ZANITONELLA TEOFILO FOLENGO

ZANITONELLA TEOFILO FOLENGO

Martina Fulceri

TEOFILO FOLENGO

Zanitonella

Biografia

Nacque nel 1491 da una famiglia aristocratica mantovana in declino.

Probabilmente sull’esempio di molti dei suoi fratelli, abbracciò nel 1508 l’ordine benedettino e subito dopo cambiò il suo nome originale, da Girolamo Folengo in Teofilo.

Fra il 1513 e il 1516 fu ospite presso un convento di Padova dove entrò a contatto con la lingua maccheronica dei circoli goliardici: la usò nelle sue opere per tutta la vita e fu elemento determinante del suo stile.

Nel 1517 uscì a Venezia la prima edizione delle Maccheronee, la versione finale della quale comprendeva opere in latino maccheronico come il Baldus, il poema cavalleresco Orlandino, la Zanitonella, il Caos del Triperuno, il poema dellaMoscheide e diversi epigrammi.

A causa di alcune satire malevole rivolte a dei confratelli, decise, forse su pressioni esterne, di lasciare l’ordine nel 1525 e di trasferirsi a Venezia.

Lì prestò servizio per alcuni anni presso il capitano della Repubblica, Camillo Orsini, come precettore dei suoi figli e vi rimase fino a quando nel 1534, dopo un periodo di penitenza, venne reintegrato nuovamente nell’ordine benedettino.

Dopo alcuni anni passati in diversi conventi siciliani, ritornò nel nord Italia e si stabilì a Santa Croce di Campese dove morì nel 1544.

LA ZANITONELLA

La particolarità di Folengo fu l’uso di una lingua puramente letteraria, nata in ambiente padovano da poeti maccheronici come Tifi Odasi e Matteo Fossa.

Questa lingua era una fusione di tre componenti, latino, volgare e dialetto: Folengo la modellò fino a trasformarla in una lingua poetica piena di energia.

La Zanitonella, poemetto parodico delle Bucoliche di Virgilio, si sviluppò dalle due «Eclogae» che introducono il Baldus e rappresenta più di tutte le altre opere la perfetta coesione ed equilibrio fra gli elementi del latino maccheronico utilizzato da Folengo.

La prima versione della Zanitonella fu inserita nella seconda edizione delle Maccheronee; il suo nome originale era:Zanitonella sive Innamoramentum Zaninae et Tonelli (Zanitonella ovvero l’innamoramento di Giannina e Tonello), tuttavia il sottotitolo della versione definitiva fu Amor Tonelli (L’amore di Tonello).

Questo sottotitolo è decisamente più adatto al contenuto dell’operetta in quanto l’amore che Tonello prova per Giannina, o Zanina, non è in alcun modo corrisposto e la figura di Giannina stessa è completamente assente dalla scena.

Lo sfondo parodico di quest’opera cambia completamente la concezione dell’amore lirico e ne sconvolge il regolare svolgimento.

Tonello che brucia d’amore per Giannina, fa tutto il possibile per entrare nelle sue grazie porgendole mille attenzioni. Spreca il suo tempo dolendosi e pensando alla sua amata con il solo risultato di trascurare il lavoro e impoverirsi.

Per la disperazione arriva al punto di suicidarsi, ma l’amico Salvigno lo dissuade: da questo momento in poi Tonello vive un processo di catarsi che lo porterà al disinnamoramento e disillusione totale.

(Zanitonella, XII cap.)

 

O mihi giornus maledictus ille,

ossa cum pro te mihi tota sensi

obteri dardis ab Amore iactis!

O furor, o mors!

Possit ad terram rigolare coelum.

Possit ad centrum ruinare terra,

Oh giorno maledetto,

in cui tutte le mie ossa furono fracassate

dalle frecce scagliate da Amore!

Oh rabbia, oh morte!

Possa il cielo precipitare sulla terra,

possa la terra spaccarsi nel suo centro,

possit in flammas simul omnis ire

pontus et aër:

quin simul cunctae pereant puellae,

quin simul vacchae moriantur istae;

quaeque donna rum meritat picari,

quaeque brusari.

