CORBACCIO GIOVANNI BOCCACCIO

CORBACCIO GIOVANNI BOCCACCIO

CORBACCIO GIOVANNI BOCCACCIO


(1365)

Opera satirica scritta in volgare intorno al 1365. Il significato del titolo è incerto: corbaccio può stare o per brutto corvo e va riferito alla vedova, vestita di nero; o secondo altri potrebbe derivare dallo spagnolo corbacho che vuol dire frusta, poiché questa opera “frustra” le donne.

Il titolo Corbaccio si trova di solito accompagnato dal sottotitolo Laberinto d’Amore, tratto dall’argomento del libro, e apparso nell’edizione fiorentina del 1487. Causa della composizione si dice che fosse una poco brillante avventura amorosa del Boccaccio, ormai quarantenne, che invaghitosi di una vedova, le rivelò per lettera il suo “ardente desiderio”. Ne ricevette in risposta una letterina alla quale il Boccaccio credette, spiegandosi con maggior ardore e precisione in una seconda lettera. La donna mostrò le due lettere ad un suo amoroso, sollazzandosi poi pubblicamente a spese del Boccaccio che si trovò schernito “a guisa d’uno beccone” e con il libro fece la sua vendetta.

Dormendo, l’autore sogna di errare per incantevoli luoghi (le lusinghe dell’amore), quand’ecco, senza che egli se ne fosse accorto, si trova in una selva selvaggia e inestricabile, che è il Labirinto d’amore, dove espiano, trasformati in bestie, i miseri irretiti dal fallace amor della donna. Interviene in buon punto un’ombra inviata dal cielo a salvare il Boccaccio, che si rivela essere proprio il defunto marito della vedova e che gli rivela le atroci astuzie e le vituperevoli intimità di quella degna rappresentante del sesso femminile creato a vergogna e dannazione dell’uomo. Al Boccaccio è imposto come penitenza di rivelare ai vivi quanto a udito: cosa che egli si accinge ad eseguire con la miglior voglia del mondo.

Questo libro fa parte della letteratura misogina medievale che il Boccaccio, in parte, senza dubbio conosceva.