomo Matteotti (1885-1924), in un discorso in Parlamento, denunciò le violenze e la conseguente illegalità delle elezioni. Matteotti stesso fu, quindi, rapito e assassinato da una squadra fascista. Di fronte a questo fatto, e all’emozione e allo sdegno che ne erano seguiti in Italia, la linea politica prevalente nell’opposizione fu quella di abbandonare il Parlamento, con un esplicito richiamo all’Aventino (dove, nella antica storia romana, si erano radunati i plebei, lasciando soli i patrizi), allo scopo di dimostrare l’isolamento morale di Mussolini. Questa linea politica non ebbe successo pratico, anche in considerazione del fatto che il re Vittorio Emanuele III non fece nulla contro il capo del fascismo.

Dopo un primo momento di incertezza, Mussolini, convintosi della propria forza e della sostanziale insufficienza dell’azione dei suoi avversari, in un discorso, del 3 gennaio 1925, con il quale si fa iniziare la dittatura, dichiarò, provocatoriamente, di assumere su di sé ogni responsabilità, storica e morale, del delitto Matteotti.

A partire dal 1925 una serie di leggi cambiò sempre più in senso autoritario il volto dello Stato italiano.

Anche se lo Statuto albertino non venne formalmente abolito, durante il ventennio fascista si poté assistere ad un crescente accentramento di poteri nelle mani di Benito Mussolini, capo del governo e capo del partito fascista, chiamato anche duce. Gli altri partiti politici vennero vietati. Gli oppositori del regime vennero perseguitati, oltre che dalle azioni violente dello squadrismo, dall’opera del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, costituito nel 1926.

La figura del re venne di fatto oscurata e coperta da quella del duce.

In questo quadro di autoritarismo e di accentramento dei poteri nel governo e, soprattutto, nelle mani di Mussolini, le elezioni vennero eliminate. Si cominciò con le elezioni comunali, nel 1926. Si continuò con quelle della Camera dei deputati, che, nel 1939, divenne Camera dei fasci e delle corporazioni, con membri scelti entro le organizzazioni dello Stato fascista.

Va anche ricordato che il regime, nella sua ricerca di un completo controllo di tutta la vita sociale, ammise solo sindacati fascisti che coinvolse nell’organizzazione dello Stato. La produzione era divisa per branche. Per ogni branca, nel sistema fascista, la corporazione riuniva il sindacato dei lavoratori e quello dei datori di lavoro, chiamati ad accordarsi tra loro, al fine di tutelare l’interesse superiore dello Stato. Lo sciopero fu considerato un reato.

Aiuto al regime venne anche dalla sistemazione dei rapporti con il Vaticano, con il Concordato del 1929. Si chiudeva così la questione aperta con la presa di Roma del 1870.

La concezione del mondo del regime fascista era fortemente autoritaria. Per il fascismo lo Stato era molto più importante dell’individuo. Di fronte alle esigenze dello Stato, quindi, potevano e dovevano essere trascurati, e, se necessario, anche calpestati, i diritti e le libertà dei cittadini. Vennero così eliminate, tra le altre, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di stampa, la libertà di associazione. In questo tipo di discorso le idealità dell’illuminismo e della rivoluzione francese (libertà, uguaglianza) erano espressamente rifiutate e condannate. Si deve ancora dire che su questa base di condanna dell’uguaglianza si poté anche sviluppare, nel ventennio di potere fascista, quel razzismo che pure ebbe espressione, nel 1938, nelle leggi razziali contro gli ebrei.

Come conseguenza della concezione che stiamo considerando, il fascismo ebbe una idea gerarchica della vita sociale ed una specie di culto per il capo supremo, il duce Benito Mussolini. In questo modo venne esaltata come una virtù la cieca obbedienza. Slogan, diffusi nel ventennio, come “credere, obbedire, combattere” oppure “il duce ha sempre ragione” sono abbastanza indicativi di questo modo di pensare.

Ad un’esaltazione dello Stato come entità assolutamente superiore ai cittadini, al culto per il capo e alla visione gerarchica della società, si affianca naturalmente nel fascismo il culto per la potenza militare dello Stato e per la sua espressione nella guerra e nella conquista, l’esaltazione della disciplina e delle virtù militari. Va detto che, in questo senso, Mussolini impostò per l’Italia una politica estera di potenza. Tra l’altro, l’Italia occupò l’Etiopia, nel cosiddetto Corno d’Africa, con una guerra, fra il 1935 ed il 1936, che venne condannata dalla Società delle Nazioni. Ad aprile del 1939 venne occupata anche l’Albania.

Già nel 1924, con il trattato di Roma con la Iugoslavia, Mussolini, venendo incontro ai desideri nazionalisti, aveva ottenuto, per l’Italia, Fiume, che, nel 1919, era già stata occupata da D’Annunzio e che, nel 1920, in seguito al trattato di Rapallo, tra l’Italia e la Iugoslavia, era divenuta uno Stato indipendente.

Dal punto di vista dell’economia gli storici hanno individuato, nello sviluppo del regime, due fasi: dapprima, una liberista; quindi un’altra, contrassegnata dall’intervento pubblico nella vita economica.

Molti, comunque, hanno sottolineato, in entrambe queste fasi, la sostanziale situazione di difficoltà e di subordinazione per i lavoratori.

E’ stato messo in rilievo come l’accentuarsi dell’intervento dello Stato italiano in campo economico si sia avuto a seguito della crisi americana del 1929.

Da una parte si può ricordare come questa crisi americana, per l’importanza degli Stati Uniti nella vita economica internazionale, abbia influenzato anche vari altri Stati. Da un’altra parte va osservato che, di fronte, appunto, ai fenomeni di crisi, la strada dell’intervento pubblico percorsa, in modo democratico, dall’America del New Deal venne anche intrapresa dalle dittature dell’Italia e della Germania di Hitler. Sia le due dittature che la democrazia americana fecero intervenire lo Stato nella vita economica.

Davanti alle difficoltà economiche lo Stato fascista organizzò un ente pubblico, detto Iri (Istituto per la ricostruzione industriale), che assunse la proprietà delle azioni delle imprese in crisi. Si provvide anche ad abbassare i salari dei lavoratori. Inoltre si aumentò il peso dei dazi sulle merci estere. A questo ultimo proposito va sottolineato che lo Stato italiano mirò ad una completa autarchia economica, cioè ad una completa autosufficienza dell’Italia nell’economia.

Non possono, infine, non ricordarsi le varie commesse dello Stato alle imprese. Il riarmo collegato alla guerra in Etiopia favorì vari settori industriali.

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