WILLIAM SHAKESPEARE GIULIO CESARE

WILLIAM SHAKESPEARE GIULIO CESARE

WILLIAM SHAKESPEARE GIULIO CESARE


William Shakespeare (1564-1616) è uno dei maggiori autori della letteratura mondiale. Si ricorda principalmente come drammaturgo, cioè come autore di teatro, ma egli compose anche opere di alto genere non meno famose ed eccellenti:

Drammi storici (dal 1589 al 1595) come Enrico V; oppure commedie come Sogno di una notte di mezza state; Molto rumore per nulla; Come vi piace.

Tragedie (dal 1595 al 1600) quali, Giulio Cesare e Romeo e Giulietta.

Grandi tragedie nel periodo 1600÷1608, Amleto; Otello; Macbeth; Antonio e Cleopatra.

Infine verso l’ultimo periodo (1608÷1612), quello dei cosiddetti “romances”, da alcuni definiti “tragicommedie” perché caratterizzate da una fuga verso atmosfere fiabesche e romanzesche (basti pensare a La tempesta).

Shakespeare passò dunque con grande disinvoltura, dalla storia antica alla storia moderna, dalla fiaba allegra alla cupa leggenda, dalla commedia ricca di teneri sentimenti alla tragedia sanguinosa. Si può dire che non vi sia quasi alcun carattere che egli non abbia illustrato attraverso i suoi personaggi: allegri burloni e tiranni spietati; giovani ingenui e carichi di entusiasmo, nonché vecchi carichi di saggezza e malinconia.

Grande è soprattutto l’arte di Shakespeare nel descrivere le incertezze, le indecisione del carattere, le ambiguità del comportamento, la drammaticità delle scelte da compiere. Nel far ciò egli non temette di portare sulla scena come protagonisti, anche degli eroi “negativi” (ossia, personaggi che si discostano dal modelli ideale dell’eroe puro e coraggioso), mostrando impietosamente di ciascuno, non solo virtù, ma anche i vizi, le contraddizioni, le debolezze; tanto che uno stesso personaggio assume talvolta toni tragici e comici insieme. In questo egli diede prova di grande libertà rispetto ai modelli letterari del suo tempo, che imponevano di presentare ogni personaggio in una sorta di tipica “fissità”, in modo che il buono e il cattivo fossero facilmente individuabili dallo spettatore.


SINTESI DELL’OPERA E CONTESTO STORICO

Il Giulio Cesare ricostruisce uno dei fatti più importanti e drammatici della storia di Roma, in un periodo che va dal primo triumvirato fino alla sconfitta degli uccisori di Cesare avvenuta nel 42 a.C.

Intorno al 50 a.C., Pompeo, il grande rivale di Cesare, aveva ottenuto dal senato il governo assoluto dello Stato. Cesare, che voleva riprendersi il potere, marciò su Roma e costrinse Pompeo alla fuga. Tornato a Roma dopo la parentesi con Cleopatra (appoggiandola per la contesa del trono d’Egitto), Cesare venne nominato dittatore a vita, ottenne la nomina a console, la carica di tribuno della plebe, la prerogativa di stilare la lista dei nomi dei senatori, nonché la carica di pontefice massimo. Il suo progetto molto probabilmente, era quello di riformare profondamente lo Stato, non di trasformarlo in una monarchia, come tuttavia si poteva sospettare in considerazione dell’enorme quantità di potere ormai saldamente nelle sue mani.

Con notevole fiuto politico, egli allargò la classe dirigente ai cavalieri e ai provinciali, ottenendo così il loro appoggio e la loro gratitudine. Estese la concessione del diritto di cittadinanza, fece diminuire la disoccupazione con l’incremento di lavori pubblici ed infine aumentò il numero dei senatori anche se di fatto il senato fu ridotto ad un’assemblea priva di reali poteri decisionali.

In questo contesto e con un tale accentramento di potere, Cesare venne considerato da alcuni repubblicani (fra cui Cassio e Bruto), il nemico della patria e della Repubblica. Così il 15 Marzo del 44 a.C. (le Idi di Marzo, come dicevano i romani), cadde vittima di una congiura ordita dai più intransigenti difensori delle istituzioni repubblicane.

L’assassinio trova impreparato il popolo di Roma, che dapprima applaude gli uccisori, ma ben presto (dopo la lettura del testamento di Cesare ed il grande discorso oratorio ad opera di Marc’Antonio), si schiera con gli amici dell’ucciso.

Bruto e Cassio sono costretti a fuggire da Roma verso l’Oriente, dove contano di organizzare un esercito per combattere Marc’Antonio. Nel frattempo a Roma si forma il secondo triumvirato (quello fra Marc’Antonio, Ottaviano e Lepido), decisi a sconfiggere i cesaricidi. E così fu: a Filippi (in Macedonia), dopo una sanguinosa battaglia, tutti i congiurati vennero uccisi. Su quest’ultimo argomento (che nella realtà storica avvenne due anni più tardi, nel 42 a.C.), la tragedia si chiude.