Rumor et lites veniunt ab illis,

rixa cum foemnis partier creatur,

ricchus est mundus diavolabus istis,

ricchior orcus.

Semen est mendax muliebre, vanum,

semen ingratum, petulans, malignum,

sordibus plenum, putridum, diabli

stercore plenum.

Troia per solam cecidit bagassam:

totus it mundus simul ad brodettum,

tuque per puttam modo iam, Tonelle,

temet apicca.

Vado piccari, locus iste non est

vistus. En sogam iugulo tacavi.

Vado iam supra salicem, sed, ah, quis

volgitur istuc?

possano insieme disperdersi in fiamme

il mare e l’aria:

quindi affoghino insieme tutte le ragazze,

e tutte insieme muoiano queste vacche;

che tutte le donne meritano di essere impiccate

o almeno bruciate.

Rancori e litigi vengono da loro,

dalle femmine nascono le guerre,

e di queste indemoniate è gremito il mondo

e ancora di più l’inferno.

Seme bugiardo è quello della donna, vano,

seme ingrato petulante, maligno,

gravido di sconcezze, putrido, un diavolo

pregno di sterco.

Troia cedette solamente a una bagascia:

tutto il mondo se ne va in mona,

e tu, per una puttana, Tonello, è ora

che t’impicchi.

Vado ad appendermi, e questo luogo mi sembra

ben nascosto.

Alla corda ho attaccato la mia golaccia.

Salgo già sul salice, ma… Ah, chi

sta arrivando adesso?

(Versione italiana di Franco Loi)

COMMENTO

Questo brano è un punto chiave di tutta l’opera in quanto rappresenta la divisione netta fra l’innamoramento e in disinnamoramento di Tonello.

Tonello è talmente pazzo d’amore che arriva a dimenticarsi delle persone che lo circondano, del suo lavoro e anche di se stesso. Non riuscendo a farsi ricambiare e non riuscendo a far tacere i sentimenti che lo dilaniano, arriva alla conclusione che l’unica possibilità ragionevole rimastagli è la morte stessa, l’annullamento totale.

Folengo ha posto nel ruolo di protagonista un ingenuo contadino, inserendolo in un contesto lirico dove l’Amore è il centro di tutto.

Tonello si ritrova nell’incapacità di affrontare la situazione, ad amare fortemente e all’unisono odiare pazzamente la donna che non lo ricambia. Non riuscendo a trovare un equilibrio, oscilla fra le lodi e gli insulti nei confronti di Giannina.

Folengo utilizza un pizzico di misoginia per ironizzare ulteriormente la situazione di Tonello, che stravolto da un odio cocente si sfoga arrivando ad offendere tutte le donne (Semen est mendax muliebre, vanum, semen ingratum, petulans, malignum, sordibus plenum, putridum, diabli stercore plenum.).

Dimentico di tutto, perde le sue ricchezze e i suoi amici; e l’amore che lo invade unito al dolore che questo amore produce (O mihi giornus maledictus ille, ossa cum pro te mihi tota sensi obteri dardis ab Amore iactis!) lo spingono alla follia.

Il suicidio non si adegua tuttavia all’atmosfera scherzosa e sarcastica di questo poemetto, né tantomeno al carattere semplice di Tonello.

Per tutto il dodicesimo capitolo, Tonello minaccia di impiccarsi a un salice, ma dopo le varie invettive rivolte contro le donne, gli insulti nei confronti di Giannina e i vari lamenti, basta un verso (En sogam iugulo tacavi. Vado iam supra salicem, sed, ah, quis volgitur istuc?) per far comprendere al lettore, che probabilmente lo aveva già intuito, che questa non è la fine riservata al protagonista.

Questo passaggio rappresenta l’apice di un sentimento che d’ora in poi può solamente declinare.

E’ infatti presente di seguito un processo di catarsi, rappresentato ironicamente da ubriacature e scontri violenti con altri personaggi, che permette a Tonello di rinsavire.

Un semplice contadino ha praticato il più poetico amore, quello non corrisposto, ma, invece di cedergli completamente, è riuscito a comprenderne l’assurdità e l’inutilità e, vincendolo, a cambiare e maturare.