BUCCOLICUM CARMEN GIOVANNI BOCCACCIO

BUCCOLICUM CARMEN GIOVANNI BOCCACCIO


Bucolicum carmen (1349-67)

Quest’opera, scritta in latino, è legata alla tradizione allegorica e allusiva del genere bucolico virgiliano (ripreso nel ’300 da Dante e da Giovanni del Virgilio, e rielaborato dal Petrarca).

Il Bucolicum Carmen comprende 16 egloghe, ossia componimenti poetici espressi in dialoghi, che si riconducono a temi generalmente pastorali e campestri, scritti in diverse date, a partire dal 1349 ca. fino alla loro sistemazione nel 1367. L’opera è dedicata a Donato degli Albanzani (grammatico italiano, che volgarizzò il De Viris Illustribus del Petrarca, ed il De Claris Mulieribus del Boccaccio) amico comune con il Petrarca.

Entro il convenzionale, ma qui concettoso schema dialogico, Boccaccio introduce elementi storici e autobiografici nei termini della finzione pastorale in esametri. Alla giovinezza dell’autore nel periodo napoletano sono ispirate le prime due egloghe Galla Pampinea, che ricalcano da vicino l’VIII e la VII egloga virgiliana. Alle sanguinose disgrazie del regno di Napoli e della corte angioina, sono dedicate le egloghe III – Faunus, la IV – Dorus, la V- Silva Cadens, la VI- Alcestus. La VII – Iurgium e l’VIII – Lipis, riportano a Firenze e ai rapporti di questa città con l’ Imperatore Carlo IVLa IX egloga – Midas, è ferocemente dedicata all’amico-rivale Niccolò Acciaiuoli, grande siniscalco del regno (il mestiere di siniscalco nelle corti medioevali era un titolo spettante al maestro di casa o ad alti dignitari). La X – Vallis Opaca, vuole rappresentare il mondo degl’Inferi. L’XI – Pantheon, è un dialogo mistico-teologico fra la Chiesa e S. Pietro. La XII – Sophos e la XIII – Laurea, esaltano la poesia. La XIV – Olympia, è dedicata alla figlia Violante, deceduta precocemente. La XV – Phylostrofos, è un elogio del Petrarca. La XVI ed ultima egloga, Aggelos, è una dedica all’opera dell’amico.

Il Bucolicum Carmen, com’è convenzione della poesia bucolica, da Virgilio in poi, rappresenta avvenimenti personali sotto le artificiose sembianze della vita praticata nelle campagne. Inoltre, questi componimenti sono pieni di oscure allusioni, di dubbi religiosi, di espressioni di entusiasmo verso il Petrarca che gli aveva ispirato l’ambizione di meritarsi il nome di poeta.


DESCRIZIONE DEL CONTENUTO DELLE ECLOGHE I, III E XIV

GALLA (I)

I personaggi della I egloga sono:

Damone: nome che cela una presunta allusione allo stesso Boccaccio;

Tindaro: nome con allusione sconosciuta;

Galla (ninfa): con questo nome il Boccaccio fa riferimento ad un nuovo amore in cui lui trova conforto nella lontananza da Fiammetta;

Panfilo: nome ricorrente anche in altre opere del Boccaccio che letteralmente significa amore;

Quest’egloga racconta il dialogo di due pastori, Damone e Tindaro. La storia fa riferimento al tema dell’amore che Damone nutre per la bella ninfa Galla Un giorno lei rimase ammaliata da un altro pastore di nome Panfilo. Damone racconta a Tindaro del suo dolce amore che lo ha tradito e, come se il tradimento avvenisse davanti ai suoi occhi, egli riporta minuziosamente i dettagli e gli sguardi infuocati tra la splendida ninfa e Panfilo. Il racconto è segnato molto dal dolore per il tradimento dell’amata. “Finalmente mi porti via la nera morte, ponendo termine a questo mio incendio; e i pastori compassionevoli coprano la mia spoglia di asciutte zolle e di versi ornino il Sepolcro”, canta il povero Damone.

FAUNUS (III)

I personaggi della III egloga sono:

Palemone, Panfilo e Meride: pastori simbolici che alludono a tre diverse espressioni di un unico sentire;

Testili: La città di Forlì durante il  XIV secolo, quando uno dei ghibellini, Francesco Ordelaffi decise di unirsi all’Esercito ungherese di Re Luigi per il valico degli Appennini. L’evento inizia da un episodio caratteristico: morto nel 1343 il vecchio e saggio Re di Napoli, Roberto D’Angiò, gli successe Giovanna, nipote allora diciassettenne. Nel 1333 Giovanna sposò Andrea, figlio minore di Caroberto D’Angiò, Re d’Ungheria. Nel 1345 Andrea venne assassinato di notte ad Aversa (CE), in un agguato da parte di cortigiani, tra i quali erano certamente i membri di famiglie nobili della corte angioina (i Durazzo, i Taranto, ecc.). Apparve subito chiaro che il principe Andrea era stato ucciso da chi temeva di  ricevere danno da una sua eventuale ascesa al trono di Napoli. Il fratello maggiore, Luigi, dopo aver punito i sicari, si armò e marciò sul Regno di Napoli per vendicare il fratello ed uccidere i mandanti: si presume Giovanna, incinta, ed alcuni suoi complici.