ANALISI DEI PERSONAGGI

Giulio Cesare

Nella tragedia shakespeariana Cesare appare come l’uomo più importante di Roma: era infatti da poco stato eletto dittatore a vita. Persona molto ambiziosa, con le doti necessarie per mirare molto in alto. Era molto coraggioso e astuto, caratteristiche che lo hanno portato al potere; inoltre era ben visto dal popolo. Gli fu offerta la corona di imperatore per ben tre volte, ma lui per ben tre volte la rifiutò.

Shakespeare presenta Cesare in modo poco lusinghiero, lo fa apparire come un uomo presuntuoso e anche un po’ ingenuo: caso significativo fu quando dovette scegliere se rimanere a casa, come suggeritogli dalla moglie, o andare in Campidoglio, come contrariamente gli aveva consigliato Decio (anche lui partecipante alla congiura).

Di Cesare non avevano una grande opinione nemmeno Bruto e Cassio, i quali lo ritenevano una persona eccessivamente ambiziosa e pertanto pericolosa per la libertà dei romani e per la sopravvivenza della Repubblica.

Cassio

Caio Cassio è un personaggio molto importante all’interno della tragedia. Egli insieme a Bruto ed altri, fa parte dei giovani repubblicani che, con una congiura, assassinano Cesare perché lo vedono come un mortale pericolo per la Repubblica.

Cassio è un grande pensatore e macchinatore e infatti, è il vero organizzatore dell’uccisione di Cesare. Egli è molto temuto da Cesare, che lo ritiene un grave pericolo per sé stesso e per il suo potere. Nel contempo è molto temuto anche da Antonio: quest’ultimo infatti non si rivolge a Cassio quando chiede il permesso di parlare al popolo, ma a Bruto. Dopo l’uccisione di Cesare e i successivi discorsi di Antonio e di Bruto, Cassio temendo per la su incolumità, si rifugia con Bruto in Oriente allo scopo di creare un esercito contro Antonio e Ottaviano.

Bruto

Personaggio determinante che accresce il valore della tragedia. Egli è si un assassino, ma Shakespeare lo descrive come un eroe, un nobile di spirito il cui scopo è quello di salvare Roma e la Repubblica. Egli dunque non è certo animato dall’odio e dal rancore personale, ma dalla preoccupazione che Roma possa perdere la libertà e trasformarsi in un regime tirannico. Bruto amava molto Cesare (pare fosse suo figlio adottivo), ma amava maggiormente Roma e la Repubblica: e questo egli lo rende molto esplicito al popolo, al quale spiega esattamente il perché della sua azione omicida. Essendo un grande oratore, Bruto riesce in tal modo, ad accattivarsi i favori del popolo, che lo acclama e gli dà ragione (almeno fino a che non interviene Antonio…). Proprio dopo il discorso di Antonio, i popolani cambiano radicalmente opinione nei confronti dei congiurati e quindi Bruto è costretto a rifugiarsi in Oriente insieme a Cassio.

L’amore di Bruto per Roma e le sue istituzioni, è così forte da renderlo capace di uccidere una persona a lui molto cara; per Bruto essere fedeli alla patria significava essere sempre pronti a difenderla e rischiare addirittura la vita per essa. Insomma, bisognava amare la patria più di ogni altra cosa e persona! E Bruto è stato capace di questo, reprimendo ogni suo sentimento che lo legava a Cesare.

Antonio o Marc’Antonio

Nella prima parte della tragedia, ha un ruolo marginale.

Egli è uno dei più fedeli e importanti collaboratori di Cesare, lo è rimasto anche dopo la sua morte, portandone avanti gli ideali e vendicandone la morte sconfiggendo i congiurati. Anche Antonio può essere considerato un personaggio che ama la patria. Infatti, leggendo a tutto il popolo il testamento di Cesare e attraverso il suo discorso, la vuole sottrarre ai cesaricidi, che si volevano perseguire i loro ideali, ma allo stesso modo hanno ingannato il popolo “esagerando” sul conto di Cesare. Questi era certamente un uomo ambizioso, ma non era sicuramente colpevole di alcun reato e quindi di meritare la morte.

ANALISI DEL TESTO

Tragedia classica teatrale, divisa in cinque “atti” in prosa composti da “scene”. Presenta quindi (in qualità di tragedia classica), solamente discorsi diretti introdotti da brevi frasi che descrivono la scena.

È un testo di tipo ARGOMENTATIVO.

La figura del narratore è completamente scomparsa, il punto di vista è “interno”, la narrazione è in prima persona, la fabula e l’intreccio sono coincidenti.

L’orazione di Bruto è in PROSA, mentre quella di Antonio è in VERSI (senza rime né una metrica precisa); il fatto è significativo in quanto indica una “nobilitazione”, un’”elevazione” nel discorso di Antonio.

