VITTORIO ALFIERI PENSIERO E POETICA

VITTORIO ALFIERI PENSIERO E POETICA


L’adesione all’Illuminismo assunse in Alfieri un carattere particolare : a causa della sua indole
inquieta e tormentata, il poeta trasformò il più alto ideale illuministico, la libertà, in
un’aspirazione dell’individuo a emanciparsi dalle regole e dalle convenzioni sociali. Questo è
il motore dell’azione, il nucleo centrale di gran parte delle sue tragedie, in cui si assiste spesso
allo scontro di un singolo con le esigenze della collettività( lo Stato, la famiglia, ecc).
Nella stesura dei testi tragici, Alfieri seguiva un metodo che può essere così riassunto: ideare,
stendere, verseggiare (trovare un soggetto interessante e fissarlo in prosa; distribuire il
contenuto nelle varie scene dei singoli atti; infine scrivere il testo in endecasillabi, secondo la
consuetudine del teatro tragico settecentesco).
Egli aveva, inoltre, una concezione morale, educativa dell’arte, di derivazione non solo
illuminista ma anche classicista: per questo motivo l’argomento delle sue tragedie è
esclusivamente storico o mitologico (ad eccezione del Saul), poiché solo attraverso temi
conosciuti da tutti egli riteneva possibile trasmettere degli insegnamenti ai lettori. La poesia
divenne per Alfieri il mezzo più efficace per esortare gli italiani a liberarsi dal dominio
straniero. Nel trattato “Della Tirannide” egli criticò il potere dispotico, incoraggiando la
ribellione contro qualsiasi forma di assolutismo e di potere che, in quanto tale, viola la libertà
dell’individuo. Per Alfieri, vero uomo è solo colui che si ribella e lotta per la propria
indipendenza. Il tiranno e l’uomo libero hanno comunque un tratto comune: entrambi, seppure
per motivi opposti, si elevano sopra le masse vili e inerti. Il conflitto con il potere, tuttavia
porta quasi sempre l’eroe alla morte. Anche i tiranni finiscono spesso con il morire suicidi: è
questa visione pessimistica quella che distingue Alfieri dagli illuministi.


La formazione e l’ideologia

La formazione e l’ideologia Gli anni della formazione giovanile, fino alla “fuga” da Torino e alla scoperta della vocazione tragica, sono caratterizzati fondamentalmente da un rapporto molto teso e dialettico tra la personalità del giovane e gli ambienti in cui egli vive. Ne è testimonianza La vita scritta da esso ovvero l’autobiografia alfieriana, fonte primaria ovviamente per la conoscenza dell’esistenza del poeta, in particolare proprio dei suoi anni giovanili, benché non si tratti, come s’è visto, di un documento esauriente né totalmente attendibile dal momento che il poeta vi delinea un autoritratto ideale.

Il primo contesto con cui si misura il giovane Alfieri è, come già accennato, il mondo aristocratico astigiano, nel quale al provincialismo dello Stato sabaudo del secondo Settecento si somma quello di un tipico ambiente nobiliare di periferia. Alfieri, carattere ora taciturno e placido, ora loquacissimo e vivacissimo, subisce di questo contesto tutti i vantaggi, gli svantaggi e gli inevitabili condizionamenti. Da un lato, l’ambiente garantisce allo scrittore una tranquilla vita di nobile, senza problemi economici di alcun genere; dall’altro, sottolinea in chiave aristocratica alcune connotazioni della prorompente personalità del giovane, come il bisogno di emergere, una vigorosa volontà di affermazione, la personalità ribelle e passionale, aliena da ogni limite o legame.

Nella personalità di Alfieri la nobiltà di censo riveste un significato esistenziale assai   ampio. Il rifiuto di ogni vincolo e il desiderio di affermazione di una libertà sentita come totale realizzazione di sé si combinano infatti con una completa estraneità alle vicende storiche, sociali e culturali dell’Europa settecentesca. Lo Stato sabaudo sembra essere, all’epoca, totalmente estraneo al rinnovamento illuministico (che è invece vivace ed attivo, ad esempio, nella Milano asburgica),- ed è il poeta stesso a definirsi asino tra gli asini nel periodo della sua formazione culturale presso l’Accademia di Torino.

Alfieri non giunge in contatto reale con i testi più rilevanti dell’Illuminismo se non dopo la sua “fuga” da Torino verso l’Inghilterra e l’Olanda, dove trova società e governi agli antipodi rispetto al mondo piemontese.

Inoltre, dopo il distacco da Torino e la conseguente conoscenza di paesi stranieri, Alfieri non solo inizia a prendere dimestichezza con i grandi dell’Illuminismo (Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Helvétius), ma anche con Machiavelli e Montaigne ed i classici dell’antichità, soprattutto il greco Plutarco. Di quest’ultimo, per sua stessa ammissione, Alfieri rilegge più volte le Vite, dove le gesta eroiche dei protagonisti, impegnati nella lotta per la libertà, trovano nell’animo del giovane aristocratico una piena rispondenza (da quest’opera, più tardi, attingerà anche alcuni personaggi delle tragedie). Nelle letture alfieriane si trovano con abbondanza, accanto alle tragedie classiche, anche le opere del teatro tragico europeo contemporaneo.