Fauno: Francesco Ordelaffi, uno dei signori ghibellini che usurpò gran parte delle terre della Chiesa. Uomo di guerra ed estremamente irrequieto, era in continua lotta con i vicini. L’Ordelaffi lasciò il suo Stato nelle mani dei figli, Giovanni ed Enrico, che dovettero fronteggiare un improvviso attacco del Conte Astorgio di Durfort, che agiva per conto della Chiesa. Il Conte marciò su Forlì  con un possente esercito e saccheggiò la città indisturbato. Reso a conoscenza della situazione l’Ordelaffi chiese al Re di Ungheria di ritornare a Forlì per risolvere la situazione.

Orsi: Gli ungheresi impegnati nella difficile traversata degli Appennini;

Lupi Allobrogi: Gli Allobrogi erano un popolo della Gallia Narbonese, nella regione del Rodano;

Argo: Il defunto Roberto D’Angiò;

Alessi: Principe Andrea; non risulta veritiera l’affermazione nel testo che Roberto D’Angiò diede in successione il trono ad Andrea, bensì a sua nipote Giovanna;

Titiro:  Il Re Luigi di Ungheria;

Lupa gravida: Giovanna, nipote di Roberto D’Angiò;

Leoni: i complici di Giovanna.

Gli interlocutori di quest’egloga sono i tre pastori: Panfilo sonnecchiava sotto l’ombra di un albero, mentre i suoi maiali pascolavano tranquilli, quando Palemone con passo svelto si appresta verso il pastore per annunciargli la notizia: che Testili stava di nuovo litigando con Fauno, richiamandolo all’appello per i suoi doveri di padre e di guida. Fauno era più che mai deciso di andare a cacciare gli Orsi attraverso le montagne, lasciando così sua moglie e i suoi figli incustoditi nelle fauci dei Lupi Allobrogi. Al colloquio tra Panfilo e Palemone, si aggiunge anche il vecchio Meride che con la sua notevole esperienza, offertagli dalla sua età, inizia a raccontare i tempi in cui Argo dominava le copiose greggi e diffondeva il suo canto nel territorio. Un giorno, però l’atroce Parca lo portò nel cielo che si era guadagnato; così morendo Argo affidò le sue terre al giovane Alessi, che per un periodo condusse tranquillo le greggi per i pascoli, quando incontrò una Lupa gravida e rabbiosa che lo aggredì e gli azzannò la gola. Titiro, fratello di Alessi, pianse a lungo, ma armato di coraggio si diresse verso la foresta con i cani per scovare ed uccidere la Lupa ed i Leoni. Alla marcia di Titiro si aggiunsero Fauno ed altri, nonostante le grida disperate di Testili. Da lì anche Panfilo decise di partire rassicurando Palemone  nella buona riuscita dell’impresa.

OLYMPIA (XIV)

Silvio: Boccaccio;

Camalo, Terapone: I due servi;

Lico:  Nome del cane;

Olympia: Violante, la figlia del Boccaccio morta prima dei sette anni. L’autore  ne parla anche nella lettera al Petrarca del 1367, precisando che egli la vide per l’ultima volta quando essa aveva meno di sei anni;

Mario e Giulio: Sono certamente i nomi dei figli del Boccaccio, nati circa venti anni prima della scomparsa della figlia Violante;

Le sorelline: Probabilmente due, morirono forse prima di avere un nome.

Il Boccaccio nella epistula XXIII (1374?) scritta a fra Martino da Signa, spiega: “Quartadecima egloga Olympia dicitur olimpos grece, quod splendidum seu lucidum latine sonat, et inde celum  dicitur Olympus; et ideo huic egloge hoc nomen Olympia attributum est, quoniam in ea plurimum de qualitate celestis  regionis  habeatur sermo” .

 Una sera, al tramonto Lico iniziò ad abbaiare allegramente, mentre Silvio ed i due servi si apprestavano a rincasare. Silvio decise di scoprire la motivazione per cui il cane abbaiava e manda Terapone a controllare. Il servo ritornò poco dopo, spaventato, affermando che il bosco stava bruciando completamente. Silvio arrivò sul luogo insieme ai due servi e  notò che non si trattava di un incendio, bensì di una luce accecante.

 Accompagnata dai suoi fratelli e sorelle, Olympia si rivelò al padre, che incredulo credette di sognare. Dopo poco prendendo coscienza della scena che gli si poneva davanti, Silvio chiese alla figlia perché non si sia fatta più vedere e sentire. Essa con dolci parole, raccontò al padre che era volata in cielo, parlò della figura di Dio, della Vergine Maria, di quando è stata accolta in cielo e dell’incontro con il nonno. Infine la figlia tornò nei Campi Elisi salutando il padre e con un angelico sorriso lo confortò che prima o poi si sarebbero ritrovati e vissuti insieme per l’eternità.

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