La scena più importante dell’intera opera[1] (atto III, scena seconda), è un grande esempio di arte oratoria: dapprima Bruto e poi Antonio, arringano la folla. Quest’ultima svolge un importante ruolo di supporto: interviene di continuo con esclamazioni e commenti che ne rilevano appieno la volubilità[2] e l’incostanza. Shakespeare vuole mostrare che il popolo di Roma è facile preda dell’eloquenza altrui, e che non possiede carattere e idee proprie. Questo è un elemento che va tenuto ben presente per comprendere il significato della scena. Infatti, che valore può avere il gesto in difesa della democrazia compiuto da Bruto e Cassio e dagli altri congiurati, se il popolo stesso sembra non essere più maturo per l’esercizio della democrazia, che richiede coscienza salda e senso critico? L’amara ironia di Shakespeare lascia intendere che, data la situazione, alla dittatura di Cesare non potrà che seguirne un’altra ancora più rigida (come di fatti avvenne, con al costituzione dell’impero, che abbatté gli ultimi resti delle istituzioni repubblicane). Questo celebre episodio storico, serve dunque di pretesto all’autore per condurre un’acuta riflessione su temi politici di estrema attualità, soprattutto dell’Inghilterra del suo tempo, che si avviava a diventare una grande potenza politica e militare. Ed egli non perde l’occasione per mostrare che la realtà politica è un fatto complesso e difficilmente interpretabile, o comunque difficilmente semplificabile entro schemi precostituiti. Cesare era un dittatore; ma era anche un abile uomo di Stato, non privo di atteggiamenti illuminati (si pensi al testamento da lui scritto in favore dei cittadini di Roma, su cui insiste Antonio per infiammare gli animi della folla). Bruto e Cassio sono uomini disinteressati, che agiscono in nome di ideali purissimi (come riconosceranno gli stessi Antonio e Ottaviano nelle ultime battute della tragedia, dopo la loro vittoria a Filippi); ma sono anche personaggi ingenui, che smuovono una situazione alquanto complessa, senza avere forze e prestigio sufficienti per dominare le conseguenze del proprio gesto. L’esito della lotta appare dunque scontato già fin da questa scena, che presenta, come si è detto, lo scontro oratorio tra Bruto e Antonio. Il primo riscalda i cuori esaltando la libertà riconquistata, non senza dichiarare il proprio affetto per Cesare, che egli dice di aver ucciso per compiere un supremo dovere. Il secondo prende la parola di fronte ad una folla inizialmente ostile, e deve di conseguenza agire con circospezione; ma ben presto egli riesce a capovolgere a proprio favore le circostanze, e mostra addirittura di saperne approfittare con freddo e calcolato cinismo (si veda il suo dialogo col servo, alla fine dell’episodio).

Shakespeare ci presenta dunque, con assoluta imparzialità, due opposti esempi di complessità psicologica: Bruto, che ama Cesare, lo uccide in nome di un amore ancora più grande, quello per la libertà; Antonio, che è sinceramente commosso alla vista del corpo esanime del dittatore, si sforza di sfruttare astutamente a proprio vantaggio la tragica vicenda.

Nel leggere questo brano si dovrà fare attenzione a cogliere la sapiente orchestrazione degli artifici retorici. Si veda innanzitutto, il sottile godimento intellettuale insisto in certe arguzie verbali, che sono tipiche del gusto e della cultura del tempo (“credetemi sul mio onore, e abbiate rispetto per il mio onore per potermi credere”). Si vedano inoltre, i giochi di simmetria nella costruzione del periodo (come la serie “amore, fortuna, coraggio e ambizione” nel primo monologo di Bruto); le insistite ripetizioni, che conferiscono al discorso un tono concitato, in un crescendo di tensione e di slancio oratorio (“chi c’è, qui…? Se uno c’è…”, sempre nel primo monologo di Bruto; oppure il celebre “e Bruto è uomo d’onore”, nel primo monologo di Antonio); ed anche le finte reticenze di Antonio (“meglio che non sappiate che Cesare vi ha nominati suoi eredi; perché, se lo sapeste…”).

Antonio, del resto, finge grande umiltà nei confronti dell’eloquenza di Bruto (“io parlo come viene”), proprio per accrescere l’effetto delle proprie parole. Ma in realtà l’eloquenza di Antonio è soltanto diversa, non certo meno efficace di quella del suo rivale, la quale si caratterizza semmai per l’uso di schemi più altisonanti. Difatti, Bruto parla di sé in terza persona, quasi a volersi contemplare dall’esterno, in maniera distaccata, per meglio giudicare e giustificare il proprio gesto omicida (si direbbe che egli sia, anche nel modo di parlare, al servizio di un’idea astratta; nobile quanto si vuole, ma astratta). Antonio, invece, perfettamente lucido e padrone di sé, usa costantemente la prima persona nel riferirsi a sé stesso; ma la sua arte oratoria non appare per questo meno penetrante. Si veda difatti l’abile amplificazione con cui egli cerca di coinvolgere i presenti nel lutto per la morte di Cesare (“il gran Cesare cadde. Ah! Che caduta fu quella, concittadini! Allora io, voi, tutti noi cademmo…”).

[1] Quest’opera, che ha avuto altresì un grande riscontro cinematografico, è uno dei testi più validi nell’ambito della comunicazione.

[2] Volubilità = superficialità, leggerezza, incostanza.

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