VITTORIO ALFIERI LE RIME

VITTORIO ALFIERI LE RIME


Le Rime sono il canzoniere poetico di Alfieri, costituito da 351 componimenti (soprattutto sonetti, ma anche canzoni, odi, epigrammi, stanze, capitoli in terza rima), scritti nell’arco di tempo che va dal 1776 al 1798 e pubblicati in parte dall’autore stesso nel 1789, in parte postumi nel 1804.

Le prime Rime possono configurarsi come l’apprendistato stilistico di Alfieri. Cronologicamente sono contemporanee delle prime tragedie, delle quali riflettono temi e caratteri: la forza delle passioni, l’anelito verso la libertà, l’ammirazione per i grandi personaggi dell’antichità, ecc.

Le rime della maturità, invece, sono imbevute di malinconia e di una profonda percezione della solitudine. Rappresentano l’approdo a un ideale compiutamente classico di pacata contemplazione: l’individualismo è ancora dominante, ma esprime, più che l’eroica grandezza dell’autore, il segno di una raggiunta coscienza di integrità e coerenza morale.

I motivi ispiratori delle Rime sono vari e, a seconda del momento, di diversa intensità: dal tema d’amore si passa al culto della libertà, al colloquio ideale con i grandi poeti del passato (Dante, Petrarca, Tasso), all’angoscia per le condizioni dell’Italia, e poi alla meditazione sui valori della vita e sul mistero della morte, alla solitudine, alla malinconia. Il taglio è talvolta di pura imitazione letteraria, tal altra più originale e profondo; dai toni oratori, retoricamente e ideologicamente sostenuti, si passa al registro lirico e intimistico (in particolare nelle poesie dedicate a Luisa Stolberg). Al di là delle variazioni contenutistiche e stilistiche, tuttavia, si può cogliere una sostanziale unitarietà tematica e di impianto. Fa da costante, da elemento unificante, l’autobiografismo: le Rime sono, in definitiva, una sorta di diario, di autobiografia poetica, in cui si riflettono tutti i tratti della complessa e tormentata personalità dell’autore.

Il modello letterario delle Rime è il Canzoniere di Petrarca, che Alfieri tuttavia rilegge direttamente, senza la mediazione del petrarchismo rinascimentale e dell’imitazione arcadica. Nei contenuti di Petrarca Alfieri vede rispecchiate le tensioni del proprio animo e i conflitti della propria esistenza, ritrova i propri tormenti d’amore, il bisogno di solitudine, lo scavo nell’individualità, la consapevolezza della frattura fra il reale e l’ideale, l’attenzione al paesaggio come specchio dei moti interiori (ai connotati dei paesaggi petrarcheschi, tuttavia, Alfieri aggiunge elementi orridi e tempestosi). Dallo stile di Petrarca Alfieri desume l’esigenza della misura, del rigore classico, dell’elaborazione formale come strumento imprescindibile per filtrare, equilibrare, esprimere in maniera artisticamente rasserenata il magma dei sentimenti e delle idee.

In tal senso, la forma prediletta da Alfieri è quella del sonetto. Sempre sulla base dell’insegnamento di Petrarca, questo componimento gli sembra il più idoneo, per struttura e misura, a contenere e disciplinare le effusioni dell’animo, l’ideale cornice formale del proprio discorso poetico, altrimenti incline all’enfasi. A differenza del Canzoniere di Petrarca, le Rime alfieriane non giungono a dare vita, né dal punto di vista ispirativo né sotto il profilo strutturale, ad un tutto unico, liricamente e linguisticamente compatto: restano piuttosto un insieme di episodi, di momenti isolati, un diario intimo nel quale sono comunque in primo piano le dissonanze, le tensioni, le disarmonie. Ma questo è, in fondo, il marchio della loro autenticità.